Anche se la città conta la cifra, rispettabile per l’epoca, di 700.000 abitanti, anche a Roma a fare politica sono le cosiddette “minoranze attive”, tra le quali possono crearsi insospettabili convergenze. È così che una sera, in una trattoria di quartiere, allo stesso tavolo siedono, complottando, anarchici e fascisti…
Nelle successive, convulse giornate di luglio, prende corpo a Roma quello che passerà alla storia come il “complotto di Pietralata”, oggetto nel tempo di svariate falsificazioni, fino alla recente, convincente e documentata ricostruzione di Andrea Augello, che lo stesso Autore così sintetizza:
Per comprendere lo stato d’animo dei cospiratori, dobbiamo inserire l’episodio di Pietralata nella più ampia cornice del movimento preinsurrezionale contro il caroviveri che attraversa l’Italia in quei mesi, inaugurando il cosiddetto “biennio rosso” e della tensione determinata dalla crisi adriatica negli ambienti radicali dell’irredentismo e del nazionalismo. Soprattutto i fascisti di sinistra si sentono chiamati in causa da questo clima rivoluzionario. (1)
Due schieramenti opposti, quindi, ma convergenti nella circostanza, e non solo un –goffo- tentativo sovversivo per fornire un appoggio armato alle masse in rivolta per il caroviveri, così come è stato sempre descritto.
Se è possibile formulare qualche dubbio sulle motivazioni dell’abortito complotto, ciò che è, invece, indiscutibile è l’approssimatività con la quale tutta l’operazione viene condotta, che ne determina –ancor prima che inizi- il fallimento.
Assoluto protagonista, al punto di oscurare, nella narrazione successiva, tutti gli altri, è il romano, di estrazione alto borghese (il padre è il medico di Giolitti, mentre la madre discende da una delle più facoltose famiglie di Bevagna), Argo Secondari.
Entrato in contrasto con la famiglia, dopo le seconde nozze del padre, adolescente se ne va a vagabondare in Sud America, finchè, all’entrata in guerra dell’Italia, rientra, si arruola e raggiunge il grado di Tenente nel Battaglione Studenti degli Arditi, guadagnandosi due medaglie di bronzo ed una d’argento. Smobilitato, frequenta gli ambienti fascisti e “fiammeschi” della Capitale, mettendosi in mostra per la tempestosità di carattere che, pur in un ambiente popolato da tipi “estrosi”, appare fuor di misura, e ne fa un seminatore di zizzania ed elemento di disturbo.
Ancora nel 1920, quando cioè si va maturando la sua separazione dagli ambienti dell’Arditismo filofascista, e prima ancora che egli rappresenti un qualsivoglia “pericolo” per il Movimento mussoliniano, si merita il severo giudizio di Enrico Rocca, che, ex Ardito, opera sulla piazza romana:
La scissura nell’Associazione degli Arditi fu originata da ragioni del tutto interne, provocate da un mattoide, l’autore dei fatti di Pietralata, che seminò dissensi e disordini a scopo di mire personali. (2)
“Mattoide”: giudizio che va tenuto presente se si pensa al successivo ricovero dello stesso Secondari in manicomio, dove morirà, a 47 anni, nel 1942, venti anni dopo, cioè, quella bastonatura genericamente datata “ottobre 1922” (secondo certe fonti il 22 ottobre, secondo altre il 31) che alcuni vorrebbero alla base del ricovero e perfino della posteriore morte.
Nei primi mesi post smobilitazione, comunque, egli è sempre presente, negli ambienti combattentistici della Capitale, anche nelle iniziative più strampalate.
Quella programmata per il 7 luglio, per esempio, prevede la rivolta degli Arditi del XVII, accasermati nel forte di Pietralata, il contemporaneo ammutinamento del 2° Reggimento Bersaglieri, (dal quale sarebbero pronti a muovere almeno 400 uomini) e la mobilitazione di civili in armi –anarchici, ma non solo- in vari punti della città.
Per questo, la sera del 6 luglio, precedente alla programmata insurrezione, cioè, a cena all’osteria “Sora Nenna”, in piazza Apollinare, sono insieme a cena Secondari e il noto fascista, Tenente degli Arditi, Mario Kaiser Parodi, oltre al Caporale Gaetano Serena, dei Bersaglieri, che starebbe organizzando la rivolta del suo Reparto.
