9 Ottobre 2024
Appunti di Storia Storia

La volontà di rivincita: nascono i FdC, Roma 1919 (prima parte) – Giacinto Reale

Al vertice milanese del movimento fascista è subito chiaro che occorre una presenza nella Capitale. Anche qui Arditi, Futuristi, ex combattenti e studenti assicurano una buona base, e il capo può essere individuato nel giovane reduce Giuseppe Bottai. Vi è però, una concorrente, forte presenza nazionalista…

Se la data di fondazione del Fascio cittadino è, quasi ovunque, incerta, perché spesso articolata in vari momenti e basata sui ricordi di chi c’era piuttosto che su documentazione scritta, si può ben dire che Roma abbia un singolare primato. Qui sono addirittura quattro le date che si contendono l’onore.

Domenico Mario Leva, nell’unica ricostruzione completa degli avvenimenti, scritta in epoca fascista, la fissa al 20 aprile, mentre Chiurco la anticipa al 10 aprile, e la ricostruzione di Umberto Fabbri accenna al 2 maggio data nella quale egli stesso sarà nominato Segretario. Per non dire della generica lapide che alludeva a “marzo 1919” e che fu affissa in Corso Umberto (oggi via del Corso) al nr 101.

Perché questa è l’unica informazione certa. La sede viene stabilita in un palazzetto che già ospita la Associazione Arditi, la “Trento e Trieste” e altre Organizzazioni irredentiste.

Qui, e in un locale di vicolo Morgana, a marzo si tengono alcune riunioni preliminari, che consentono a Mario Carli, il maggiore esponente dell’Arditismo presente nella Capitale, di anticipare, alla riunione di San Sepolcro, il 23 marzo, la prossima costituzione del Fascio romano.

E infatti, verso la metà di aprile si svolge l’assemblea “di apertura” a Roma, che però praticamente coincide con una brutta notizia. Carli, che ha violato, con la sua attività politica, le norme che regolano i comportamenti degli Ufficiali non ancora smobilitati, viene trasferito, di lì a qualche giorno, a Cremona, e, come già detto, gli subentra, nell’incarico di responsabile, Umberto Fabbri.

Il clima di queste prime riunioni, preparatorie e non, in un ambiente “vivace” come quello romano, sarà efficacemente ricordato dallo stesso Carli:

La prima assemblea del Fascio romano fu tenuta in un piccolo locale di reduci al Vicolo Morgana. Fu una delle più tempestose assemblee a cui io abbia mai assistito. Aver presieduto un simile convegno di energumeni, è stata per me una delle più aspre battaglie della vita. Si trattava di mettere d’accordo repubblicani e nazionalisti, sindacalisti e liberali: un vero caos di tendenze e di passioni politiche , nel quale il comun denominatore di combattenti andava dissolvendosi per ricostituire le antiche frazioni e posizioni dell’anteguerra.

Il gruppo di spiriti nuovi che tentò di guidare la discussione (e con essi Bottai) non riuscì ad incanalare la coscienza collettiva verso quell’unità ideale e quei nuovi orientamenti che il convegno di Milano aveva delineato. (1)

 

Contribuiscono a questa situazione, insieme, vecchi politici locali, in massima parte repubblicani e socialisti interventisti, e “vergini alla politica” come sono ex Arditi e combattenti non rinunciatari. Con loro, e questa è una caratteristica tutta romana, una folta rappresentanza di nazionalisti, particolarmente forti in città, che però presto si allontaneranno, dopo aver constatato l’impossibilità di controllare gli intemperanti nuovi venuti.

A Roma, poi, in via del Boccaccio, vi è la redazione di “Roma futurista”, giornale affidato a Giuseppe Bottai, sotto la vigile sorveglianza di Filippo Tommaso Marinetti, ed intorno al quale gravitano molti giovani (vogliamo dire “intellettuali” ?) affascinati dalle idee del movimento.

Sono, però, gli Arditi a dare la linea al movimento e ad assumerne la guida, grazie alla presenza, sulla piazza romana, di elementi di sicura fama nell’ambiente combattentistico e non solo. Si tratta, a tutti gli effetti, di “uomini nuovi”, formatisi nel fango e nel pericolo delle trincee, che l’importanza di quella loro singolare formazione riconoscono, e ad essa non intendono rinunciare:

Gli è che gli “Arditi” non furono una “specialità” dell’Esercito, ma una categoria ideale del popolo italiano, che in loro espresse certe sue doti nuove, rivelate dal combattimento, e dal combattimento trasfuse nel suo modo di vita….Quei Battaglioni furono, intanto, una caratteristica manifestazione di volontà politica. Volontarismo, dunque ? Sì, ma bisogna intendersi. Un volontarismo di tipo nuovo, tipico, rivelatore di una coscienza politica inusitata a quei tempi. Basterebbe, se non altro, notare questo fatto: che fu un volontarismo di soldati già sotto le armi, che da uno, due, tre anni si battevano. Un volontarismo di “soldati” non un volontarismo di “borghesi”….Ebbene io penso che dal XXVII data la mia vita politica. Fino al passaggio nei ranghi del XXVII avevo fatto la guerra come meglio avevo potuto…Col XXVII era venuto a fare guerra e politica insieme: e la coscienza improvvisa di questa unità era, finalmente, quella coscienza militare nuova di cui s’aveva bisogno per vincere la guerra. Oggi è difficile ridire quanto e come fosse inebriante questa nuova coscienza: oggi che è di tutti. Ma allora ! Allora aveva sapore di eresia. (2)

Mario Carli, pugliese, ventiduenne, si è messo in luce, collaborando, prima della guerra, a varie riviste letterarie, ma è col combattimento, in prima linea, che consoliderà la sua fama.

Quella prima linea alla quale lui non era destinato, perché assegnato, a causa della forte miopia, ad un Reparto logistico nell’Avellinese, “diserta” alla prima occasione, per presentarsi ad una Unità combattente, e da lì poi, passare agli Arditi, nel XVIII Reparto, raggiungere il grado di Capitano e guadagnarsi una medaglia d’argento.

Porta al Fascio romano la sua personale fama nazionale, costruita sui due “appelli alle Fiamme” che pubblica –proprio su “Roma Futurista” il 20 settembre e il 10 dicembre del 1918.

Ad essi fa seguire, il 1° gennaio dell’anno dopo, la fondazione dell’Associazione fra gli Arditi d’Italia, che lo consacra, insieme col “milanese” Ferruccio Vecchi, figura più rappresentativa dell’Arditismo nazionale.

Percorso inverso fa, invece, Giuseppe Bottai, di poco più anziano, anche lui Ufficiale degli Arditi, al XXVII Reparto, anche lui decorato, e vera colonna portante del giornale futurista che proprio nella Capitale si stampa e alla Capitale si intitola.

Se Carli sarà preso, nei mesi a venire, dagli impegni sul territorio nazionale, Bottai resterà invece più stabile a Roma, parteciperà alle prime iniziative in provincia del Fascio, vedrà accrescere la sua fama tra iscritti e simpatizzanti, sì da essere candidato, poi eletto, –nonostante non abbia l’età prevista per legge- alle elezioni del 1921. La sua notorietà diventerà così presto nazionale, accompagnata dall’assunzione di un ruolo sempre più rilevante all’interno del Movimento destinato a trasformarsi in Partito.

Con loro, altri reduci, i quali, per i segni del valore che portano in petto, rappresentano una attrattiva calamita per tutti quelli che al fronte sono stati, dignitosamente e orgogliosamente, anche senza particolari eroismi, e, soprattutto per i giovani che, se hanno perso l’appuntamento con la guerra per motivi anagrafici, non intendono ora venire meno a quello che sentono essere il loro dovere verso l’Italia.

Per loro, è praticamente impossibile sottrarsi al fascino di uomini attivi sulla piazza romana, come il Tenente Umberto Beer, decorato con tre medaglie d’argento, che è stato tra i conquistatori del Col Moschin, Enrico Rocca, Ardito e scrittore dalle grandi capacità, il Capitano Piero Bolzon, decorato di medaglia d’argento e di bronzo, egli pure scrittore prolifico ed efficace.

I primi due, a testimonianza dell’incisiva presenza in città della loro antica comunità, sono di religione ebraica, così come Oscar Sinigaglia, pluridecorato, amico di d’Annunzio, che aiuterà ripetutamente e significativamente sotto il profilo finanziario nel corso dell’impresa fiumana, e che ora assicura, nel momento del bisogno, i necessari sussidi al Fascio capitolino.

È con queste basi che il Movimento inizia la sua attività a Roma. Si mettono in evidenza, già nelle prime settimane, elementi come Angelo Scambelluri, diciassettenne, che alla fine dell’anno lascerà la città per recarsi a Fiume (dove pure si distinguerà per coraggio e ardimento), e, al suo rientro, sarà il primo comandante delle squadre, Costanzo Premuti, ex Ufficiale di Cavalleria, repubblicano intransigente che, alle prime riunioni è tra i più attivi nel confronto-scontro con i cugini nazionalisti, e Enrico Maggi, ex Tenente decorato con due medaglie d’argento, generoso e impavido, del quale è stato scritto possedesse “una personalità che nasconde dietro un ostentato coraggio, che alle volte rasenta l’ìncoscienza, una grande fragilità psicologica interiore e, che lo porterà giovanissimo, a togliersi la vita”.

