Il 1 settembre cade un anniversario che spesso vorremmo dimenticare, quello dello scoppio della seconda guerra mondiale, un evento che non è stato solo il più sanguinoso conflitto della storia umana, ma che ha cambiato per sempre il nostro mondo, e introdotto l’umanità nell’incubo nucleare, a partire dal quale la distruzione del nostro pianeta è diventata una concreta possibilità. Io mi proporrei ora di gettare una luce nuova sia sulle cause di questo conflitto, sia su avvenimenti più recenti, che seguono uno schema sotterraneo che in esso si è presentato, forse non per la prima volta, ma di certo mai in maniera altrettanto clamorosa.
Se un trucco funziona una volta, non è detto che funzioni la volta successiva, ma se funziona due volte, potrebbe funzionare una terza, poi ancora indefinitamente, e il trucco di cui stiamo parlando, apparentemente stupido e meschino, non solo ha raggiunto ogni volta il suo obiettivo, ma è alla base delle peggiori tragedie della storia remota e recente, attualità compresa, come vedremo.
A enunciarla sembra una cosa banale, eppure si è dimostrata terribilmente efficace: il trucco consiste nel fare finta che l’etnia, la nazionalità non esistano, e che l’unica cosa che conti sia la cittadinanza cartacea (la carta, come è noto, si lascia scrivere). Immaginiamo che un confine ingiusto, come sono perlopiù ingiusti quelli che separano gli stati, abbia assegnato un’importante frazione di un gruppo etnico a uno stato straniero invece che alla nazione di appartenenza. Potrebbero essere i Tedeschi inclusi nella Polonia dal trattato di Versailles, i Serbi di Bosnia, i Russi del Donbass nominalmente ucraini.
Basterà indurre lo stato entro le cui frontiere hanno la disgrazia di essere capitati a perseguitarli fino al punto di costringere lo stato loro connazionale a intervenire per evitare la persecuzione o addirittura il genocidio (era questo, ad esempio, il caso dei Russi del Donbass dopo otto anni di crescente escalation militare ucraina contro di loro), e, dato che per l’ipocrisia democratica costoro sono polacchi, bosniaci, ucraini, quello che gli succede è un affare interno dello stato cui sono costretti ad appartenere, e la nazione che interviene in loro difesa un aggressore che viola le regole del diritto internazionale, eventualmente attirarla nella trappola di un conflitto più esteso. Dal 1939 a oggi questo sporco trucco ha funzionato tre volte, e certamente sarà nuovamente applicato in futuro quando se ne presentino le circostanze.
Nel 1939-40 girava in Francia lo slogan “Morire per Danzica, è da idioti”, e infatti era una cosa idiota, perché Danzica era una città tedesca, e il tentativo di impedire alla Germania di riprendersela ha avuto l’effetto finale di regalare a Stalin una buona fetta dell’Europa. Quello che i buoni francesi non sapevano, era che ciò che era cominciato nel settembre 1939, era l’attuazione di un piano preparato da tempo volto a distruggere la Germania colpevole di essersi rimessa in piedi troppo presto dopo l’umiliazione di Versailles e la crisi del ’29. Oggi sappiamo che già nel 1938 gli Stati Uniti di Roosevelt avevano iniziato a rifornire di armi l’Unione Sovietica in previsione della guerra contro la Germania.
Bisognerebbe dire qualcosa anche della partecipazione italiana destinata ad avere esiti disastrosi, alla seconda guerra mondiale. Per prima cosa ricordiamo che l’Italia fu costretta a scegliere l’alleanza con la Germania per evitare l’isolamento internazionale dopo che l’impresa d’Etiopia era stata duramente condannata dai Franco-Inglesi attraverso la Società delle Nazioni. Ricordiamo che nel 1934 Mussolini aveva inviato le divisioni italiane al Brennero per dissuadere la Germania dall’annettere l’Austria.
Con l’Etiopia avevamo un vecchio contenzioso risalente a ben prima del fascismo e, a ogni modo, considerata l’estensione degli imperi coloniali che avevano allora Francia e Inghilterra, il fatto che condannassero l’impresa d’Etiopia ricorda molto la parabola evangelica di chi depreca la pagliuzza nell’occhio altrui e non vede la trave nel proprio.