Della iniziativa –gli investigatori se ne faranno convinti nel corso delle successive indagini- sono anche a conoscenza Umberto Beer e Angelo Scambelluri, dirigenti del Fascio romano, mentre tra gli arrestati nelle retate dei giorni seguenti ci saranno l’Ardito Carlo Meraviglia e Aldo Paradisi, tra i primi aderenti al Movimento mussoliniano, Pietro Ribaldi, redattore de “Il Popolo d’Italia”, e qualcun altro compreso negli elenchi di Chiurco.
Inutile fare qui la cronaca dettagliata della serata e del fallimento dell’operazione (che ricorda, come è stato detto, anticipandoli, certi momenti del noto film “Vogliamo i Colonnelli”). Sta di fatto che, all’alba del 7 luglio, in carcere o nelle camere di sicurezza della Questura ci sono già una mezza dozzina di congiurati, ai quali, nel corso della giornata se ne aggiungeranno ancora un paio di decine.
Nelle stesse ore scoppia, a Trastevere e in altre zone della città, la rivolta popolare contro l’aumento dei prezzi, con assalti ai negozi e diffuse violenze, che hanno, comunque, il carattere della spontaneità e sono facilmente controllate dalle forze di Polizia.
Da qui nasce la versione successiva, che vuole il tentativo di Secondari tutto “di sinistra” e motivato dal solo intento di sostenere, con la presenza di uomini in armi, la rivolta popolare, in particolare procedendo alla distribuzione alle masse di viveri e generi di necessità sequestrati nei negozi.
Una versione delle intenzioni dei congiurati probabilmente riduttiva che, partendo dall’evidente fallimento, mira a ridimensionare quel che è successo la notte del 6, riducendo il tutto alla velleitaria iniziativa di un generoso idealista (Secondari, appunto) un po’ ingenuo, e, soprattutto, escludendo anche solo ogni ipotesi di un “tentativo rivoluzionario” ad opera di forze trasversali.
È per questo che, per esempio, Valerio Gentili, che nel suo “Roma combattente” che fa una più che benevola ricostruzione del “biennio rosso” romano, liquida i fatti di Pietralata, con la sbrigativa definizione di “episodio dai contorni oscuri per tanta storiografia ufficiale”, e quindi non valutabile sotto un profilo “scientificamente attendibile”.
Anch’egli, quindi, trascura, con l’evidente scopo di non avallare ogni sospetto di “trasversalità”, il fatto che, la stessa sera del 7, quando le notizie cominciano a filtrare, e in carcere vi sono già alcuni Arditi fascisti , si tenga, alla sala Garibaldi, di piazza delle Carrette, alla presenza di Ferruccio Vecchi, giunto appositamente da Milano (e la cosa è abbastanza singolare) e di Umberto Fabbri, Segretario del Fascio capitolino, una tempestosa riunione di Arditi e fascisti.
Il tema è quello dell’appoggio fascista –che non viene negato- ai rivoltosi della mattina e la fattibilità –che viene realisticamente messa in dubbio- di un più generale moto rivoluzionario.
Contro, per un’azione rivoluzionaria, si esprime Vecchi, che annuncia l’ intenzione di marciare sul Parlamento, con i suoi Arditi, la mattina del giorno 9 e attacca violentemente la prudenza del Fascio romano.
Poi, in effetti, vista la pronta prevenzione del Questore Cesare Mori, che, informato dai soliti infiltrati, fa presidiare il centro cittadino e i possibili obiettivi da centinaia di poliziotti e Carabinieri, tutto si risolverà in una bolla di sapone, e l’irruento Capitano degli Arditi entrerà sì in Parlamento, qualche giorno dopo, ma solo per insultare, dalle tribune, insieme, con Marinetti, i rinunciatari che lo popolano:
Marinetti (ad altissima voce): “A nome dei Fasci di combattimento, dei Futuristi e degli intellettuali, protesto per la vostra politica e vi urlo: “Abbasso Nitti! Morte al giolittismo!” Dichiaro che non può sussistere il Ministero dei sabotatori della Vittoria, degli schiaffeggiatori degli Ufficiali, un Ministero che si difende coi Carabinieri e coi poliziotti! La vostra viltà è lo scherno più grossolano ai sacrifici dei combattenti, che vi disprezzano e vi negano ogni diritto di rappresentarli più oltre. Vergognatevi! La gioventù italiana, per bocca mia vi urla: “Fate schifo! Fate schifo!”
