7 Ottobre 2024
venticinqueaprile

La vergogna continua – Fabio Calabrese

Come ogni anno, ritorna ogni 25 aprile questa insulsa e ridicola celebrazione della nostra sconfitta nella seconda guerra mondiale come se si fosse invece trattato di una vittoria, e continuo sempre a chiedermi quanto sarcasmo essa ci procuri all’estero.

Come ogni anno, vorrei non astenermi dal dire qualcosa a questo riguardo, ma, voi lo sapete, si tratta di un tema che ho trattato con abbondanza negli anni passati.

L’anno scorso, per non essere troppo ripetitivo, in coincidenza del 25 aprile, vi ho proposto Uno sguardo d’insieme, in cui, assieme a questa ricorrenza, ne ho esaminate altre, il 10 febbraio, ossia l’anniversario della firma del trattato di pace del 1948, che è stato scelto per ricordare la tragedia consumatasi sul confine orientale, col dramma delle foibe e l’esodo di istriani, giuliani e dalmati costretti a lasciare le loro terre per non essere massacrati dagli assassini con la stella rossa (tragedia che non si è certo consumata in un giorno, ma è stata il frutto di anni di violenza e terrore contro chi aveva la colpa di essere di etnia italiana), e due “ricorrenze virtuali”, ovvero il 12 giugno anniversario della cacciata dei comunisti jugoslavi da Trieste, e il 7 novembre, anniversario del golpe leninista che ha portato all’instaurazione della dittatura sovietica in Russia, falsamente presentato dalla sinistra come “rivoluzione d’ottobre” (ricordiamo che allora in Russia era in uso il calendario giuliano, in arretrato di un paio di settimane rispetto a quello gregoriano oggi corrente). Quest’ultima data era stata proposta dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump come giorno della memoria delle vittime del comunismo.

Quest’anno c’erano alcune cose da aggiornare, infatti, pare che alle ricorrenze “politiche” si debba aggiungere anche il natale, come abbiamo visto a partire dallo scorso dicembre. La paranoia antifascista sembra non conoscere limiti. Dopo decenni che questa abbreviazione anglosassone, MERRY XMAS è in uso anche da noi, “i compagni” hanno deciso di metterla al bando perché potrebbe ricordare la Decima Mas. Ma a parte ciò, sono ostili alla celebrazione del natale a prescindere, con la scusa che potrebbe offendere gli immigrati di religione diversa da quella cristiana, ma in realtà sono loro che si inventerebbero qualsiasi cosa pur di cancellare le nostre tradizioni e affogarci nel grigiore di un mondo globalizzato e imbastardito.

I due articoli non sono, ovviamente, uguali. In Uno sguardo d’insieme in ogni caso l’attenzione era puntata sulla ricorrenza del 25 aprile, mentre in quello successivo, mi sono concentrato di più sulla tragedia delle foibe e dell’esodo, e per questa ragione ho preferito che comparisse sulle pagine di “Ereticamente” in concomitanza con il 10 febbraio.

E’ chiaro che i due eventi sono strettamente collegati, è infatti la sconfitta delle forze italo-tedesche che ha aperto agli assassini jugoslavi la strada della mattanza subita dalle popolazioni italiane del nostro nord-est, e poi c’è chi ha la facciatosta di parlare di liberazione!

Rimane però il fatto che così la ricorrenza del 25 aprile mi rimaneva scoperta, quindi adesso proverò a dirvi comunque qualcosa riguardo a questa grottesca e vergognosa “festività”, anche se a questo punto quello che potrò dirvi di nuovo non sarà davvero molto, ma cercherò di fare una sintesi delle cose dette negli anni precedenti.

VERGOGNA. Questa penso sia assolutamente la parola chiave di questa celebrazione. C’è un episodio accaduto in Sicilia all’indomani dello sbarco angloamericano, che rende chiara l’idea, che è stato riferito da un reporter al seguito delle truppe invasori. Costui ha raccontato che, dopo aver superato un’accanita resistenza da parte dei nostri soldati, gli americani erano alla fine riusciti a entrare in un paesino siciliano.