Ma soprattutto teniamo conto di un fatto importante: Tutti i nostri rifornimenti dovevano passare per Suez che era allora in mani inglesi. Se l’Inghilterra non avesse voluto che prendessimo l’Etiopia, le sarebbe bastato bloccare il passaggio delle navi italiane per il canale. No, gli Inglesi volevano che conquistassimo l’Etiopia per poterci condannare, buttarci nelle braccia della Germania e distruggerci insieme a essa.
Giusto all’inizio del suo celebre libro Navi e poltrone, Antonino Trizzino cita una lettera dell’ammiragliato britannico al ministero della guerra, in cui si chiede di incrementare la produzione di siluri aerei in vista della guerra contro l’Italia. Quello che stupisce, è la data, 1938, il periodo dell’accordo di Monaco, quando Francia e Inghilterra si inchinavano a Mussolini che con la sua mediazione aveva salvato la pace in Europa. La cosa è talmente sorprendente che Trizzino pensa a un errore di date. E se non fosse affatto un errore? Se già allora la perfida Albione avesse avuto il ramoscello d’ulivo in una mano e il pugnale per colpire alla schiena nell’altra?
In sostanza, la motivazione da parte italiana al conflitto era il completamento di quell’unità nazionale faticosamente costruita attraverso le lotte risorgimentali e i sacrifici della Grande Guerra. Nizza, la Savoia, la Corsica in mani francesi, Malta in quelle inglesi. Volete condannare il fascismo per questo? Allora dovete condannare anche il risorgimento.
Ma si può dire che la nostra disastrosa partecipazione al conflitto fu voluta più da un certo antifascismo che dal fascismo. Ambienti degli alti gradi militari vicini alla Corona spinsero energicamente per la nostra entrata in guerra contando sulla sconfitta per sbarazzarsi del fascismo, e già all’indomani di essa cominciarono a passare informazioni sottobanco agli Inglesi.
Era uno sporco gioco basato sul tradimento e giocato sulla pelle dei nostri soldati e delle nostre popolazioni, eppure al riguardo Trizzino ha raccolto una documentazione impressionante raccolta in libri come Navi e poltrone, Settembre nero e – già il titolo è molto significativo – Gli amici dei nemici.
Particolarmente umiliante fu il modo in cui fu impiegata – o meglio, non fu impiegata – la nostra marina, con le navi da battaglia tenute alla fonda finché nel settembre 1943 non vennero inviate a Malta ad arrendersi al nemico. Intanto i nostri convogli che portavano i rifornimenti indispensabili per la guerra in Africa erano mandati senza scorta o con al massimo quella di un cacciatorpediniere, ad attraversare un Mediterraneo dominato dalla flotta inglese che ne faceva facilmente strage.
A Mussolini fu accuratamente nascosto lo stato di impreparazione delle nostre forze armate. Immediatamente dopo la partecipazione a due altri conflitti, quello di Etiopia e quello di Spagna, si entrava in guerra con gli arsenali vuoti, e – peggio – con armamenti ormai obsoleti come i biplani CR 42 della nostra aviazione da caccia o carri armati dalla blindatura talmente possente da pesare mediamente quanto la sola torretta di quelli tedeschi o nemici, le “scatole di sardine”, come presero presto a chiamarli i nostri carristi, e la gracilità del nostro apparato industriale non permetteva certo di porre rimedio in tempi rapidi.
Se non fosse stata un tassello dell’immane tragedia che si andava preparando, sarebbe stata umoristica la decisione presa alla vigilia del conflitto di articolare le nostre brigate su due invece che su tre battaglioni, il che permise di aumentarne sulla carta il numero di un terzo senza che i nostri effettivi crescessero di un solo uomo.
