Il 27 ottobre scorso, con 154 voti favorevoli e 131 contro, il DDL Zan è stato bloccato, almeno temporaneamente e secondo la prassi ordinaria, prima di sei mesi non potrà essere ripresentato. Il DDL era stato presentato dall’onorevole Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico, il 2 maggio 2018 e approvato alla Camera il 4 novembre 2020. Tale progetto mirava a definire, anche a livello giuridico, il concetto di “identità di genere” volto a sovvertire la dicotomia maschile-femminile. Si può affermare che tramite tale sovvertimento l’obiettivo era quello di ridefinire la natura umana, declassandola da dato di realtà, indipendente dal pensiero, a semplice artefatto di quest’ultimo. Il tutto punendo chi avesse osato opporvisi: in definitiva, si voleva violentemente sostituire la menzogna alla verità sull’uomo. È quindi giusto gioire per quanto accaduto giacché, se tale legge fosse stata approvata, avrebbe introdotto una legittimazione giuridica a sostanziali manipolazioni della realtà, ma, ciononostante, l’euforia dei festeggiamenti non deve minimamente intaccare la cautela.
Il perché è presto detto: la legge Zan non mirava solo a introdurre degli elementi fuorvianti di gravissima entità sulla natura umana, bensì a conferire legittimità giuridica a quelle distorsioni del reale che sono già da tempo presenti nel substrato culturale del nostro paese. Il fatto stesso che si sia arrivati a discuterne in Parlamento rende palese tale situazione.
Le sinistre hanno provato a sfondare l’ultimo muro che si frappone alla demolizione della famiglia, ma hanno fallito anche se la solidità di tale muro è precaria, perchè già pieno di crepe aperte da decenni di predicazioni sovversive.
Con gli attacchi alla famiglia, come istituto derivante dalla natura umana, si arriva alla negazione stessa della natura umana. Se la natura non è più un dato oggettivo, metafisico e antecedente al pensiero stesso, vien da sé che anche la famiglia, a tale natura strettamente legata, venga meno. La teoria del gender, su cui si fonda il concetto di “identità di genere” espresso all’art. 1 del DDL Zan, non è altro che l’applicazione pratica della negazione della natura alla sfera dell’identità sessuale.
La definizione stessa dell’identità di genere, intesa come identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione, propone un modello di umanità alienata e fluida, disancorata dalla propria natura e spezzata, ma presuntuosamente rivendicato non come una condizione problematica, bensì come una orgogliosa affermazione. Un modello grottesco piuttosto che un quadro tragico e, perciò, tanto più inaccettabile e pericoloso. A questa idealizzazione alterata e corruttrice della natura umana, si sarebbe voluto fornire, in aggiunta, una rete di tutela normativa ferocemente repressiva di ogni diritto di opposizione e di critica, pur di garantirne addirittura la diffusione e la propaganda tra i più giovani.
Tuttavia, lo scopo dei proponenti del DDL non era solo la sua mera approvazione, ma, in via subordinata, quello di piantare una bandiera e di indicare un percorso verso cui i moderati si sarebbero dovuti orientare successivamente. Sarebbe bastato proporre un disegno di legge su un argomento analogo, magari più circoscritto, che fosse maggiormente accettabile per un più vasto e distratto mondo politico meno attento alle ricadute a lungo termine di norme apparentemente neutre.
E infatti, il 4 novembre scorso, è stato definitivamente approvato al senato un nuovo disegno di legge di iniziativa governativa, il n. 2437 concernente “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali” che apportando un emendamento al decreto legge 10/09/2021 n. 121, all’articolo 23, comma 4 bis da ora reciterà: «È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche».
La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre scorso, ed è perciò in vigore. Dunque in un testo di legge, apparentemente assolutamente estraneo ai temi pregnanti del DDL Zan, è stato inserito un riferimento esplicito all’identità di genere, vietando de facto qualsiasi forma di pubblicità (anche un cartello o un’insegna), che dovesse ribadire la verità sulla natura umana, dietro il pretesto della discriminazione.
Ecco che le idee sottostanti al progetto di legge Zan continuano a essere veicolate nella cultura del popolo italiano e a covare come uova del drago sotto la cenere. Bastarà davvero pochissimo per riaccendere un incendio che divampi e devasti quanto ancora si mantiene miracolosamente in piedi. Non potremo considerare chiusa la partita, insomma, fintanto che la anti-natura avrà finestre d’opportunità per avanzare obliquamente, propagandata dal mainstream, con l’indottrinamento dei fanciulli, con la repressione del dissenso, con l’ipocrisia delle libertà e dei diritti. La temporanea sconfitta del disegno di legge Zan non è un punto di arrivo, come alcuni potrebbero pensare, ma può e deve piuttosto essere il punto di partenza per un contrattacco determinato, indispensabile e ineludibile. Un contrattacco che non dovrà basarsi soltanto sulla rivendicazione della libertà d’espressione o su un generico concetto di libertà, se svincolate dalla verità.
Perché, non è in nome della libertà, ma della natura, della ragione e della verità che bisogna combattere la nefasta cultura sottesa al progetto di legge Zan.
C’è un’aspra battaglia di idee in corso. Ma con la chiarezza di princìpi filosofici e morali, professati e vissuti in modo integrale, con una strategia di opposizione totale e coerente, ancorata a ideali naturali di stampo realista – fondati dunque sulla realtà delle cose –, con la ferma convinzione di operare nel giusto schieramento, si può vincere la più radicale battaglia culturale del nostro tempo.
Enrico Marino
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