Subito, una folla scese in strada a festeggiare “i liberatori” sotto lo sguardo allibito dei soldati che fino all’ultimo avevano combattuto per tenere gli invasori fuori dal paese ed erano stati fatti prigionieri.

Commenta il reporter: “Non ho mai visto uno spettacolo tanto miserabile”.

E teniamo presente che in quel momento non erano ancora avvenuti né “il ribaltone” dell’8 settembre, né il golpe sabaudo del 25 luglio che lo ha preparato.

Bisogna ammettere la verità, per triste e dolorosa che sia: gli Italiani, o almeno una parte consistente di essi non hanno dimostrato lo stesso carattere e la stessa fibra morale dei Tedeschi e dei Giapponesi che hanno continuato a combattere fino all’ultimo con o senza speranze di vittoria, ma quando la sconfitta dell’Asse si è profilata inevitabile, hanno cercato in ogni modo di saltare sul carro dei vincitori, ma la viltà e il tradimento ricevono il disprezzo anche di chi ne beneficia.

Il Tenno giapponese non ha abbandonato il suo popolo per andare a pietire i vincitori, e la monarchia nipponica c’è ancora, mentre il ribaltone dell’8 settembre 1943 ha decretato la fine del regno sabaudo.

Gli invasori, promossi ora ad alleati, non persero occasione per mostrarci il loro disprezzo, ad esempio l’aeronautica ricostituita al sud, fu impiegata nei Balcani in appoggio alle bande titine. I nostri piloti non sapevano, ma probabilmente gli americani lo sapevano benissimo, di contribuire al massacro della nostra gente, e ripagavano il voltafaccia con spaventoso sarcasmo.

Non tutti gli italiani erano o sono ancora adesso privi di spina dorsale. Quelli che ripararono al sud in buona fede, ubbidendo ingenuamente alla chiamata di un re che con il suo voltafaccia aveva perso qualsiasi titolo di legittimità, si resero presto conto dell’atmosfera di viltà e tradimento che aleggiava. I casi più drammatici furono quelli dell’asso degli aerosiluranti Carlo Emanuele Buscaglia che, dopo aver rubato un bimotore Baltimore, morì precipitando nel tentativo di raggiungere il nord, e il comandante sommergibilista Carlo Fecia di Cossato che, simile a un antico samurai, non vide altra via per riscattare l’onore infangato, non certo da lui, che quella del suicidio.

Il ribaltone dell’8 settembre non risparmiò nulla all’Italia, al momento della stipula del trattato di pace, tornammo a essere i nemici sconfitti, come se un anno e mezzo di cobelligeranza non fossero mai esistiti. Possiamo dire che contribuì solo ad aggiungere alle piaghe del conflitto, quella della guerra civile. Ma si può anche dire che la guerra civile era già stata preparata da tempo, e cominciò prima dell’armistizio, il 24 agosto 1943, con l’assassinio di Ettore Muti, uno dei gerarchi fascisti più popolari e amati.

George Orwell in 1984 ha spiegato in modo impareggiabile che uno degli strumenti della tirannide è la manipolazione del linguaggio, attraverso l’imposizione di significati che sono l’esatto contrario della realtà. L’odio è amore, la menzogna è verità, la schiavitù è libertà. Guardando al caso dell’Italia tra 1943 e 45, possiamo aggiungere, colpire le città e le popolazioni civili inermi con tonnellate di bombe è liberazione, e colpire alle spalle coloro che ancora resistono all’invasore, è resistenza.

Non sarà fuori luogo ricordare che uno storico di sinistra, ma indubbiamente un uomo onesto e che non ha avuto paura di raccontare la verità al di là delle favole bugiarde che ci ammanniscono da tre quarti di secolo, Giampaolo Pansa, scrivendo un libro sui ragazzi della RSI, gli ultimi in grigioverde, come li ha chiamati Giorgio Pisanò, I figli dell’aquila, si è imbattuto negli eccidi di cui sono stati vittime ad opera dei partigiani, soprattutto a guerra finita, quando, deposte le armi, non erano più in grado di difendersi, e invece di tacere su ciò come molti avrebbero fatto, ne ha fatto un libro-scandalo che ha sollevato finalmente il velo sugli aspetti oscuri e sanguinosi della cosiddetta resistenza, Il sangue dei vinti.