Il punto di svolta della guerra fu il 1941, con l’ingresso nel conflitto prima dell’Unione Sovietica, poi degli Stati Uniti, i giochi erano fatti, ci sarebbero voluti ancora quattro anni, ma la conclusione era nondimeno inevitabile.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla narrazione dominante, non fu la Germania, ma l’Unione Sovietica a stipulare nel 1939 il patto Ribbentropp-Molotov in assoluta malafede. L’operazione Barbarossa fu da parte della Germania che non aveva nessuna convenienza a ripetere l’esperienza della Grande Guerra del conflitto su due fronti, niente altro che il disperato tentativo di prevenire un imminente attacco sovietico. Lo ha rivelato nel libro Il rompighiaccio firmato con lo pseudonimo di Viktor Suvorov, Vladimir Rezun, un ex agente del KGB che ha avuto modo di consultare documenti segreti del Cremlino, ma prima ancora c’è la testimonianza dei militari tedeschi come Ulrich Rudel, l’asso degli stuka, che nel suo libro Il pilota di ferro ha raccontato che essi trovarono grandi masse di uomini e mezzi corazzati stipate sul confine occidentale, una disposizione del tutto illogica dal punto di vista difensivo, e fu questo che permise la spettacolare avanzata tedesca dei primi tempi, ma assolutamente funzionale in vista di un imminente attacco contro la Germania, tanto più che il fatto che essa fosse impegnata contro gli Inglesi rendeva il momento propizio.
Una lunga serie di provocazioni contro l’impero giapponese rese l’entrata in guerra del Giappone contro gli Stati Uniti praticamente inevitabile. Anche qui, la narrazione ufficiale è un falso. L’attacco di Pearl Harbor non fu affatto una sorpresa. All’ambasciatore giapponese a Washington fu impedito con artifici vari di presentare la dichiarazione di guerra prima che esso avvenisse, e l’intelligence statunitense ne era pienamente al corrente, tanto che le preziose portaerei furono messe al sicuro e le obsolete corazzate lasciate a fare da bersaglio, ma occorreva creare il mito dell’attacco a tradimento, per ingenerare un clima bellicista nella riluttante opinione pubblica americana.
A questo punto, la morsa d’acciaio destinata a stritolare l’Asse e l’Europa era stata forgiata, e si sarebbe inevitabilmente chiusa.
C’è un punto ancora da rilevare: per Stalin e i suoi sodali la guerra era l’occasione di far avanzare a occidente il mondo slavo a discapito di quello germanico e italiano. La presenza tedesca a oriente dell’Oder da parte dei Russi e quella italiana in Istria e Dalmazia da parte degli Jugoslavi furono cancellate nello stesso modo, con violenze atroci contro le popolazioni civili. Si vede bene che al mito dell’internazionalismo proletario, alla fratellanza dei proletari di qualsiasi nazione, come a tutte le altre fesserie inventate da Marx, i comunisti sono stati i primi a dimostrare di non crederci in concreto.
Come vi ho detto, un’esatta comprensione degli eventi di allora serve anche a farci comprendere la vera dinamica di avvenimenti ben più vicini a noi, e mi riferisco in particolare alla crisi della ex Jugoslavia e al conflitto ucraino.
Sappiamo che la disintegrazione dello stato jugoslavo è stata una decisione presa dai vertici dell’Alleanza dei Socialisti, il partito comunista jugoslavo, la malefica covata degli eredi di Tito. Costoro, pur di non essere sbalzati di sella come è avvenuto agli altri regimi comunisti dell’Europa orientale all’indomani della decisione di Michail Gorbacev di togliere loro l’appoggio militare sovietico, hanno lanciato i popoli della ex Repubblica Federativa in una serie di guerre fratricide.
Ma questo non spiega come mai “l’Occidente” che sappiamo essere un robot privo di una volontà e di un discernimento propri, telecomandato da Washington abbia individuato nella Serbia “il colpevole” di una situazione estranea ai popoli e imposta dai vertici della ex Jugoslavia, serbi, bosniaci o croati che fossero.
La risposta va cercata fuori dai confini dell’ex stato balcanico. Teniamo presente per prima cosa che l’area è cruciale per i traffici di ogni genere: droga, armi, migranti, che oggi sono il business più redditizio, poi deve essere intervenuto un accordo fra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Era, lo ricordiamo, il momento fra la prima e la seconda guerra del Golfo e gli USA progettavano l’invasione dell’Irak, serviva uno sporco do ut des, l’isolamento di Saddam Hussein nel mondo arabo in cambio dell’islamizzazione dei Balcani, cosa per cui la Serbia rappresentava il maggiore ostacolo.