Confusione, grida, urli, lotta di Marinetti con gli uscieri e i Carabinieri, mentre Vecchi continua a inveire contro Nitti ad alta voce. (3)
Anche se abortita, l’iniziale idea di Vecchi sembra, sia pure vista col senno di poi, la stessa idea di Secondari e compagni che intendevano esautorare l’organo politico eletto e procedere alla nomina di una Costituente. Se pure un collegamento ideale tra le due – tentate – azioni può sembrare una forzatura, mi è parso utile proporre la possibilità (seguendo la traccia del pluricitato libro di Augello), almeno come testimonianza di un “clima” che attraversa gli schieramenti anche contrapposti e mira a realizzare le promesse di giustizia sociale che erano state fatte prima, durante e dopo la guerra.
Anche la convergenza tra settori del combattentismo d’elite vicini al fascismo e ambienti dell’anarchismo tradizionale non deve stupire. Poco più di un anno dopo, a Milano, toccherà a Mario Carli, che con Vecchi è la massima espressione dell’Arditismo postbellico, dare vita a un simile connubio.
Nella notte del 28 dicembre del 1920, un assortito gruppo di fascisti, dannunziani, anarchici ed ex legionari si radunerà dietro le scuole dei Bastioni di Porta Volta, con lo scopo di realizzare un attentato contro le centrali elettriche di viale Gadio e viale Elvezia. A seguire, nella città immersa nel buio, sarebbero stati realizzati altri attentati.
Qui, se le motivazioni dello scomposto complottare sono diverse, da cercarsi, insieme, nel fascistico appoggio all’impresa fiumana ormai all’epilogo, e nella tradizionale volontà di rivolta anarchica, identico è il modo di procedere arruffone e sconsiderato dei complottisti, che, prima di poter anche solo avviare la realizzazione del loro intento, saranno, come a Roma, arrestati e neutralizzati.
Forse si tratta solo di manifestazioni dell’irrequietezza dei tempi e della forte presenza di elementi che l’esperienza di guerra ha convinto della prevalenza dell’azione e dell’esempio sulle parole, ma certo è che i fatti fanno a pugni con la tesi prevalente di un fascismo schierato all’inizio (Pietralata data a luglio del ’19), ma ancora destinato a restare per molto (i fatti di Milano sono di dicembre ’20, quando cioè la famosa “svolta a destra” defeliciana si sarebbe già realizzata) dalla parte della conservazione più reazionaria.
Va aggiunto, a questo proposito, che tale tesi, che vuole oscurare le vere intenzioni dei fascisti e viene diffusa da subito, trova (crede di trovare) appiglio proprio in alcune manifestazioni del primo fascismo che nella Capitale hanno grande risonanza. Intendo alludere nell’intervento di volontari mussoliniani in occasione degli scioperi, in sostituzione del personale assente.
A Roma, per esempio, in prima fila in questa attività è Ines Donati, la futura “Capitana”. Ella sarà presente già in occasione degli scioperi del 1919, e “bisserà” in quelli dell’anno successivo, lasciandocene un divertente ricordo:
Mercoledì mattina mi recavo all’Istituto (allude alla Scuola d’Arte che frequenta ndr), quando fui colpita vedendo via di Ripetta ridotta in uno stato miserando. Colta da una subitanea idea, mi misi in giro per cercare una scopa. La trovai in una caserma di Carabinieri, e mi misi all’opera. La gente mi guardava meravigliata, soffermandosi. Le mie compagne mi guardavano dalle finestre dell’Istituto insieme ai professori che ridevano a crepapelle. Senza affatto sgomentarmi, mi diedi a spazzare fra il generale commento.
In via della Croce nacquero dei diverbi fra socialisti e nazionalisti, fra i quali io fui in procinto di voltare la scopa e darla in testa al primo malcapitato. Accorsero Guardie Regie e Carabinieri che posero fine agli incidenti.
Poi, tra la vigilanza di questi e l’ammirazione di molti, seguitai il faticoso ufficio. (4)
Il racconto conferma il fatto che i volenterosi fascisti intervengano solo in caso di sciopero che interessi un pubblico servizio (poste, tram, ferrovie, elettricità, treni), quando, cioè il danno sarebbe dell’intera comunità, e non vi è un “padrone” da tutelare.
Questa speciale caratteristica sarà confermata dalla costituzione, a gennaio del 1920, e sempre a Roma di una “Associazione Volontari dei Pubblici Servizi”, che già nel nome individua con precisione gli obiettivi dei “volontari”.