Attribuire ai partigiani, come è stato fatto, l’etichetta di “combattenti per la libertà”, è non solo falso, ma ridicolo, erano perlopiù comunisti che miravano a instaurare in Italia una tirannide di tipo bolscevico. Siamo sempre nell’ottica dell’inversione orwelliana di significati. Tralasciamo poi il fatto che è estremamente discutibile quanto la stessa qualifica di combattente possa attagliarsi a chi si nasconde in montagna per sfuggire alla leva militare, agisce senza divisa compiendo attentati, sparando perlopiù alla schiena, e le cui azioni più “eroiche” sono state compiute a guerra finita, con la mattanza dei vinti che non erano più in grado di difendersi.

In realtà, la guerra civile, o per essere più chiari, il massacro, continuò per altri due anni dopo la conclusione del conflitto, fino al 1947, quando costoro cercarono di togliere di mezzo cittadini inermi e innocenti che erano stati testimoni dei loro delitti e delle loro ruberie, ex combattenti della RSI, possidenti, preti, chiunque ritenevano potesse essere di ostacolo all’instaurazione anche in Italia di una tirannide bolscevica.

La storia ufficiale, quella che viene perlopiù raccontata, della cosiddetta resistenza, è un falso spudorato. Ve ne faccio un esempio. Nell’aprile del 1945, una colonna di soldati tedeschi in ritirata transitò per il paese friulano di Avasinis, e dei soldati, probabilmente di propria iniziativa, spararono delle raffiche di mitra uccidendo alcune persone. Deprecabile, certo, ma comprensibile alla luce dell’esasperazione dovuta alla piega che avevano preso gli avvenimenti, e non si può pretendere che fossero ben disposti verso gli Italiani che si erano dimostrati un alleato così infido.

Nel 2006 i giornali “Il Piccolo” di Trieste e “Il Messaggero Veneto” di Udine in collaborazione con il Touring Club Italiano, hanno iniziato la pubblicazione di un’enciclopedia tematica del Friuli-Venezia Giulia, il secondo volume è quello dedicato alla storia. Si, esatto, vedo che ve ne ricordate, è proprio quello della bufala che attribuisce ai Celti un’origine mesopotamica. La falsificazione della storia antica procede di pari passo con quella della storia recente.

Per quanto riguarda la seconda guerra mondiale, il volume si diffonde in lungo e in largo sulla strage di Avasinis, ma ignora del tutto la tragedia di ben altra ampiezza subita dalle nostre popolazioni con gli eccidi delle foibe e il dramma dell’esodo, e nemmeno l’eccidio avvenuto sempre nella nostra regione alle Malghe di Porzus della brigata partigiana non comunista Osoppo ad opera dei comunisti della brigata sedicente Garibaldi (pure il nome dell’eroe risorgimentale, questi assassini dovevano infangare). L’eccidio di Porzus fu motivato dal fatto che la Osoppo aveva rifiutato di mettersi agli ordini del IX Corpus jugoslavo, cosa che avrebbe prefigurato l’annessione alla Jugoslavia di tutta la Venezia Giulia e del Friuli, in base all’accordo intervenuto fra Tito e Togliatti che prevedeva la cessione delle nostre terre in cambio dell’aiuto a “fare la rivoluzione” in Italia.

Si vede bene come è stato costruito il mito resistenziale, a forza di mezze verità e omissioni.

Da un altro punto di vista, forse più del 1 maggio, ormai sempre più disertato dalle masse lavoratrici che la sinistra rappresenta sempre di meno, il 25 aprile è la festa dei “compagni”. Se capitate nella zona di Trieste, per rendervene conto, vi basterà fare un giro in questa data nei comuni carsici abitati prevalentemente dalla minoranza slovena, li troverete festonati di bandiere rosse, jugoslave e slovene. Per loro è soprattutto la festa del duro colpo inferto a noi, con la cancellazione della presenza italiana su gran parte della sponda orientale dell’Adriatico, e ci insegna una verità che abbiamo amaramente imparato a nostre spese, antifascista significa soprattutto anti-italiano.