En passant, la ragione vera dell’invasione dell’Irak non sono state le famose armi di distruzione di massa che palesemente non esistevano, ma la decisione di Saddam Hussein di accettare gli euro per il pagamento del petrolio. Il dollaro deve rimanere la moneta delle transazioni internazionali, è grazie a ciò che si tiene in piedi l’economia USA, parassitaria rispetto al resto del pianeta.
Una considerazione che ci servirà anche per comprendere la vicenda della guerra in Ucraina: la Jugoslavia, come del resto l’Unione Sovietica, era disomogenea dal punto di vista etnico, e gli stati delle minoranze che le componevano hanno incluso importanti frammenti dell’etnia maggioritaria: serbi in Bosnia e Croazia, russi in Ucraina. Ma è quasi superfluo dire che nel momento in cui quelli che prima del 1991 erano semplicemente confini amministrativi, diventando confini politici, cambiano completamente di significato.
È palese che il trucco, la trappola è la stessa che è stata usata contro la Germania nel 1939 e sarà usata poi contro la Russia: ignorare o fingere di ignorare che i Serbi che vivono a nord della Drina sono altrettanto serbi di quelli che vivono a sud dello stesso fiume, e non bosniaci.
Era quasi umoristico sentire i TG dell’epoca parlare dell’“autoproclamata” repubblica serba di Bosnia. Qualsiasi stato al mondo è autoproclamato, e il consenso internazionale, semmai, arriva dopo. Se gli stessi criteri fossero stati in vigore nell’ottocento, non si fa fatica a immaginare che non ci sarebbe stato concesso di tornare a essere stato nazionale, avremmo forse assistito a un intervento della NATO per ripristinare gli stati pre-unitari e il dominio austriaco sul lombardo-veneto.
L’episodio che determinò l’intervento della NATO nella crisi jugoslava fu un esempio da manuale di false flag, il cannoneggiamento di Sebrenica attribuito ai Serbi, fu in realtà opera degli stessi Bosniaci su istigazione della NATO, cioè degli Stati Uniti (perché in questa “alleanza” gli europei sono solo comprimari e comparse) per avere il pretesto per aggredire la Serbia.
Rimane un’assoluta vergogna il fatto che il permesso di usare le basi italiane per bombardare la Serbia sia stato prontamente concesso dal governo dell’ex comunista D’Alema, ma, scomparsa l’Unione Sovietica, i “democratici di sinistra” avevano fretta di dimostrare di poter essere servi altrettanto zelanti del padrone americano, anche se oggi va riconosciuto che, riguardo alla crisi ucraina i “fratelli d’Italia” non si stanno affatto comportando in modo diverso.
False flag, come falsa era l’invenzione delle presunte armi di distruzione di massa irachene. L’inganno, insieme alla prepotenza è lo strumento principale della politica USA.
A questo punto, noi abbiamo in mano quasi tutti gli elementi per comprendere quello che sta avvenendo oggi in Ucraina. Rimane da dire che se quella che sembrava doversi risolvere con una rapida incursione russa come quelle sovietiche in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968 si è invece trasformata in una logorante guerra di posizione che ricorda la prima guerra mondiale, è perché essa era stata prevista e provocata da un’Ucraina che la NATO aveva già stipato di armi oltre a metterne a disposizione i servizi di intelligence, cruciali nelle guerre moderne, più l’uso di nuove tattiche come gli attacchi mirati coi droni ai comandi russi per disarticolarne la catena di comando.
Solo recentemente si è avuta notizia di un accordo tra l’allora presidente russo Boris Eltsin e il governo USA che impegnava quest’ultimo, in cambio dello scioglimento dell’Unione Sovietica, a non estendere la NATO a Paesi che dell’Unione Sovietica avevano fatto parte, accordo peraltro già violato con l’ingresso nella NATO delle repubbliche baltiche, ma i trattati – si sa – sono pezzi di carta.
L’ingresso anche dell’Ucraina nella NATO metterebbe la Russia nella stessa situazione in cui si trovarono gli Stati Uniti con i missili sovietici a Cuba, e che il presidente Kennedy rischiò la terza guerra mondiale pur di evitare, avere armamenti nucleari potenzialmente nemici puntati contro proprio nel giardino di casa.
Ma non c’è niente da fare, la trappola ha funzionato una prima volta, una seconda, e ora sta funzionando anche la terza.
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