Personalmente, riterrei che la sua scelta estrema non sarà altro che una reazione (“estrema”, appunto) al malessere che colpirà non pochi dopo la fine dell’esaltante avventura squadrista, quando il ritorno ad una vita normale apparirà difficile. Ci saranno altri casi nel panorama nazionale, e la più credibile motivazione comune appare proprio questa.

Tutto di là da venire, in questo inizio del 1919 nel quale l’urgenza dell’azione nappare prevalente. Il 26 maggio si tiene un’assemblea che elegge un Direttivo di tredici nomi, mentre gli iscritti sono 286.

Tra di loro è prevalente un orientamento politico rivoluzionario (o, volgarmente, “di sinistra”), che, però, non intende arroccarsi sulle sue posizioni, al punto che una delle prime circolari, quella del 25 agosto, è redatta in due versioni, uguali nel contenuto, ma diverse nell’intestazione.

La prima, più “neutra” si indirizza agli “egregi consoci”, mentre l’altra, più esplicitamente, si rivolge ai “cari compagni”. Espressione che oggi può suscitare meraviglia, ma allora era normale anche in ambienti fascisti, se è vero com’è vero, che con essa inizierà il suo intervento, al Congresso di ottobre a Firenze, lo stesso Mussolini.

Per questi ed altri motivi, si può concordare, quindi, sul fatto che il Fascio diciannovista romano sia:

…piuttosto sbilanciato a sinistra, persino più del fascio bolognese. La ragione è che ai suoi esordi il fascismo capitolino si identifica con il futurismo più estremo e intransigente, e nasce come un’appendice dell’Associazione Arditi d’Italia. (3)

A dispetto di ogni buona intenzione, il clima generale in città si va facendo, verso la metà dell’anno, molto difficile. A molti sembra un punto di non ritorno quanto avviene verso la fine di giugno, con il metodico svaligiamento di molti negozi da parte di “squadre di vigilanza” organizzate dalla Camera del Lavoro di via Capo d’Africa, dove la merce sottratta ai legittimi proprietari viene–quasi tutta- consegnata. Buona parte finisce invece direttamente a casa dei più disinvolti tra gli svaligiatori, e non è infrequente incrociare cortei “armati” di fiaschi di vino e sacchi di farina, che se ne vanno cantando “Bandiera rossa” per le strade.

Contro tutto ciò, non è possibile una reazione degna di questo nome. Le Forze dell’Ordine, poche e anche poco motivate, corrono di qua e di là, ma non concludono niente. I nazionalisti, che pure hanno a Roma una discreta organizzazione “paramilitare”, sembrano piuttosto restii a scendere in piazza, mentre i fascisti sono ancora in numero troppo esiguo per evitare un sicuro massacro se accettassero lo scontro.

Anche il resto della città, un po’ impaurita, un pò “pigra” come vuole la sua fama, non reagisce come dovrebbe. Ai pochi fascisti non resta che industriarsi con piccole iniziative di contorno, come quella che emergerà nel ricordo di chi quegli anni vive, per esempio da studente, tra i colleghi, all’Università, nei giorni successivi alla riunione di San Sepolcro:

Circolavano un paio di copie del Popolo d’Italia del giorno innanzi che riportava quell’adunata; ora l’uno ora l’altro vi gettava sopra uno sguardo distratto, ma tutti manifestava no le loro opinioni assolute, perentorie.

Eravamo solo in due ad esprimere un giudizio favorevole all’avvenimento, io che leggevo spesso il giornale mussoliniano da quando aveva proclamato la lotta per la rivendicazione della Dalmazia italiana, e un compagno del Liceo Mamiani, Angelo Scambelluri, iscritto alle Avanguardie futuriste di Marinetti.

Tutti gli altri o sollevavano delle riserve più o meno profonde, o erano degli avversari decisi, intransigenti. (4)

Sul fronte avverso le cose vanno decisamente meglio. Il 19 marzo, nella sede della Lega dei macellai è costituito il Fascio Comunista Anarchico del Lazio, e il 10 aprile, proprio in coincidenza con la data più probabile della fondazione del Fascio di Combattimento cittadino, un forte corteo sovversivo, con i militanti armati di “robusti randelli” attraversa la città..

Il clima generale non è per niente rassicurante, e lascia intravedere le peggiori prospettive:

Dall’inizio del 1919 in poi fu una vera ubriacatura. Ci si trovava in ogni piazza d’Italia in centomila; la stampa socialista e rivoluzionaria andava a ruba; le sottoscrizioni per i giornali sovversivi raggiungevano somme prima reputate favolose. I Partiti proletari, specialmente il socialista, e le unioni di mestiere diventavano numerosissimi, pletorici. Tutti parlavano di rivoluzione; ed effettivamente la rivoluzione aveva il consenso del maggior numero, e gli stessi avversari vi si acconciavano. (5)

 

Ci sono, però, delle occasioni nelle quali anche un movimento in crisi di crescenza come quello fascista non può non esserci. In folta rappresentanza, i primi iscritti partecipano, per esempio, alla tre giorni romana di d’Annunzio, che arriva il 4 maggio per sollevarla questione fiumana.

