Col titolo ruffiano “La storia che ha commosso il web” alcuni fogli elettronici hanno condiviso la foto di due omosessuali canadesi che hanno ottenuto l’adozione di un bambino, comprandolo con la pratica dell’utero in affitto. La foto, evidentemente studiata con cura dalla fotografa Linsday Foster, mostra i due pseudogenitori piangenti e a petto nudo che con slancio “amorevole” stringono a loro il bimbo appena nato. “Ognuno può pensarla come vuole”, hanno scritto i due “genitori” del piccolo Milo, BJ Barone e Frankie Nelson, “ma questo è un momento di amore puro e incondizionato che rappresenta l’essenza del Pride. L’amore non ha colore, né genere, né preferenze sessuali”.
L’orgoglio omosex, evidentemente, vale più della possibilità di far crescere un bambino in una famiglia tradizionale ed è talmente arrogante da non farsi scrupolo di togliere al neonato il sacrosanto diritto di seguire l’istinto naturale e di attaccarsi al seno materno immediatamente cercato.
Il bambino, infatti, ai suoi primi vagiti cerca istintivamente la madre, né potrebbe essere altrimenti, perché è così dall’inizio dell’evoluzione, ma adesso il nuovo diritto all’eguaglianza diseguale e buonista, in una goffa parodia del parto naturale, può impunemente strapparlo al calore, all’odore, alla voce di colei che per nove mesi è stato il suo unico punto di riferimento e il suo alveo naturale. E può farlo ricorrendo alla più subdola delle motivazioni: l’amore puro e incondizionato che non conosce colore né genere.
E in tantissimi sul web hanno abboccato all’amo del sentimentalismo spicciolo e pronosticato per quel bambino un futuro migliore di quello riservato a tanti orfani abbandonati o a tanti fanciulli oggetto di indifferenza o di brutalità all’interno della loro famiglia naturale.
Nell’epoca del trionfo dell’individualismo edonista, in cui a ogni desiderio corrisponde l’istituzionalizzazione di un diritto che ne garantisca l’assoluta soddisfazione, si giunge così a teorizzare, per un verso, la negazione di ogni impegno e di ogni responsabilità per la realizzazione massima del proprio ego ridotto ormai a una pura astrazione, isolato da ogni contesto familiare e sociale, totalmente racchiuso nel proprio arco temporale, senza alcuna proiezione nel divenire né in una dimensione comunitaria; per un altro verso, si accede alla logica del diritto assoluto alla maternità/paternità svincolato da ogni regola, confondendo la patologia della famiglia naturale con la pura mercificazione della natalità.
Ecco allora che per avere più tempo per “realizzarsi” si può mettere da parte anche l’impegno e la fatica della procreazione e avere tutto può significare la scelta di non avere figli.
Oggi l’ideale di una “vita libera” si persegue attraverso la negazione della genitorialità, intesa come via maestra alla autorealizzazione individuale o di coppia.
Una vita childfree, senza l’imperativo di dover formare una famiglia classica e con la possibilità, specialmente per le donne, di realizzarsi al di fuori dei canoni tradizionali. Una sessualità piena disgiunta dalla maternità rappresenta la posizione intellettuale attualmente più avanzata e più radicale del neofemminismo americano, che rifiuta la funzione riproduttiva in nome di una riappropriazione assoluta del corpo della donna al di fuori degli schemi culturali convenzionali.
Donne (e uomini) che rivendicano il diritto a costruire il loro posto nel mondo attraverso lo studio, il lavoro e l’amore nelle sue differenti declinazioni, ma che rifiutano il peso della cura familiare e di legami troppo coinvolgenti vissuti comi intralci sulla loro strada. Allo stesso tempo, si può decidere invece di procurarsi una nuova vita, un bambino da crescere per soddisfare il proprio desiderio (anche individuale) di maternità/paternità, come semplice esercizio di un diritto artificialmente attribuito dalla scienza all’uomo globale che è ormai preda nel campo genetico di un tale delirio di onnipotenza, contro la natura, che ha travolto ogni limite biologico ed etico e che poi ha alimentato anche una diffusa subcultura che rifiuta il dolore, la morte e la vecchiaia in nome di una anestetica e artificiale lusinga di eterna bellezza e gioventù.
Ed è ancor più surreale che proprio la sinistra, che in teoria dovrebbe essere diffidente verso l’invadenza del mercato, presenti come una conquista il fatto che alla fascia di popolazione meno abbiente venga addirittura prospettata la meravigliosa opportunità di affittare, in cambio di moneta sonante, parte del proprio corpo per permettere alle coppie gay facoltose di avere dei bambini.
Il femminismo d’accatto, che a parole s’infuria contro lo sfruttamento del corpo della donna e della sua immagine nell’ambito di un’economia capitalistica e maschilista, non muove neppure un dito di fronte all’utilizzo materiale dell’essere femminile quale semplice elemento, meccanismo, strumento riproduttivo prezzolato e anonimo.
Né l’adozione gay ha nulla a che fare con la necessità di regolare legislativamente la vita delle coppie omosessuali, sulla qu
ale pure ci sarebbe da discutere, ma ha a che fare con una ingegneria sociale arrogante e pericolosa, che va a toccare pesantemente i diritti di chi più dovrebbe essere tutelato proprio perché non ha la facoltà di scegliere: il bambino.
Ma poi, chi ha decretato che il diritto di avere figli sia un diritto assoluto?
Di assoluto dovrebbe esserci la natura e il suo rispetto, la legge naturale che impone che a generare un individuo concorrano altri due individui di sesso diverso e che quando ciò non sia possibile non diventi automaticamente tutto lecito pur di ottenere la soddisfazione edonistica di due esseri (siano etero o omo). Oggi invece si teorizza che conti solo la mia vita, la mia libertà, il mio diritto di volere e di mutare. La famiglia tradizionale a volte ha prodotto e tollerato, nelle sue forme patologiche, dei mostri domestici, fatti di indifferenza, soprusi e violenze; ma è facile denunciare le patologie della famiglia tradizionale perché è stata fino a oggi l’unica famiglia.
Ma chi conosce le nefandezze magari più aberranti di una famiglia omosex? A cominciare dalla forzatura innaturale di due figure genitoriali dello stesso sesso. Chi cresce con un padre e uno zio o con una madre e la sorella non subisce la distorsione di due mamme/papà perché comunque i ruoli restano ben individuati e separati, ma come possono aversi due padri? O due madri? Oppure un padre e un “mammo”? Come possono due individui dello stesso sesso pretendere di “avere” una loro prole?
L’individualismo assoluto, che non riconosce limiti, confini e principi e si concentra solo sul desiderio individuale del momento, non fa parte del nostro orizzonte culturale e metafisico. Non confondiamo i diritti, l’amore e la libertà col delirio egoistico antiumano e neo positivista, non dimentichiamo che la libertà va vissuta ed esplicata dentro il proprio essere e non sopra, contro e al di fuori di esso.
Enrico Marino
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