9 Ottobre 2024
Attualità

La verità e l’inversione – Enrico Marino

Il 27 ottobre scorso, con 154 voti favorevoli e 131 contro, il DDL Zan è stato bloccato, almeno temporaneamente e secondo la prassi ordinaria, prima di sei mesi non potrà essere ripresentato. Il DDL era stato presentato dall’onorevole Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico, il 2 maggio 2018 e approvato alla Camera il 4 novembre 2020. Tale progetto mirava a definire, anche a livello giuridico, il concetto di “identità di genere” volto a sovvertire la dicotomia maschile-femminile. Si può affermare che tramite tale sovvertimento l’obiettivo era quello di ridefinire la natura umana, declassandola da dato di realtà, indipendente dal pensiero, a semplice artefatto di quest’ultimo. Il tutto punendo chi avesse osato opporvisi: in definitiva, si voleva violentemente sostituire la menzogna alla verità sull’uomo. È quindi giusto gioire per quanto accaduto giacché, se tale legge fosse stata approvata, avrebbe introdotto una legittimazione giuridica a sostanziali manipolazioni della realtà, ma, ciononostante, l’euforia dei festeggiamenti non deve minimamente intaccare la cautela.

Il perché è presto detto: la legge Zan non mirava solo a introdurre degli elementi fuorvianti di gravissima entità sulla natura umana, bensì a conferire legittimità giuridica a quelle distorsioni del reale che sono già da tempo presenti nel substrato culturale del nostro paese. Il fatto stesso che si sia arrivati a discuterne in Parlamento rende palese tale situazione.

Le sinistre hanno provato a sfondare l’ultimo muro che si frappone alla demolizione della famiglia, ma hanno fallito anche se la solidità di tale muro è precaria, perchè già pieno di crepe aperte da decenni di predicazioni sovversive.

Con gli attacchi alla famiglia, come istituto derivante dalla natura umana, si arriva alla negazione stessa della natura umana. Se la natura non è più un dato oggettivo, metafisico e antecedente al pensiero stesso, vien da sé che anche la famiglia, a tale natura strettamente legata, venga meno. La teoria del gender, su cui si fonda il concetto di “identità di genere” espresso all’art. 1 del DDL Zan, non è altro che l’applicazione pratica della negazione della natura alla sfera dell’identità sessuale.

La definizione stessa dell’identità di genere, intesa come identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione, propone un modello di umanità alienata e fluida, disancorata dalla propria natura e spezzata, ma presuntuosamente rivendicato non come una condizione problematica, bensì come una orgogliosa affermazione. Un modello grottesco piuttosto che un quadro tragico e, perciò, tanto più inaccettabile e pericoloso. A questa idealizzazione alterata e corruttrice della natura umana, si sarebbe voluto fornire, in aggiunta, una rete di tutela normativa ferocemente repressiva di ogni diritto di opposizione e di critica, pur di garantirne addirittura la diffusione e la propaganda tra i più giovani.

Tuttavia, lo scopo dei proponenti del DDL non era solo la sua mera approvazione, ma, in via subordinata, quello di piantare una bandiera e di indicare un percorso verso cui i moderati si sarebbero dovuti orientare successivamente. Sarebbe bastato proporre un disegno di legge su un argomento analogo, magari più circoscritto, che fosse maggiormente accettabile per un più vasto e distratto mondo politico meno attento alle ricadute a lungo termine di norme apparentemente neutre.

E infatti, il 4 novembre scorso, è stato definitivamente approvato al senato un nuovo disegno di legge di iniziativa governativa, il n. 2437 concernente “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali” che apportando un emendamento al decreto legge 10/09/2021 n. 121, all’articolo 23, comma 4 bis da ora reciterà: «È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche».

La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre scorso, ed è perciò in vigore. Dunque in un testo di legge, apparentemente assolutamente estraneo ai temi pregnanti del DDL Zan, è stato inserito un riferimento esplicito all’identità di genere, vietando de facto qualsiasi forma di pubblicità (anche un cartello o un’insegna), che dovesse ribadire la verità sulla natura umana, dietro il pretesto della discriminazione.

