7 Ottobre 2024
Appunti di Storia Storia

La volontà di rivincita: nascono i FdC, Roma 1919 (terza parte) – Giacinto Reale

La fine dell’anno trova, anche nella Capitale, il Fascio sulla difensiva. Assottigliate le fila a causa delle partenze per Fiume e della delusione elettorale, sembra inevitabile il declino, mentre la persecuzione poliziesca non dà tregua e provocherà, nel successivo maggio, 8 morti e decine di feriti nel corso di una pacifica manifestazione di ricordo della Vittoria.

 

Chiurco, nella sua monumentale opera, fornisce un elenco di un’ottantina di squadristi diciannovisti. Trentuno gli ex combattenti, quasi tutti Arditi, e quarantotto i “borghesi”, quasi tutti studenti. Non è un grande numero, e, per di più, è probabilmente variabile nel tempo. Il momento di massima presenza coincide con le elezioni di novembre, alle quali il Fascio, nella impossibilità di presentare una lista propria, decide – non senza sofferenza – di partecipare appoggiando la lista “nazionale”:

…la polemica interna si riaccese in occasione delle politiche di novembre, quando il Fascio romano decise di partecipare alle elezioni in un cartello di destra, l’ Alleanza Nazionale, insieme all’Associazione Liberale, al Gruppo Nazionalista Romano, all’Associazione fra i Volontari di Guerra e all’Associazione fra gli Arditi d’Italia.

La decisione di partecipare a questa alleanza era stata presa il 21 ottobre in un’assemblea nella quale erano stati soprattutto i nazionalisti ad insistere perché il Fascio facesse parte di un raggruppamento “d’ordine”, ma non senza contrasti, per l’opposizione soprattutto di Umberto Fabbri. (1)

E, dal momento che, come detto in un manifesto: “dal partito popolare ci divide la sua confessionalità e da quello socialista la negazione della Patria”, si tratta, in realtà, di una decisione coerente con i postulati del Congresso di Firenze di ottobre, che ha sostanzialmente sposato la tesi del “caso per caso”, con l’unica preclusione verso i neutralisti e i disertori di ieri.

Al Congresso Roma è stata ben rappresentata, con sei delegati, tra i quali spiccano. Rodolfo De Martino, Enrico Rocca, Gaetano Polverelli e Umberto Fabbri. Al termine dei lavori, il primo entrerà anche nel Comitato Centrale, a dimostrazione del fatto che il vertice milanese conta su un futuro sviluppo nella capitale.

Fabbri è, invece, relatore sul programma sociale ed economico del Movimento, ed è da ritenere che impronti l’ intervento alle sue idee, potremmo dire di una sinistra molto “spinta”, ma che a Roma, come ha dimostrato la sua elezione a Segretario, trovano forte consenso.

Acceso repubblicano, non disposto ad accantonare la via del dialogo con gli avversari più attivi sulle piazze, ancora nel 1924 elaborerà una teoria abbastanza originale:

Prima di inoltrarci nell’esame dell’opera compiuta dal Governo fascista in questi ultimi due anni, crediamo utile sfatare una leggenda di marca demo-liberale, avvalorata da coloro che entrarono nelle file del Movimento fascista nel 1920, e cioè quando già imperversava in Italia la follia bolscevica. Il fascismo non ha sortito la sua origine dalla necessità di contrapporsi al comunismo, perché questo cominciò ad affermarsi in Italia alla fine del ’19, mentre i Fasci di combattimento sorsero in Italia il 23 marzo del ’19, e si diffusero fulmineamente in tutta Italia tra l’aprile e il maggio di quell’anno. (2)

 

Se è comprensibile l’orgoglio diciannovista che rivendica la primazia nel Movimento, ancora nel 1924, l’analisi appare, per il resto, francamente discutibile, tutta costruita su un questione nominalistica che nasconde il fatto che sì, nel 1919 un Partito comunista in Italia non c’era (ancora), ma esisteva un molto combattivo Partito socialista, negatore della Patria, dell’opera e dei diritti dei combattenti, e già teso all’adorazione del mito della rivoluzione bolscevica.