Un episodio amaramente ironico, ma che rivela molto bene il volto della “resistenza” si verificò qui a Trieste. Da noi, come in altre città italiane, i membri del locale CLN insorsero quando i tedeschi se ne andarono. Dopo di che, festanti, andarono incontro alle bande comuniste jugoslave che avanzavano. Questi ultimi, quando videro le fasce tricolori al braccio, li catturarono e li fucilarono.

Naturalmente, era solo il prologo della mattanza di italiani che questi assassini stavano per scatenare a Trieste che si salvò per caso dal diventare anch’essa un pezzo di Jugoslavia, in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia.

Non esistono numeri precisi circa l’entità delle vittime, ma certamente furono migliaia di persone trucidate solo perché italiane. I comunisti jugoslavi non hanno mai avuto dubbi, per loro, “la resistenza” era guerra etnica conto di noi.

Un capitolo a parte nella storia di un antifascismo che si fa sempre più patologico, è la lotta contro un fascismo ormai immaginario, a ottant’anni di distanza, che continua a fare quella frangia della sinistra che non si è rassegnata alla caduta dell’Unione Sovietica. Gente ormai in ritardo di una o due generazioni.

Materialmente, la loro lotta si concretizza nella distruzione o nel ripetuto imbrattamento dei monumenti e delle lapidi che ricordano le vittime delle foibe. Migliaia di italiani trucidati per la sola colpa di essere tali dagli assassini comunisti jugoslavi, non è che fossero fascisti, no di certo, ma hanno il torto di ricordare tramite la loro memoria che il comunismo, ben lungi dall’essere stato il paradiso di cui costoro farneticano, è stato il grande mostro del XX secolo, una sentina di orrori senza fine, non solo, ma non è possibile non interrogarsi nemmeno sui decenni di silenzio omertoso di tutto ciò da parte della democrazia antifascista.

Purtroppo per loro, con l’istituzione della Giornata del Ricordo, la verità è stata rivelata, e allora non gli resta che prendersela con monumenti e lapidi in un assurdo tentativo di cancellare la verità storica.

Ciò dimostra inoltre quanto sia superficiale, non sentito, dettato da convenienza tattica, falso, il ripudio del comunismo e dei suoi orrori, da parte della sinistra o almeno di una frazione non certo marginale di essa.

Un antifascismo che si sostanzia, oltre che in menzogne antistoriche, nell’odio verso i propri connazionali e nel tentativo di cancellare la verità storica, una ricorrenza vergognosa che celebra una “lotta per la libertà” mai avvenuta e il servilismo verso i vincitori diventati nostri padroni, il cercare ancora di nascondere lo spaventoso fratricidio all’indomani della resa, e le atrocità subite dalla nostra gente sul confine orientale ad opera delle bande di assassini slavo-comunisti.

La vergogna continua.

NOTA: Nell’illustrazione, un fulgido esempio di eroismo partigiano, il calvario di Giuseppina Ghersi, una bambina che, rea di aver scritto un tema che era piaciuto a Mussolini, sarà rapita, violentata, torturata in modo atroce, e uccisa.