Ecco che le idee sottostanti al progetto di legge Zan continuano a essere veicolate nella cultura del popolo italiano e a covare come uova del drago sotto la cenere. Bastarà davvero pochissimo per riaccendere un incendio che divampi e devasti quanto ancora si mantiene miracolosamente in piedi. Non potremo considerare chiusa la partita, insomma, fintanto che la anti-natura avrà finestre d’opportunità per avanzare obliquamente, propagandata dal mainstream, con l’indottrinamento dei fanciulli, con la repressione del dissenso, con l’ipocrisia delle libertà e dei diritti. La temporanea sconfitta del disegno di legge Zan non è un punto di arrivo, come alcuni potrebbero pensare, ma può e deve piuttosto essere il punto di partenza per un contrattacco determinato, indispensabile e ineludibile. Un contrattacco che non dovrà basarsi soltanto sulla rivendicazione della libertà d’espressione o su un generico concetto di libertà, se svincolate dalla verità.

Perché, non è in nome della libertà, ma della natura, della ragione e della verità che bisogna combattere la nefasta cultura sottesa al progetto di legge Zan.

C’è un’aspra battaglia di idee in corso. Ma con la chiarezza di princìpi filosofici e morali, professati e vissuti in modo integrale, con una strategia di opposizione totale e coerente, ancorata a ideali naturali di stampo realista – fondati dunque sulla realtà delle cose –, con la ferma convinzione di operare nel giusto schieramento, si può vincere la più radicale battaglia culturale del nostro tempo.

Enrico Marino

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5 Comments

  • Elisa Bertoldi 26 Novembre 2021

    “Con gli attacchi alla famiglia, come istituto derivante dalla natura umana, si arriva alla negazione stessa della natura umana.”
    Solo per questa frase dovreste farsi un grosso esame di coscienza e ricominciare a studiare un po’ sui libri.
    Sono sconcertata da quanto scritto in questo articolo.

    • Enrico Marino 27 Novembre 2021

      Gentile Signora, il suo sconcerto ci conforta massimamente perché ci assicura che la nostra posizione è in linea perfetta con la radicale opposizione che vogliamo portare avanti nei confronti del Ddl Zan e del pensiero che lo sostiene.
      Certo l’idea della famiglia come istituzione di diritto naturale è un oltraggio a chi concepisce lo stato di natura come libero, promiscuo e privo di regole.
      Ma anche volendo sostenere che è solo l’opera dell’uomo a fornire un rilievo sociale alla famiglia, non si terrebbe alcun conto del fatto che l’intervento umano è posteriore e si limita a regolare un fenomeno già presente e osservato in natura. Certo, nei secoli si sono avvicendati molteplici modelli di famiglia, ma noi oggi dobbiamo confrontarci col nostro, in rapporto a quelli che ci vengono proposti come alternativa.
      Senza dimenticare che, coloro che propongono famiglie arcobaleno o altro, implicitamente dimostrano di credere in questo istituto, che è considerato l’unico ideale per generare e crescere dei figli in un ambiente protetto e formativo.
      A questo punto, il suo sconcerto riflette esclusivamente la sua idea di famiglia rispetto a quella definita tradizionale.
      Però su questo non c’è possibilità di alcuna concessione, ma solo d’una contrapposizione irriducibile tra chi propone un modello, questo si, naturale di relazioni tra i sessi e chi ne propugna uno invertito, come una variante accettabile.
      E invece è inaccettabile se lo si vuole estendere, oltre la coppia, all’idea di un rapporto capace di generare una (impossibile) discendenza.