Soprattutto l’esperienza interventista prima, di guerra poi, e non rinunciataria alla fine, divide i fronti, e non è un caso se, anche per meritarsi la stima del vertice, nella sede del Fascio è particolarmente attivo un Ufficio di reclutamento dei volontari per Fiume, che si guadagnerà la speciale attenzione delle Autorità di polizia e giudiziarie, che sfocerà, nel 1921, in un processo a carico di Ulisse Igliori “per avere in Roma… con arruolamenti di giovani diretti a Fiume quali legionari, esposto lo Stato al pericolo di una guerra”.

C’è chi parte, quindi, e chi resta, a proseguire nelle città la stessa battaglia. Il 4 ottobre, in Piazza di Pietra, un contraddittorio tra il nazionalista Luigi Federzoni e il socialista Ettore Ciccotti innesca violentissimi incidenti, che vedono affiancate, il leale ossequio all’alleanza, camicie nere e camicie azzurre dei “Sempre pronti”.

Il risultato delle urne darà praticamente appaiati, con 45.000 voti, socialisti, popolari e demoliberali, mentre staccata di 20.000 voti è la lista di Alleanza Nazionale.

Eletti il nazionalista Luigi Federzoni e il liberale Gioacchino Mecheri, resta al palo il candidato fascista che è Vico Pellizzari.

Un risultato inferiore alle attese, che forse era stato preconizzato negli ambienti reducistici. A fine ottobre, infatti, un’assemblea dell’Associazione Arditi, peraltro non molto riuscita, con la partecipazione di appena una trentina di membri, aveva preso atto, con rammarico, dell’assenza di rappresentanti del “vero” combattentismo nelle liste elettorali, e preconizzato che ciò non lasciava ben sperare.

Ciò non toglie che le “Fiamme” partecipino, a modo loro, come si è accennato, alla difesa dei comizi degli oratori nazionalisti, che appaiono gli unici sensibili alle ragioni dei combattenti. Si tratta, però di una soluzione di ripiego, che sarà smentita già a dicembre, quando la direzione della sezione romana dell’ANAI verrà affidata a Bottai, che si presenterà con un articolo –certamente da lui ispirato- del suo giornale “Roma Futurista”:

Ai nullisti egli ha fatto sapere per mezzo di una lettera, che rinunciassero d’ora in poi a servirsi dell’Associazione come di cosa loro,m dato che ogni contatto doveva essere rotto con le destre. E ha mandato contemporaneamente un saluto a Benito Mussolini. Liberali e nazionalisti non potranno così più servirsi per i loro scopi del nome e delle persone degli Arditi, a cui ben altro compito sta per essere affidato. A Roma come in tutta Italia. (3)

 

Presa di distanze giusta e logica, ma che non vuol dire estraniamento dalla lotta politica di ogni giorno.

Il 2 dicembre viene inauguratala XXV Legislatura, e i Deputati socialisti, come avevano preannunciato, abbandonano la sala all’ingresso del Re. Un atteggiamento che non può lasciare indifferenti nemmeno coloro che, pur senza essere strenui monarchici (e tra i fascisti ve ne sono non pochi), in quel momento vedono nel Sovrano il “Re soldato” che portò l’Italia alla vittoria.

Al termine dei lavori, nelle strade adiacenti il Parlamento, presidiate dalle Guardie Regie, che fanno così la loro prima apparizione in pubblico, si scatena la caccia al parlamentare socialista, facilmente riconoscibile per il vezzo di portare lunghe palandrane, cappellacci e svolazzanti cravatte nere. Il clima, comunque, è quasi burlesco:

Un gruppo di fascisti, in piazza del Pantheon s’incontra con un onorevole socialista.

“Morte al PUS” grida un fascista.

“Siamo più vivi che mai!” risponde il deputato.

Ma i fascisti lo prendono e lo costringono a gridare “Viva il Re!”, e, poichè nella breve colluttazione era rimasta loro in mano la cravatta nera del malcapitato, tra le più matte risate, fatto un piccolo falò, la bruciano in mezzo alla piazza.

Per tuta la giornata, tiepida e serena della bella estate di San Martino romana, il popolo dell’Urbe manifestò con una serie di incidenti più o meno gravi il suo sdegno verso la bestia trionfante. (4)

 

I fatti di Roma avranno ripercussioni in tutta Italia, con manifestazioni e scioperi a Milano, Napoli, Genova e altrove. A Torino, il giorno 3, ci sarà anche un morto, destinato ad essere ricordato come la prima vittima fascista della città. Pierino Del Piano, studente diciannovenne, reduce di guerra, che si rifiuta di gridare “Abbasso l’Italia”, e viene ucciso dagli scioperanti.

