Gli antichi popoli dell’Occidente precristiano si organizzarono in aggregati umani all’interno dei quali la guerra rivestì un significato sociale-sacrale, così come la pratica dell’agricoltura e l’esercizio delle funzioni sacerdotali propriamente dette. Ogni attività dell’uomo arcaico venne sottoposta alla tutela dei Numi, senza la cui “supervisione”, nulla, neanche la creazione di imperi e dinastie, sarebbe stata realizzabile. Sulla base di tali presupposti culturali, la guerra non rappresentò soltanto lo strumento attraverso il quale, i popoli più forti e dotati si appropriarono delle risorse necessarie alla sopravvivenza a danno delle comunità più deboli ma, divenne progressivamente una sorta di “acqua corrosiva” in grado di trasfigurare l’uomo d’armi e di guidarlo verso la trascendenza. Ecco che la rudezza della vita militare, le costanti inibizioni, come forse avrebbe scritto Giuliano Kremmerz, dell’involucro saturniano, la trepidante veglia davanti ai fuochi del bivacco la notte precedente la battaglia, la cura meticolosa delle armi, le preghiere alle divinità, etc. tracciarono le linee guida della cosiddetta ascesi eroica alla dimensione soprasensibile; dimensione all’interno della quale anche i Numi comparivano (come nel caso di Wotan, dell’Ares Greco, del Marte romano e del San Michele Arcangelo giudeo-cristiano, etc.) cinti di splendide armature e recanti fra le mani i simboli olimpici e regali della spada o della lancia. Coloro che percorsero la Via dell’azione, furono in grado di realizzare il loro personale Separando, vincendo le contingenze di una vita approssimativa e raccogliticcia; sovrastando il terrore della morte con la quale essi impararono quotidianamente a convivere.
L’avvento del Cristianesimo ed il trionfo del culto della non violenza (in realtà di strumenti tutt’altro che pacifici si servirono i primi seguaci di Cristo, per affermare la supremazia della loro religione sull’ormai agonizzante paganesimo), decretarono l’esilio degli antichi Numi guerrieri che, carichi di pesanti e stridenti fardelli fatti d’armi spuntate ed ossidate dal tempo, si ritirarono
La Cerca interiore ed esteriore del Divino presuppone un atto di esemplare umiltà da parte di colui che intenda intraprenderla. Prima di indossare la cotta, di cingere l’usbergo e di montare a cavallo per percorrere le vie dell’Ignoto, il novello Cavaliere Errante dovrà fabbricare ermeticamente la spada con la quale si difenderà dai propri nemici visibili ed invisibili. Sguainato il proprio ferro interiore, egli dovrà pazientemente lavoralo con l’incudine ed il martello, dopo averlo esposto all’azione trasformatrice del Fuoco. Resa incandescente da quest’ultimo, la lama, sprigionando ossido di ferro (FeO), verrà liberata dalle scorie solforose e contestualmente irrobustita con l’innesto di Azoto (l’Azoth o Quintessenza degli alchimisti) ovvero di una sorta di Materia Esterna o Materia Prima sottile che ne aumenterà qualità e peso specifico. Il Ferro così amalgamato e lavorato dal martello (ossia dalle pratiche magico-rituali), fisserà le proprie qualità attraverso l’acqua (il potere argenteo della Luna, la runa Mannaz simbolo dell’Io Supremo) che raffreddandolo, gli conferirà tempra e compattezza. Quest’ultimo diverrà dunque il metallo più prossimo al Sole, ovvero quello che secondo l’opinione del Rupescissa risulta, per caratteristiche ed attitudini sostanziali, più di altri, agevolmente trasmutabile nell’Oro dei Filosofi. Abbandonati per sempre i campi di battaglia fatti di terra e fango, di sudore e di stridore di membra, i nuovi “aspiranti cavalieri” si cimenteranno nella lotta contro le vicissitudini dell’esistenza, realizzando il loro Separando attraverso lo sviluppo di un’attitudine magico-marziale alla lotta senza quartiere contro le invisibili Forze del Caos intente, nell’era delle “Veline”, a spazzare ogni residuo di spiritualità dal cuore dell’uomo, per sostituirlo con il culto evanescente di demoni internettizzati, modernisti ed antidivini.
NICODEMUS ULTOR M. Q. E.
CONFRATERNITA CAVALLERESCA DEL QUINTO VANGELO
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