3 Comments

  • Michele Simola 29 Aprile 2024

    Ogni anno si rinnova la farsa della “liberazione”, una farsa che ci espone solo a critiche e ilarità da parte dell’europa e di quel nemico che ci ha sconfitto 79 anni addietro.
    Non mi pare che la Germania o il Giappone ricordino le date della loro resa o peggio le festeggino. in un paese di giullari succede anche questo.
    Il 25 Aprile 1945 cominciava la notte della ragione e della verità, che per tre lunghi anni continuerà a mietere vittime “fasciste” per mano di assassini comunisti oggi ricordati come eroici partigiani. Nelle loro azioni non ci fu nulla di eroico, fu solo l’inizio di quella mattanza dei vinti che venne intrapresa ad armi deposte. Bisogna ricordare che la maggior parte di questi “eroici assassini” che si macchiò le mani di sangue di altri Italiani, erano fortemente ideologizzati e prendevano ordini da esponenti del partito comunista italiano in particolare dal compagno Togliatti, che reputo ripugnante definire patriota, inoltre erano armati da Stalin e ricevevano armi, munizioni e vettovagliamento dai sovietici, pertanto erano le formazioni più equipaggiate e con capacità di approvvigionamento. Erano tollerati dagli americani perché risparmiavano loro di svolgere il lavoro sporco, in pratica assassini a sangue freddo ed eccidi di massa, così come avvenne ad Oderzo dove quasi 600 militari Italiani vennero rastrellati, fucilati e gettati nel Piave. La differenza fra loro e i militi della RSI è sostanziale: i secondi combatterono sotto una bandiera e con una divisa, i partigiani non usarono divise ma come le spie combatterono senza essere riconoscibili all’avversario. Nessuno vuol ricordare che molti di coloro che continuarono a combattere l’originario nemico lo fecero per dignità, perché trovarono vergognoso cambiare alleato, per l’onore d’Italia, tradito da un re imbelle che riparò fra le braccia del nemico, lasciando l’esercito senza ordini e direttive.
    Inoltre le formazioni di partigiani rossi supportarono nel nord-est le formazioni titine nella pulizia etnica contro gli Italiani, perseguitati e scacciati dalla Dalmazia, da Fiume e da quelle zone Italiane da sempre ma adesso appartenenti alla ex Jugoslavia ed in particolare alla Croazia. Parliamo di un vero olocausto di svariate decine di migliaia di uomini, donne e bambini infoibati dai rossi solo per essere Italiani. Simili stragi durarono quasi fino all’inizio degli anni 50 del novecento, gli angloamericani preferirono supportare i titini che non gli Italiani che abitavano quele zone che dovevano essere puniti. Lo stato Italiano del dopoguerra (in pratica formato nella sua quasi totalità da esponenti dello scudo crociato) non si interessò molto della loro sorte, di certo non si interessò come oggi fa con i migranti stranieri che trovano accoglienza sul nostro suolo.
    I politici odierni e finanche il capo dello stato continuano in questa retorica narrativa anche grazie alla scuola monopolizzata dalla sinistra che ha riscritto i libri di storia ad uso e consumo di quello che è stato il PCI.
    Basterebbe questo per capire che l’Italiano non può essere atlantista, europeista o globalista.
    Le mie parole rispecchiano il mio pensiero e reputo che non si può tacere di fronte alle “verità” ufficiali costruite sulla pelle di chi ha combattuto ed è morto per quell’Italia fasulla che si vergogna del loro operato. Non ci possono essere morti di serie A e di serie B. Non sono accettabili giustificazioni come hanno combattuto dalla parte sbagliata o dabenaggini come quelle di Porro che ha affermato sì che i partigiani non diedero alcun aiuto agli americani ma che dobbiamo a loro(gli americani) la liberazione. Gli americani non hanno liberato nessuno hanno solo perseguito i loro interessi strategici: ci hanno sconfitto, colonizzato ed hanno impiantato a casa nostra oltre cento basi militari che utilizzano per le loro sporche guerre. Gli idioti continuano a correre loro dietro anche mentre ci stanno portando alla distruzione.