Una tragica, imprevedibile conseguenza di quella che, in realtà, è stata una manifestazione praticamente spontanea, priva di connotati di vera violenza, nemmeno lontanamente paragonabile alle prime avvisaglie di ciò che, nei mesi a venire, avverrà, soprattutto da Firenze in su.

Va detto, a questo proposito, che normalmente si tende a sottovalutare la capacità “offensiva” del fascismo romano, che pure non sarà degli ultimi, perché, per esempio, gli Arditi del Popolo, nella Capitale, che li vedrà nascere, e dove avranno una ramificata organizzazione per quartieri, saranno sempre efficacemente contrastati, anche nelle troppo enfatizzate giornate congressuali del novembre del ’21.

Le squadre romane sosterranno, in quella occasione, l’onere più pesante nell’azione di contrasto antisovversivo, così come, ad agosto dell’anno dopo, stroncheranno praticamente sul nascere lo “sciopero legalitario” in città.

Per non dire della provincia, dove saranno proprio i romani, prima con Bottai e Scambelluri, dopo con Igliori, Calza Bini e Pollastrini, a ridurre al silenzio vere roccaforti “rosse” come Civitavecchia e Viterbo.

Un mito “in negativo”, quindi, da sfatare, quello della subalternità dello squadrismo capitolino, nonostante abbia trovato terreno fertile anche in ambienti fascisti. Lo stesso Mussolini sarà forse ingeneroso, parlando con De Begnac proprio del periodo iniziale:

Marinetti giurava sull’efficienza del fascismo romano, praticamente inesistente sul piano operativo. Pensava che Ulisse Igliori, Giuseppe Bottai, Mario Carli, Nino Businelli, Nino d’Aroma, Enrico Rocca costituissero un esercito; che i piccoli periodici la cui diffusione andava dalla terza saletta di Aragno alla sala corse degli Avignonesi alla galleria San Marcello, fossero le artiglierie capaci di sfondare i portoni del Viminale. Marinetti, peraltro, infiammava le platee dei giovani che salutavano in lui veramente il principe della giovinezza letteraria italiana. (5)

 

E non da meno sarà Bottai, che pure dell’avventura squadrista romana era stato protagonista, avallando quasi, con la sua testimonianza riferita ai camerati camionisti di allora, quella sensazione di inferiorità della quale dicevo prima:

Spesso, anzi, il paragone con le altre province li tormentava, l’induceva ad assurdi confronti: e pareva loro di non esser degni degli esempi che ci venivano specie dalle regioni del Nord, dalla Valle Padana e dalla contigua Toscana. Avrebbero dato corpo ai fantasmi, pur di inventarselo un comunismo da combattere con le stesse armi e lo stesso ardore di sacrificio di quei loro compagni. (6)

Indubbiamente, anche a Roma, dopo il 1919, pure il 1920 sarà un anno di attesa, con il sovversivismo all’attacco nelle giornate della rivolta contro il caroviveri, e i fascisti incerti sul da fare.

La svolta, anche qui, si avrà con l’epilogo dell’avventura fiumana e il rientro dei Legionari. Trai primi, Scambelluri, che ferito, riprenderà il suo posto in linea, e poi, soprattutto, Ulisse Igliori, medaglia d’oro e d‘argento in guerra, mutilato, e poi “Ufficiale di ordinanza” di d’Annunzio a Fiume.

Sarà lui il capo dello squadrismo romano nel periodo della vigilia, sempre presente nella Capitale (dove verrà nuovamente ferito), in provincia e nell’intera regione, fino alla Marcia, quando assumerà il ruolo di capo-colonna.

Con lui, e forse ancor più amato dalla base squadrista, che lo sente più “vicino” del superdecorato di guerra, ci sarà Gino Calza Bini. Di questo personaggio, che “con uno sguardo, una parola rendeva calmi e mansueti ai suoi ordini colossi del pugno facile quali erano i capi delle squadre d’azione”, colpisce la descrizione che ne fa, nel suo libro di memorie, Alfredo Signoretti:

Entrarono a far parte del Fascio romano anche elementi nuovi; uno fra essi doveva diventare subito un capo, Gino Calza Bini, sia per la sua attività frenetica, sia per le doti di simpatica bonomia. Basso, nero di occhi e di folte sopracciglia, con un volto marcato, con alle labbra sempre pendolante una Macedonia, questo “romanaccio de Roma”che parlava il romanesco più schietto, che aveva sempre pronta la frase sarcastica, dall’oratoria bonaria e senza retorica, seppe conquistarsi rapidamente grande popolarità, specialmente tra i fascisti più giovani e più umili. (7)

Alla crescita del Movimento nella Capitale farà da controcanto la fine della iniziale subalternità con gli Arditi, e l’affermarsi di qualche incrinatura nei rapporti con i nazionalisti.