  • Paolo 30 Novembre 2021

    Pur avendo ereditato leggi contro l’omosessualità (non so quanto applicate oggi) dal civilissimo Paese europeo noto come Regno Unito, l’antica civiltà, tradizionalissima e immensamente religiosa, dell’India, ha da sempre avuto nella propria cultura la presenza del terzo sesso, in cui potevano e possono confluire tutte le persone con menti o corpi meno definibili da un punto di vista sessuale. Punto di vista, quello dell’esistenza e dell’importanza della differenza tra maschile e femminile, che in India è comunque fondamentale, radicato e tradizionalmente ben regolato, tanto da aver persino generato (giustamente) una serie di rigidi doveri che caratterizzano i compiti dell’uomo e della donna, soprattutto all’interno della famiglia (talvolta degenerando, come un tempo qui da noi, in gravi problemi per molte persone, soprattutto per la vita sociale di molte donne). Al di là degli inevitabili estremismi, questa è una dimostrazione di come ci possono essere punti di vista apparentemente inconciliabili (famiglia ultra tradizionale e terzo sesso) in una stessa società, senza che questo crei problemi all’identità delle persone. Infatti, se anche noi imparassimo (imparassimo, senza farcelo calare dall’alto da qualche volontà mondialista che nel frattempo erode TUTTO il resto) a riconoscere che l’identità fisica e psicologica non è granitica, ma che ciò non significa che non comporti diritti e doveri a seconda di quale delle tre si assume (tendenzialmente maschile, tendenzialmente femminile, o meno definita), sicuramente eviteremmo sia le storture ipertradizionaliste di un tempo (da cui, a differenza dell’India, ci siamo liberati o ci stiamo liberando), sia le possibili future storture che potrebbero derivare dall’introduzione, appunto dall’alto, di un concetto di per sé non problematico ma che attualmente viene introdotto in modo non meditato e non assimilato in modo maturo (è sufficiente notare che viene somministrato nei media con i loro programmi ridicoli, oppure mediante insegnamenti e libri che mostrano in modo superficiale come sia possibile “avere un sesso o una sessualità fluida”, senza sottolineare come questi siano casi limite che appartengono solo ad alcune persone già predisposte a non riconoscersi in un dato genere). Non problematico di per sé perché niente in tale concetto di “terzo genere non definito, o in transizione” evita alla maggior parte delle persone di formare e mantenere una famiglia tradizionale. Ad impedirlo è un’economia fatta a sfavore della maggior parte delle persone e un’educazione quasi assente, soprattutto dal punto di vista filosofico, nel senso più ampio del termine. È probabilmente vero che l’introduzione dall’alto di un concetto più fluido di alcune caratteristiche universali e quindi anche umane come la polarità maschile-femminile (tutte le polarità universali sono fluide, essendo apparenze di una unità fondamentale, come ogni filosofia di ogni epoca e latitudine ha compreso) può generare confusione se fatto nell’attuale modalità superficiale e probabilmente improntata a ridisegnare la società attraverso nuove tecniche di controllo (opposte a quelle del passato, dove l’identità doveva essere fin troppo rigida, per tutti). Ma chiedo sempre, a coloro che sono preoccupati di ciò: vi state preoccupando della teoria gender e delle leggi ad essa annesse perché temete che siano introdotte con metodi e scopi superficiali e per finalità funzionali al potere di pochi, oppure ve ne preoccupate perché, invece che una visione filosoficamente ampia e profonda, siete invece ancorati ad una visione tradizionalista e catechistica appartenente al passato della fetta di mondo locale, e in fondo considerate qualunque umano fuori da questa visione come un portatore di problemi fisici e/o mentali da riconvertire?

