Nel suo recente volume, Sotto Altra Bandiera. Antifascisti italiani al servizio di Churchill, edito da Neri Pozza, Eugenio Di Rienzo narra la storia di uomini che vissero i tempi di ferro del fascismo e della guerra. Uno di loro, Benedetto Croce, pensò, fino al 25 luglio 1943, che non si potessero rivolgere le armi contro la patria neppure quando quella patria si era seduta dalla parte sbagliata del tavolo. Un altro, Gaetano Salvemini, reputò che era possibile anzi doveroso farlo, ma solo a patto di conservare all’Italia che sarebbe uscita dal conflitto, perdente sì ma più libera e più giusta, la piena sovranità e la sua integrità territoriale.
In tempi diversi, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, altri avversari della dittatura presero questa decisione ma senza pretendere le garanzie richieste da Salvemini: Renato Mieli e Raimondo Craveri, legatisi all’Office of Strategic Services statunitense tramite Max Corvo, divenuto nel 1942 responsabile della sezione italiana di questa organizzazione. Insieme a loro, a partire dalla seconda metà del 1940, compirono quella scelta per trovare l’occasione di riprendere la lotta contro il regime, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Max Salvadori, Aldo Garosci, Leo Valiani, tutti reduci dalla Guerra di Spagna, alla quale parteciparono, come combattenti o come giornalisti e osservatori embedded. Ma allo stesso tempo tutti salvo Lussu fermamente decisi a rifiutare ogni tipo di collaborazione con il Partito Comunista d’Italia, eterodiretto da Mosca, in nome della loro fedeltà agli ideali liberal-democratici ereditati da Carlo Rosselli.
Anch’essi decisero di militare sotto altra bandiera che non fosse il tricolore italiano, entrando alla fine del 1940, nelle fila dello Special Operations Executive (SOE), che fu ribattezzato, con un termine che corrispondeva esattamente alla realtà dei fatti, l’«Armata Segreta di Churchill». Mentre diverso fu il caso di Giaime Pintor e di Edgardo Sogno, frequentatore dei circoli anti-regime di Maria José di Savoia e di Benedetto Croce, che iniziarono una collaborazione con il SOE, solo dopo l’8 settembre 1943, grazie alla quale Sogno riuscì a creare, per poi assumerne la guida, l’«Organizzazione Franchi», la più importante formazione partigiana dell’antifascismo liberale.
Il SOE affidato al diretto comando di Churchill nasceva per organizzare «campagne d’opinione filo-britanniche, supporto e controllo delle organizzazioni di fuoriusciti rifugiatisi nei Paesi neutrali, propaganda sovversiva, scioperi, insurrezioni, assassini di leader politici e militari avversari, sostegno alla resistenza civile in tutti i territori controllati dall’Asse» Nel reclutamento del suo personale, che sarebbe stato utilizzato non solo in attività di spionaggio ma prevalentemente in operazioni di guerriglia e in azioni di terrorismo (come i ripetuti, falliti tentativi di eliminare Hitler) il SOE agì con la massima spregiudicatezza. Nella sua struttura, furono, infatti, inquadrati non solo oppositori e resistenti anti-nazisti e anti-fascisti ma anche avventurieri, elementi provenienti dai bassifondi della criminalità dell’Europa sud-orientale, persino collaborazionisti con gli occupanti italiani e tedeschi, in Francia, nel Belgio, in Olanda, in Norvegia e nei Balcani, i quali, in più di un’occasione, agirono come veri e propri «agenti doppi», offrendo i loro servizi anche alle Potenze dell’Asse e all’Unione Sovietica.
La storia degli antifascisti italiani che scelsero di militare nel braccio violento dell’intelligence britannica fu fatta di passioni, di slanci generosi, ma anche d’ingenuità di chi nobilmente credeva nella possibilità di creare un mondo migliore, di doppi, tripli giochi, di rivalità intestine, di tradimenti, di deliberati inganni, che il volume di Di Rienzo ci mostra in tutta la loro crudezza. Un percorso che alla fine vide i suoi protagonisti nelle vesti di vincitori ma forse anche di vinti. Perché, dopo il 25 aprile 1945, tutti gli attori di questa vicenda dovettero riconoscere, con Croce, magari senza ammetterlo se non nel foro riservato della loro coscienza, che quella guerra, in cui si erano impegnati, sacrificando molto della loro esistenza, non era stata «solo la “guerra per la libertà”, ma come tutte le altre, per il dominio, per il vantaggio economico e politico, per l’egoismo di Imperi e di Nazioni, e che la guerra per la libertà si sarebbe dovuta combattere, poi, e con mezzi più vari e più adatti che non erano le armi».