«L’anno vecchio è finito ormai – recitava una vecchia canzone di Lucio Dalla – ma qualcosa ancora qui non va.» Se si volesse adattare il testo alle vicende di oggi, si dovrebbe cambiare almeno una parola: «qualcosa».
Altro che qualcosa. Qui non va niente bene. Tanto per cambiare, dal 1° gennaio sono scattati una serie di aumenti: benzina e gasolio (ma il prezzo del petrolio non sta precipitando?), tasse automobilistiche, contributi previdenziali, alcolici, multe e un’altra mezza dozzina di voci, fino… all’acqua potabile. All’appello manca soltanto l’aria che respiriamo, ma non dubito che “il governo che ha tolto 18 miliardi di tasse” riesca prima o poi a porre rimedio a questa imperdonabile lacuna.
Si continua, in sostanza, nella vecchia linea imbecille dei “sacrifici”; non comprendendo – o fingendo di non comprendere – che ogni centesimo di euro speso in più per tasse o servizi viene sottratto ai consumi. E se i consumi diminuiscono, il commercio arretra. E se il commercio arretra, l’industria di produzione e di trasformazione rallenta. E se l’industria rallenta, crescono i licenziamenti. E se crescono i licenziamenti, diminuisce la platea di quanti possono ancora fare dei “sacrifici”. È una specie di catena di Sant’Antonio. Va bene all’inizio; poi incomincia a perdere colpi; poi arranca; e alla fine, quando i soggetti che rappresentano gli ultimi anelli della catena non pagano più, salta tutto per aria. È un meccanismo semplicissimo, lapalissiano. Lo capirebbe anche un bambino.
Ma lor signori sono troppo dotti e addottorati per percepire certi concetti elementari, certi principi basilari della meccanica dei fluidi, primo fra tutti il principio dei vasi comunicanti. E continuano perciò a sottrarre denaro dal circuito dell’economia nazionale per destinarlo al pagamento degli interessi sul debito pubblico: unica cosa che sta a cuore ai mercati, all’Europa e al Fondo Monetario Internazionale. È questo l’unico sistema di vasi comunicanti che i nostri illustri economisti conoscono: il grosso recipiente del sistema finanziario internazionale e il piccolo recipiente della nostra economia; in mezzo, il condotto che mette in comunicazione i due recipienti, e cioè il flusso degli interessi che sottrae risorse al contenitore più piccolo per riversarle nel grande calderone della speculazione finanziaria.
È la ricetta vecchia, decrepita, mummificata che – imposta dal FMI, dall’OCSE e dagli altri cani da guardia della globalizzazione pro-americana – ha già ridotto sul lastrico intere nazioni, dentro e fuori l’Unione Europea: penso alla Grecia, ma penso anche all’Argentina del 2001, costretta a dichiarare fallimento dopo una serie infinita di “riforme” ultra-liberiste.
A proposito: sapete chi è stato, fino al 2005 il Direttore esecutivo per la Grecia (oltre che per l’Italia) del Fondo Monetario Internazionale? Risposta: il nostro attuale Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E sapete qual’è stata, a suo tempo, la prescrizione padoaniana per il risanamento dell’economia ellenica? Eccola, desunta fresca fresca dal libro di Enrica Peruchietti “Il lato B di Matteo Renzi” (Arianna editrice): «La Grecia si deve aiutare da sola. A noi spetta controllare che lo faccia e concederle il tempo necessario. La Grecia deve riformarsi, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro.»
I risultati del Padoan-pensiero sono sotto gli occhi di tutti. Adesso – ci scommetto – toccherà all’Italia. Anche noi dovremo aiutarci da soli, mentre il Fondo Monetario Internazionale controllerà e ci concederà «il tempo necessario». Anche noi dovremo riformarci, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro. Abbiamo cominciato con l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti. Continueremo – vedrete – estendendo le “tutele crescenti” (cioè la precarietà istituzionalizzata) anche ai lavoratori in servizio. Lo hanno già fatto – appunto – in Grecia. Anche lì, naturalmente, per “attrarre investimenti”. Poco importa se, poi, gli unici investitori ad essere attratti siano stati un pugno di affaristi che hanno fatto shopping ad Atene a prezzi stracciati (e che non hanno creato un solo posto di lavoro).
Il mancato rottamatore fiorentino, intanto, continua ad imperversare dagli schermi di tutte le tv di destra e di sinistra, sprizzando ottimismo da ogni poro, mentre i boy-scout e le vaghe fanciulle del suo entourage assicurano che sono in procinto di “cambiare l’Italia”. Anche qui vengono alla mente i versi di Dalla: «ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione, e tutti quanti stiamo già aspettando… ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno… vedi caro amico cosa si deve inventare per poterci ridere sopra, per continuare a sperare.»
E si, aveva proprio ragione Lucio Dalla. Malgrado tutto, si deve continuare a sperare, altrimenti la vita si ferma, altrimenti il futuro viene ucciso da un presente impazzito. Ma – aggiungo – chi opera nella politica, oltre che sperare, deve anche agire. Deve – soprattutto – opporsi alla rassegnazione, alla accettazione di tutti quei mali del presente che ci vengono indicati come “inevitabili” e come “segno dei tempi”: il disastro climatico, la globalizzazione economica, la fine dello Stato sociale, l’invasione migratoria, la subordinazione ad una Potenza straniera, eccetera, eccetera, eccetera. Non è vero che “così va il mondo”. Il mondo (e con esso l’Italia) va così perché la “cupola” globale vuol farci credere che non sia possibile invertire la rotta. E invece è possibilissimo: basta trovare il coraggio per opporsi al “pensiero unico” ed al “politicamente corretto”.
Ma, ancòra una volta, mi sono lasciato prendere la mano e sono andato un po’ oltre. In fondo, questo articolo ha il solo scopo di formulare un augurio per l’anno che verrà. E, per il mio augurio, chiedo ancòra aiuto alle parole di Dalla: «e senza grandi disturbi qualcuno sparirà, saranno forse i troppo furbi e i cretini di ogni età.»
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