  • Roxanne 1 Dicembre 2021

    La verità e l’inversione… Il titolo stesso è esplicativo della Qualità (la maiuscola non è casuale, e lo si vedrà tra poco) che muove l’articolo. Il commento precedente al mio parla dell’India dal punto di vista storico-sociale, io lo farò dal punto di vista filosofico: nella tradizione filosofica di tale Paese ci sono tre Qualità che formano l’esistenza, ed è inutile riportarne il nome sanscrito perché le conosciamo anche noi: passività, attività, riflessività. Inerzia, accelerazione, equilibrio. Ottusità, frenesia, tranquillità. Intolleranza, permessività, comprensione. E così via, a seconda che l’ambito sia emotivo, fisico, psicologico, sociale, ecc. Ecco, c’è una particolarità, in queste Qualità universali: la prima assomiglia molto di più alla terza di quanto vi somigli la seconda. È facile da capire con degli esempi: una persona che corra intorno ad un albero è facile da riconoscere come una persona che si trova in una condizione fisicamente attiva, anche se la stiamo osservando distrattamente e da lontano. Ma una persona seduta sotto l’albero in che condizioni si trova? Siamo sicuri, per lo meno senza un’attenta osservazione, che stia dormendo, o che si senta male, o sia addirittura deceduta? Tutte condizioni fisicamente passive, inerti. E se invece stesse meditando, se stesse ponendo profonda attenzione a sé e/o all’ambiente circostante? Tutte condizioni riflessivi ed equilibrate, molto differenti da quelle passive ed ottuse sopra accennate, eppure ad una occhiata distratta o distante può non essere facile discernere la situazione. Ecco, con gli argomenti filosofici, psicologici e sociali spesso c’è lo stesso problema: trovandoci distratti (da pregiudizi ed intolleranze spesso inconsce) o trovandoci distanti da certi problemi, confondiamo la verità, elemento pienamente equilibrato, riflessivo, comprensivo, con una tradizione particolare radicatasi per motivi contingenti tutt’altro che universali, o con una condizione generale diffusa o tendenzialmente preponderante più per abitudine che per comprensione o giustizia, ovvero un qualcosa di per sé inerte, ottuso (anche se potenzialmente funzionale, quando la si rinnova e adatta ai cambiamenti senza mai perdere di vista la motivazione che l’ha generata). Ovvero, nel caso in esame: scambiamo la verità dell’esistenza di una dualità universale (tra cui quella maschio/femmina, che altro non è se non un’espressione particolare della dualità tra positivo e negativo, esplicito ed implicito, estrovertito ed introvertito, ecc.) con la sua applicazione sociale, psicologica e biologica all’interno di vari ambiti, come quelli di specie (in particolare quella umana), culturali, storici e geografici, che oltre che dinamici e complessi sono anche diversi in uno stesso contesto (individuale o collettivo) a distanza di tempo, o diversi tra due contesti (individuali o collettivi) contigui e simili in molti altri aspetti. Da qui, il credere che la generale (e quindi non universale, né di principio, e quindi tanto meno assoluta) applicazione della dualità maschio/femmina debba avvenire secondo modalità uguali in ogni luogo geografico, in ogni epoca, per ogni collettività, per ogni individuo, e per ogni caratteristica individuale (psicologica, sociale, fisica). E invece, in alcune specie viventi (certo molto diverse biologicamente da noi) la differenziazione sessuale avviene attraverso l’espressione di qualche decina di migliaia di sessi, incredibile o meno che sia, nonostante la dualità universale fondamentale a cui sottostà tutta l’esistenza rimanga quella maschile e femminile; in altre specie (già più vicine a noi) le strutture sessuali cambiano a seconda del periodo, passando da maschili a femminili e viceversa; in altre specie ancora (alcune ancora biologicamente e psicologicamente lontane da noi, altre molto vicine) l’orientamento sessuale non coincide con quello biologico, in alcuni esemplari; e nello stesso essere umano (e nei mammiferi in generale, e non solo) la base delle strutture sessuali sono femminili, e solo con lo sviluppo fetale c’è l’eventuale trasformazione di esse (ovaie in testicoli, clitoride in pene, utero in prostata, grandi labbra in scroto, tube in dotti deferenti, ecc., motivo per cui anche i maschi hanno i capezzoli, ed hanno anche le piccole labbra, pur se all’interno ed atrofizzate), tanto che, se lo sviluppo avviene parzialmente, alcuni individui mantengono strutture genitali intermedie, oppure, se lo sviluppo avviene con modalità differenti dalla media, assumono strutture cerebrali simili al sesso opposto (come l’ipotalamo in quei maschi che hanno maggior possibilità di sviluppare un orientamento omosessuale, che spesso in questi casi è più simile all’ipotalamo femminile; differenziazione cerebrale che, è interessante notare, non è molto presente nelle donne