Non esistono, peraltro, casi di interventi fascisti per sgomberare le fabbriche occupate nel “biennio rosso”. Nemmeno a Torino, nemmeno dopo che negli stabilimenti cittadini in mano agli scioperanti, saranno barbaramente trucidati, a settembre, Costantino Scimula e Mario Sonzini. Fascista il primo, nazionalista il secondo, condannati da un improvvisato tribunale rosso ad essere gettati negli alti forni degli stabilimenti Fiat, saranno invece trascinati in aperta campagna e ivi uccisi, col classico colpo alla nuca, solo perché i forni verranno trovati spenti proprio per lo sciopero.
Anzi, il Comitato centrale dei Fasci, con una sua dichiarazione del luglio 1920 si schiererà a favore degli occupanti, condividendo le motivazioni dell’agitazione.
Questo, quindi, il contesto che rende plausibile, nel caso di Pietralata, la convergenza tra anarchici e fascisti. Indizi posso essere considerati il fatto che Carli dimostri particolare interesse, dopo gli arresti del 7 luglio, per le sorti dei reclusi, fino al punto da chiedere, per bocca di un suo sodale, il Tenente Amodio, l’eliminazione fisica dell’Ardito Sinibaldi, che sarebbe stato il traditore della congiura e che abbiano credito le voci – rivelatesi però inattendibili – di una fuga a Fiume del latitante Secondari, aiutato da Scambelluri che è stato tra i primi, già il 7 agosto, a raggiungere la città.
Proprio Fiume rappresenta ormai il motivo dominante dell’azione fascista, già a partire dalla fine dell’estate. Ai primi di agosto, come accennato, parte, inventandosi – per sviare ricerche poliziesche – una fuga in terra di colonia alla ricerca di avventura, lo stesso Angelo Scambelluri, che lascia il Fascio e si va ad inquadrare nella Legione fiumana di Host Venturi, insieme ad altri giovani camerati, provenienti da tutta Italia ed entusiasti come lui.
Lasciano Roma animati dalla ferma intenzione di fare quello che sentono essere il loro dovere (cosa che non hanno potuto fare, nella maggior parte dei casi, per la giovane età, in guerra) verso la Patria, ed hanno per viatico la lettera, firmata da Host Venturi stesso, che dice:
Egregio signore,
ogni voce che giunge dalla Madre Patria è un incoraggiamento a seguire con più lena ed ardore la santa lotta che abbiamo intrapreso.
Accettiamo senz’altro la sua offerta, e da oggi la consideriamo come facente parte della nostra Legione.
Sia pronto ad essere con noi nell’ora utile. Al momento opportuno, sarà da noi avvisato.
Nell’attesa, sia nostro fervente propagandista, e sappia portare a noi altri Italiani.
Fiume nostra ha oggi bisogno di tutti gli animi che all’Italia sono arrabbiatamente attaccati. (5)
Quelli che restano nelle città si industriano per fare del loro meglio su vari fronti. Contro i sovversivi, negatori della Patria e del sacrificio della guerra, oltre che adoratori del sanguinario esempio leninista che viene dalla Russia, contro il Governo, incapace di ottenere, sul piano internazionale il riconoscimento dei diritti della vittoria, contro il moderatismo di ogni tipo, che fa del quieto vivere una regola di vita e vuole castrare la volontà rivoluzionaria dei più giovani.
Otto giorni dopo l’ingresso di d’Annunzio, il Fascio romano fa affiggere alle cantonate questo manifesto:
Italiani,
la quindicesima battaglia è incominciata.
Figgete gli occhi alla meta che dobbiamo guadagnare; alla meta che è scolpita nel cuore di ognuno, senza che alcun labbro l’abbia formulata in parole.
“T’arma e non parla” è stato il motto.
Fiume è diventata la capitale delle terre non ancora redente.
Fiume è oggi la capitale della nuova Italia. (6)
NOTE
- Andrea Augello, Arditi contro, Milano 2017, pag. 52
- in: Ferdinando Cordova, Arditi e Legionari dannunziani, Roma 2007, pag. 111
- Filippo Tommaso Marinetti, Futurismo e fascismo, Foligno 1924, pag. 185
- Alfonso D’Agostino-Carlo Pocci Sanguigni, Ines Donati, Roma 1926, pag. 95
- Copia in possesso dell’A.
- Domenico Mario Leva, Cronache del fascismo romano, pag. 64
FOTO 3: Il forte di Pietralata
FOTO 4: Angelo Scambelluri, con Piera Fondelli, futura Comandante del SAF