  • Claudio Antonelli (Montréal) 30 Aprile 2024

    -Il male assoluto-
    Un cadavere mantenuto in vita

    Va di moda, oggi, attribuire la causa di ogni male al tumore fascista: “islamo-fascismo”, “sionismo fascista”, “fascismo putinista”, “fascismo ucraino”, “fascismo di Biden”, “fascismo di Trump”, ecc. La lista è lunga. Abbiamo anche il “fascismo meloniano”.
    La diagnosi che tira in ballo il fascismo spiega ogni patologia. Io suggerirei di applicare questa diagnosi all’intera storia dell’umanità, dalla preistoria ad oggi, visto che il fascismo italiano, durato solo vent’anni, riesce a spiegare tutto.
    “La fatidica data del 25 aprile ripropone agli italiani l’eterno fascismo, morto e sepolto quasi un secolo fa, ma che continua miracolosamente a vivere grazie all’antifascismo.” Questa mia frase contiene un errore: l’antifascismo è attivo non solo il 25 aprile, ma 365 giorni all’anno. E così, ciò che resta del cadavere del fascismo, un mucchietto di ossa rinsecchite, viene continuamente tirato fuori dalla fossa.
    Il presunto sempre “vivo” fascismo è in realtà un ectoplasma da seduta spiritica. Esiste invece l’eterna “deteriore italianità” di cui diedero prova anche i fascisti, ma non tutti (Gentile, Pirandello, Barzini, Treccani, Beneduce, Mascagni, Marconi…) e di cui danno prova tutti coloro che, autonominatisi vestali del “bene assoluto”, lanciano ex cathedra, agli inesistenti fascisti di oggi, l’accusa di fascismo.
    I vigili custodi dell’ortodossia dottrinaria, con in primo piano i discendenti di un popolo di ex camicie nere, tradizionalmente sempre pronto a salire sul carro dei vincitori, oggi vedono in ogni sentimento patriottico di quel tempo – espresso, si badi bene, anche prima che la tragedia dell’entrata in guerra dilaniasse e direi frantumasse per sempre l’Italia – il marchio del nazifascismo.
    Parlerò degli emigrati perché anch’io sono un emigrato. Gli emigrati di quel tempo vengono oggi condannati per aver creduto nell’Italia di allora. In realtà tanti espatriati non potevano che dichiararsi orgogliosi di un’Italia che sembrava dare finalmente dignità ai suoi “macaroni”, “spaghetti”, “waps”, ecc. come allora le razze superiori chiamavano gli immigrati italiani. Un’Italia che si era affermata attraverso imprese non da poco.
    Ecco cosa un italo-americano, internato durante la guerra con Mario Duliani, qui in Canada, dice di quest’Italia che inorgogliva gli italiani all’estero: “La trasvolata di Balbo finì coll’ubriacare tutti. Perché negarlo? Già l’intravedevamo più grande, più forte, più rispettata questa nostra vecchia Italia, sì micragnosa un tempo, che ci stava nel cuore come un’indimenticabile madre…”
    Ma oggi è tutto uno sbeffeggiare, quando non è addirittura un demonizzare i sentimenti di sofferta italianità degli emigrati di quel tempo, desiderosi di rispetto per la propria dignità individuale e collettiva. Basti vedere i sarcasmi che ancora oggi certi ricercatori riservano loro. L’erezione di una statua (1931) all’illustre navigatore-esploratore Caboto, opera dello scultore Casini, è vista oggi dallo studioso Gerardo Acerenza (Polish Journal of Canadian Studies/Revue Polonaise d’Études Canadiennes – Poznan 2017) come una strategia attuata dai dirigenti consolari e dai simpatizzanti dei Fasci per alimentare un sentimento d’orgoglio nazionale. Sentimento riprovevole, immagino.
    “Per i membri di questa prima organizzazione fascista [Ordine dei figli d’Italia] e per i dirigenti consolari italiani di Montréal, non era Jacques Cartier che avrebbe scoperto il Canada ma il veneziano Jean Cabot che avrebbe navigato (…)” annota con tono derisivo lo studioso Gerardo Acerenza, per il quale gli onori resi dagli espatriati italiani a Caboto sono un “tentativo di revisione storica”. La stessa Casa d’Italia, sempre secondo Acerenza, fu costruita “per ben impiantare il mito di Mussolini a Montréal”. Affermazioni non solo stupide, ma vergognose. Degne di un professionista di questo “antifascismo a babbo morto”.
    Enrico Mattei, antifascista, ebbe modo nel dopoguerra di criticare “il sottofondo fascista e parafascista, che sonnecchia, inconsapevolmente nell’animo di molti italiani”, antifascisti inclusi. Questa sua diagnosi spiega tante cose.
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  • Giuseppe 5 Maggio 2024

    Un eccellente, come sempre, Fabio Calabrese!!

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