Le opere di Julius Evola, a partire dagli anni Settanta, hanno avuto ampia circolazione. Nonostante ciò, ancora oggi, vi sono resistenze e pregiudizi nei confronti del pensatore «solfureo». Il suo pensiero è ritenuto, da troppi critici affrettati, espressione marginale della cultura fascista e neofascista. Fortunatamente, si sta affermando tra studiosi accorti e, perfino, tra una pattuglia di coraggiosi accademici, un’immagine diversa di Evola. Questi è pensatore complesso, cui stanno strette le definizioni tranchant del «politicamente corretto». Al maturare di tale atteggiamento esegetico ha contribuito, in modo non trascurabile, la pubblicazione dell’opera omnia evoliana, realizzata dalle Edizioni Mediterranee, per la cura di Gianfranco de Turris.
Nel novembre-dicembre 1929, a casa di Girolamo Comi, si tenne una riunione redazionale. Emilio Servadio, futuro psicanalista che con Evola aveva condiviso l’esperienza delle riviste «magiche», propose quale titolo del nuovo periodico La Torre, memore dell’organo di stampa, fondato dal cattolico integralista Giuliotti nel 1913. Evola accettò e propose quale sottotitolo, Foglio di espressioni varie e Tradizione una, a ribadire, come chiarisce nel saggio introduttivo Rossi, l’ormai conseguita vicinanza teorica a Guénon, dopo le critiche rivolte da Evola al sistema del francese dalle pagine dell’Idealismo realista. L’esoterista di Blois aveva, infatti, utilizzato il sottotitolo indicato da Evola nelle pagine di, Oriente ed Occidente.
De Turris, nella Nota editoriale, rileva che, dopo la fase esoterica, per il pensatore era giunto: «il momento di passare ad [..] altro, cioè ad un intervento diretto e fattivo» (p. 9), nell’ambito della cultura e della politica, per giungere a condizionare, attraverso il riferimento alla Tradizione e ai suoi valori, il fascismo. In tale tentativo, come chiosa Rossi, Evola coinvolse: «tutto il mondo del neospiritualismo italiano […] si può dire che con La Torre tentava di esprimere un intervento culturale organico» (p. 21). D’altro lato, per le vicende cui la rivista andò incontro, la sua esperienza fece comprendere ad Evola: «l’impossibilità di una tale organica azione, libera e indipendente» (p. 22). Evola, infatti, nell’editoriale del primo numero aveva chiarito con fermezza: «Nella misura in cui il fascismo segua e difenda tali principi (della Tradizione), in questa stessa misura noi possiamo consideraci fascisti. Questo è tutto!» (p. 94). E’ noto che, fino al 1925, Evola, in ambito politico, aveva sostenuto gli ideali dell’antifascismo antidemocratico, che avevano trovato espressione nei periodici, Il mondo e Lo stato democratico, cui collaborò. Successivamente, la sua azione metapolitica mirò a rettificare il regime in senso tradizionale. Ciò non poteva non avere conseguenze.
L’azione perseguita da La Torre fu osteggiata da ben individuati ambienti del fascismo: il numero 3 del quindicinale venne sequestrato a causa di un articolo che criticava la politica demografica del regime, caratterizzata da criteri antiaristocratici e puramente quantitativi. Dopo il sequestro, Evola venne diffidato dalla polizia ma continuò ad editare il periodico fino al decimo numero. La polizia intervenne presso tutte le tipografie romane, intimando loro il divieto di pubblicazione de La Torre. Il filosofo ricorse, senza successo, ad Arpinati, allora Ministro dell’Interno, che nulla poté fare a suo favore. Evola si risolse ad andare in alta montagna, sulle Alpi. Iniziò così la sua collaborazione alla Rivista del Cai: i suoi articoli, successivamente, saranno raccolti nel volume, Meditazioni delle vette. Non poteva andare diversamente: la cultura che la rivista proponeva era distante anni luce dalla concezione politica di certo squadrismo. Gli starli polemici contro questi ambienti, trovarono accoglienza nella rubrica della rivista (in gran parte firmata da Evola), L’arco e la clava: una rassegna stampa che si proponeva: «un’azione di bonifica […] e di attacco contro tutto ciò che nella stampa di quel tempo era più deteriore» (p. 11). Le bordate evoliane colpirono Critica fascista di Bottai, Quarta Roma di Danzi, Antieuropa di Gravelli. Le conseguenze non si fecero attendere: querele, minacce e sconti fisici. La Torre, sotto questo profilo, fu erede della tradizione battagliera delle riviste fiorentine di inizio secolo. Oltre alle ragioni ricordate, la sua importanza va rilevata nella sua apertura europea: sulle sue colonne trovarono accoglienza scritti di Benda, Bachofen, Tillich, oltre che di Guido de Giorgio, Arturo Onofri, Girolamo Comi, Emilo Servadio e Domenico Rudatis. Tra i collaboratori compare anche Marcella d’Arle, figlia del socialista Giovanni Lerda, autrice di un articolo in difesa della donna tradizionale e dell’harem.
Infine, alcuni saggi di Evola hanno tratto profetico, descrivono il mondo nel quale viviamo, la società liquida: «Niente più guerre. Fratellanza universale. Livellamento totale […] Niente capi. Onnipotenza della società». Oltre l’obitorio post moderno, solo la Tradizione: questo il messaggio chiarissimo ed attuale dell’Evola de La Torre.
Giacomo Rossi