omosessuali, che non a caso hanno maggior possibilità di sviluppare la bisessualità rispetto ai maschi); la natura “se ne sbatte” delle tradizioni particolari di un Paese, mantenute magari solo per qualche secolo, e credute assolute, o comunque scese dal cielo, mentre invece si sono formate per motivi storici, a volte persini abietti. Di universale c’è solo una dualità di principio (e neanche un Principio va confuso con l’Assoluto, perché quest’ultimo è la realtà non definibile di tutto, mentre un Principio, per quanto Universale, è solo una tendenza, una “informazione”, con cui appunto si forma tutto l’esistente), ma le applicazioni di un principio non sono universali quanto il principio stesso, ma variano a seconda dei contesti, che sono variabili persino all’interno di una singola persona: e quindi, pur essendoci dietro il principio della dualità maschio-femmina, la sua applicazione può avvenire in modi differenti in alcuni casi (numericamente proporzionale a seconda di quanto servirà alla specie avere un numero di eccezioni rispetto alla media… e sul perché di questo si potrebbe aprire un discorso troppo ampio e persino apparentemente ambiguo nei confronti di certe “influenze mondialiste”), tanto da avere individui con una identità sessuale ben definita sia nei genitali che nel comportamento generale, che però sviluppano spontaneamente un orientamento sessuale diverso, non sempre in dipendenza dalle strutture biologiche, e anche senza influenze sociali “mondialisticamente gender” (non a caso ci sono omosessuali in ogni epoca… ed in ogni specie, dalle scimmie ai pesci). QUINDI: se una volontà umana di comodo, ai vertici nascosti delle società, vuole usare questa particolare differenziazione variegata dell’esistenza per creare semplice confusione di cui poi approfittare, è comprensibile voler portare di rimando un po’ di ordine. È come voler far riposare sotto l’albero la persona che è stata spronata con l’inganno a correre intorno all’albero in modo convulso e affannoso in modo che si stancasse e ci si potesse poi approfittare di lei. Ma pensare che il correre in sé sia dannoso e che l’equilibrio e il riposo siano costituiti dal sostare in eterno sotto l’albero, è ancora più dannoso. Si cerchi pure di far presente che l’omosessualità e la transessualità sono casi particolari spontanei per alcune persone e che non possono essere da esempio per tutti (perché effettivamente un esempio può portare ad una imitazione; anche se ciò avviene comunque solo quando c’è una qualche altra confusione più profonda e diffusa, non certo per colpa dell’esistenza spontanea di qualche eccezione all’interno di qualche ambito particolare), ma che, pur appartenendo solo ad alcune persone, sono caratteristiche da integrare e da far vivere serenamente all’interno di una società che però, contemporaneamente, deve far prosperare ogni famiglia, soprattutto quelle che hanno già spontaneamente alcune possibilità specifiche, come quelle della procreazione (ad esempio, all’interno della mia coppia, eterosessuale, non essendoci il desiderio e neanche le condizioni economiche particolarmente ideali per fare figli, siamo felici sapendo che certi aiuti sono dati soprattutto a coppie con figli, prima che a noi). Ma non si confonda, o
    si faccia finta (anche a sé stessi) di confondere questo con il (ri)portare una società ad una condizione che non è presente neanche in tutte le antiche civiltà (l’esempio storico-sociale dell’India sul terzo sesso del precedente commento è ben esplicativo), in cui una caratteristica diversa dalla media sia da reprimere o da convertire perché sarebbe un’inversione rispetto ad una “verità” rappresentata da una dualità (in questo caso “maschile/femminile”) che in nessun evento esistenziale si presenta in modalità assolute, cioè in modalità di cui si possa indicarne una tra le tante (fosse anche quella più diffusa e funzionale a certi scopi) potendo dire “solo quella è la verità, le altre modalità sono errori ed inversioni”. Sono eccezioni forse (con la loro ragion d’essere, per quanto poco evidente sia, e per quanto attualmente siano persino sfruttate da alcuni poteri per altri fini), ma non sono certo errori o inversioni della verità, e lo dimostra sia la loro spontaneità in tutte le culture (e specie), che la loro accettazione in culture antiche più tradizionali della nostra. Insomma, si deve tendere all’equilibrio nell’affrontare questo come ogni altro argomento, perché solo nell’equilibrio si può manifestare un’ombra di verità, unica manifestazione possibile di quest’ultima. Sapendo che, se non lo si sa fare, allora è persino meglio tendere verso l’apertura eccessiva ed indiscriminata (che è quella attuale) invece che per l’ottusità e la chiusura. Almeno l’apertura non si rischia di confonderla con l’equilibrio e con una ristretta verità assolutizzata.