Prima all’Augusteo, e poi in Campidoglio, la sua robusta oratoria infiamma gli animi, e non pochi, tra coloro che lo ascoltano, saranno i primi a partire per la città olocausta, già ad agosto.

E’ sempre la causa fiumana a provocare i primi incidenti che vedono in piazza i mussoliniani, non contro i sovversivi, ma contrapposti alle Forze dell’ordine, in una serata risoltasi fortunatamente senza vittime, a differenza si quanto avverrà un annetto dopo, quando la scomposta reazione delle Guardie Regie, agli ordini del Cesare Mori, provocherà 8 morti e numerosi feriti tra i civili, con un’ appendice costituita dai numerosi, indiscriminati arresti di Dalmati e Fiumani residenti nella Capitale.

La sera del 28 giugno, con inizio alle 21,00, in piazza Augusto Imperatore è programmata una robusta manifestazione irredentista, con la partecipazione di Arditi, Nazionalisti (oratore Corradini), Fascio di Combattimento (oratore Senigaglia) ed altre organizzazioni minori.

Intorno alle 20,30, le Autorità preposte all’ordine pubblico impongono il divieto di accesso al Teatro ai due-trecento Ufficiali in divisa che stazionano in piazza. La richiesta esplicita in tal senso è stata formulata dal Ministero della guerra, che ha inviato anche un Colonnello dei Bersaglieri per accertarsi dell’adempimento.

Ma ormai è tardi. La folla tumultua, supera i cordoni di Forza che circondano la sala, e sospinge letteralmente all’interno gli Ufficiali. Al termine degli interventi previsti, quando, se possibile, gli animi sono ancora più tesi, gli incidenti si ripetono all’uscita. Una quindicina di feriti dalle due parti e molti arresti tra i dimostranti.

Non sappiamo, ma non è improbabile, se di stimolo alla reazione dei manifestanti sia stato anche il recente incontro con Mussolini, al quale vogliono dimostrare di essere all’altezza dei distruttori milesi de “L’Avanti”, tre mesi prima.

Il futuro Duce è stato a Roma nei giorni precedenti, in occasione del primo Congresso dell’Associazione Nazionale Combattenti. Lì ha incontrato, oltre a d’Annunzio, anche i dirigenti del Fascio locale, e si è così consolato del fatto di non aver potuto parlare, in quanto presente ai lavori da giornalista e non da delegato. Al Congresso, tra lui e Giunta si è verificato un curioso incidente, che ha colpito tutti, e particolarmente un giovanissimo studente, che, ancora molti anni dopo, ricorderà la sdegnata reazione del Granatiere fiorentino nei confronti di un Mussolini che si lamenta della scarsa attenzione dei trinceristi verso il suo movimento:

A questo rimprovero, sia pure espresso con una forma velata, replicò immediatamente un lungo, smilzo Tenente dei Granatieri, con gli occhi grifagni e il naso adunco; un vero fiorentino, nel profilo e nel linguaggio. Chiaro, incisivo, la sua oratoria era spontanea, efficacissima:

“Non è vero, Benito Mussolini –egli disse- non è vero che i combattenti abbiano dimenticato “Il Popolo d’Italia” che, per più di tre anni, fu la loro bandiera nelle trincee dallo Stelvio al mare”.

Mussolini si alzò per stringere la mano all’Ufficiale dei Granatieri in divisa con una fila di distintivi azzurri sul petto; quell’Ufficiale era Francesco Giunta. Fu lì, alla sala della Tor de’ Conti che Benito Mussolini e Francesco Giunta si conobbero. (6)

Se Giunta, un annetto dopo, sarà il protagonista dell’incendio del Balkan, “atto di nascita dello squadrismo”, forse non esagerato parlare, per i fatti del 28 giugno, di battesimo del fuoco per i futuri squadristi romani.

 

 

 

NOTE

  1. Mario Carli, Giuseppe Bottai, Roma 1928, pag. 31
  2. Giuseppe Bottai, Prefazione a: Luigi Freguglia, XXVII Battaglione d’Assalto, Milano 1937, pag. 5
  3. Andrea Augello, Arditi contro, Milano 2017, pag. 38
  4. Alfredo Signoretti, Come diventai fascista, Roma 1967, pag. 7
  5. Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva, Bologna 1922, pag. 16
  6. Alfredo Signoretti, cit, pag. 61

 

 

FOTO 1: Mario Carli

FOTO 2: il palazzetto di Corso Umberto 101, prima sede del Fascio romano

 

 

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