Si renderà, perciò, necessaria –anche per il sempre maggiore afflusso di uomini- la ricerca di una sede autonoma, diversa da quella “condominiale” di Corso Umberto.

Prima in via Laurina, “due stanzette e una sala un po’ più ampia per riunioni, al primo piano buio, con scale consunte”, e poi in locali più ampi –anche se pur sempre di fortuna- in via degli Avignonesi, quasi all’angolo di via Quattro Fontane: “in uno scantinato che era stato utilizzato quale sala per bigliardi. Con dei tramezzi di legno furono predisposti degli sgabuzzini per gli uffici, mentre restava libero un salone rettangolare per le riunioni”.

Scelte immobiliari costrette dalla penuria dei mezzi e dalla natura degli uomini che non amano gli orpelli e dal popolo più schietto vengono.

Un ritorno all’antico, verrebbe da dire, a quel primissimo Fascio romano “sbilanciato a sinistra, persino più del Fascio bolognese” del quale abbiamo detto.

Nei mesi a venire, la barra sarà tenuta dritta in questa direzione. Gino Calza Bini, vero dominus in città non ha certamente nulla a che spartire con destre e reazionarismo vari. Con lui la gente dei quartieri, che solo a fatica e dopo molto tempo sarà sostituita –almeno negli incarichi di vertice- dalla borghesia del “generone” e da qualche aristocratico in decadimento.

Con la Repubblica Sociale, nuovo ritorno alle origini. Gli ex squadristi Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini riapriranno la Federazione, con il vecchio entusiasmo e le vecchie idee, così come faranno Raffaele Manganiello a Firenze e Franco Colombo a Milano, uomini delle squadre anche loro.

Una decina di giorni dopo l’insediamento, si presenteranno al Monte di Pietà e ordineranno lo “spignoramento” d’autorità di tutti i piccoli debiti, che sono poi quelli comuni alla povera gente: braccialetti, collanine, corredi, i ricordi di una vita migliore.

Il giorno dopo, riprendendo una iniziativa squadrista dell’estate del 1921, quando era stato imposto con la forza il calmieramento dei prezzi a commercianti avidi, le squadre si recheranno ai Mercati Generali e provvederanno al sequestro di merci imboscate e pronte da essere passate al mercato nero.

Poco dopo, non appena si saranno resi disponibili nuovi locali in via Veneto (il vecchio Ministero delle Corporazioni), Palazzo Braschi, che frattanto era diventato sede della Federazione fascista repubblicana, verrà liberato e destinato ad ospitare sfollati e quanti hanno avuto la casa distrutta dai bombardamenti. Un altro piccolo gesto, che realizzerà quell’ “andare verso il popolo” che è rimasto forse uno dei migliori insegnamenti del Fascismo.

Contro di loro e contro le loro “pericolose” iniziative, gli ex “regimisti”, la nobiltà abituata a farla da padrone, il Vaticano che crede di avere uno speciale diritto di tutela sulla Capitale, troveranno un insperato alleato nei Tedeschi.

E finirà, come doveva finire…

 

 

NOTE

  1. Alessandra Staderini, Fascisti a Roma, Roma 2014, pag. 20
  2. Umberto Fabbri, Analisi del regime fascista, Roma 1924, pag. 7
  3. in: Ferdinando Cordova, Arditi e legionari dannunziani, Roma 2007, pag. 108
  4. Aa vv, Panorami di realizzazione del fascismo, Roma 1942, vol. V, pag. 197
  5. Yvon de Begnac, Taccuini mussoliniani, Bologna 1990, pag. 107
  6. Prefazione a: Domenico Mario Leva, Cronache del fascismo romano, Roma 1943, pag. XIV
  7. Alfredo Signoretti, Come diventai fascista, Roma 1967, pag. 105

FOTO 5: Ulisse Igliori

FOTO 6: La “squadraccia” di Pollastrini

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