  • Yos 2 Dicembre 2021

    In pratica, i commenti a questo articolo si potrebbero sintetizzare con: la famiglia è importante, è sicuramente espressione di principi e valori più elevati, ma la modalità di famiglia che conosciamo noi negli ultimi secoli dell’occidente non è certo l’unica forma di famiglia valida. Vorrei ben vedere: nel mondo e nei millenni ci sono e vi sono state forme di affetto, sessualità e convivenza di tutti i tipi, ci mancherebbe che qualcuno mi dicesse (per quanto io sia etero e attualmente monogamo) che il mio modo di costruirmi una famiglia è “contro natura” (e di sicuro neanche la maggior parte del movimento lgbtq direbbe questo delle famiglie etero, per fare un esempio, anche se personalmente sono sempre scettico dei movimenti, di qualunque tipo). Contro natura è quando non si prende seriamente la famiglia che si è costruito. E se qualcuno dice che le famiglie “non tradizionali” non sono stabili, non perderei neanche tempo a smontargli il suo pregiudizio, ma semplicemente gli direi di ricordare a tutti di essere più impegnati in ciò che hanno costruito (e questo vale anche per noi “etero monogami”, che se sfasciano le proprie famiglie non è certo per colpa del nuovo insegnante transessuale alla scuola del figlio, né è colpa della coppia gay della porta accanto). Effettivamente, alcune forme famigliari possono essere più problematiche da portare avanti (famiglie poligame e/o poliandriche con figli, ad esempio: e queste non sono certo il frutto della modernità: ci sono sempre state, e dove non ci sono state possono cominciare ad esserci, le tradizioni cambiano, a differenza dei principi; e i principi, in tutto questo argomento, sono rispetto, amore e unità, “non coppia etero con figli”). Dire che tutte le forme hanno diritto di esistere, non significa che tutte le forme siano identiche e con le stesse modalità di esistenza. Questo si può sottolineare, anche a costo di sentirsi chiamare “discriminatori”: effettivamente saper discriminare non è un’offesa, è una capacità, l’importante è che non diventi una scusa per denigrare o escludere ciò di cui si è semplicemente evidenziato le differenze. Se si spera di salvare le tradizioni (che possono continuare ad esistere, se sanno per lo meno convivere con i cambiamenti) confondendole con i principi, si fa il gioco delle élite mondialiste, e perderemo sia i principi che le tradizioni, anche solo perché non puoi vincere contro chi sa approfittare, positivamente, di coloro che sono stati non semplicemente discriminati in senso proprio ma letteralmente esclusi fino a ieri, e proprio da coloro che si facevano portavoce delle tradizioni, di per sé legittime se non imposte a tutti e se non scambiate per principi.

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