Siamo in Italia. Perciò, siamo costretti a subire le maratone televisivo-congressuali di Mentana, i turbamenti dei mezzibusti giornalistici e un intero palinsesto monopolizzato dalle problematiche legate alla scissione nel PD. Per questo, vediamo le pagine centrali del Corriere della Sera dedicate al terribile incendio di una palma a Milano e alle sue ripercussioni socio politiche. Per questo, siamo autorevolmente esortati a indignarci per la definizione di “patata bollente” affibbiata alla sindaca Raggi, ovvero dobbiamo seriamente preoccuparci per i “saluti romani” esibiti da alcuni tassisti sotto la sede romana del PD.
Per la canaglia politico mediatica che governa abusivamente il Paese e l’informazione, infatti, i gravi problemi degli italiani sono questi. Per l’élite che detiene il potere, la preoccupazione non sono i drammi del lavoro, delle famiglie, dei giovani e dei pensionati, ma il fatto che tali disagi possano determinare, come conseguenza, un’avanzata delle destre. Le ragioni delle proteste sono del tutto accantonate, rimosse, quello che conta è la reazione politica che tali proteste potrebbero innescare. E’ il ragionamento miope ed egoistico di chi gestisce il potere con una logica arrogante e indifferente ai bisogni del popolo ma interessato solo alla conservazione dei propri privilegi.
Un crescendo esponenziale di profondo malessere contagia tutte le categorie e gli strati sociali e dovrebbe indurre all’attenzione e a un ripensamento delle politiche adottate negli anni. Invece, la genia globalista si ostina a perseguire i suoi obiettivi, incurante delle proteste e dei disastri che suscitano le sue scelte.
Nei giorni scorsi, il Parlamento europeo ha dato via libera al Ceta, l’accordo di libero scambio tra il Canada e l’Unione Europea. Con 408 voti favorevoli, 254 contrari e 33 astenuti a Strasburgo è stato ratificato il Comprehensive Economic and Trade Agreement. Dopo l’accordo politico, il Parlamento europeo l’ha ratificato, anche se per entrare in vigore, l’accordo dovrà essere approvato anche dai parlamenti nazionali e regionali dei ventotto Stati membri.
Il Trattato prevede l’eliminazione di quasi tutti i dazi doganali. Entro sette anni dall’entrata in vigore non ci sarà più alcun dazio doganale sui prodotti industriali e sulla quasi totalità dei prodotti agricoli e alimentari (inclusi vini e alcolici), esponendo la produzione italiana alla concorrenza di beni scadenti commerciabili a basso prezzo. Dopo il dumping delle merci cinesi e, nel settore agroalimentare, delle importazioni nordafricane, i nostri mercati saranno invasi dalle produzioni non certificate d’oltre oceano.
Il tradizionale meccanismo per le controversie tra investitori e Stati, fondato sugli arbitrati privati, sarà sostituito da un nuovo sistema giudiziario per la protezione degli investimenti. E’ il meccanismo che ha consentito per esempio alla multinazionale del tabacco Philip Morris di agire contro l’Uruguay per la sua politica contro il tabagismo e al gigante minerario Oceanagold di portare dinanzi alla giustizia El Salvador che gli aveva negato un permesso di esplorazione per motivi ambientali.
Grazie a questi meccanismi, le multinazionali decideranno le nostre sorti in tema di sicurezza ambientale e alimentare e il famigerato TTIP, sconfitto momentaneamente in sede europea, cacciato dalla porta rientrerà dalla finestra, perché molte multinazionali Usa hanno loro filiali in Canada.
Insomma, la strada è tracciata e da essa non si deflette. Anche se il nostro debito è sempre più insostenibile a fronte dei parametri europei e, con i vincoli impostici, non riusciremo a farvi fronte né a rilanciare le nostre produzioni; anche se migliaia di lavoratori, come quelli di Almaviva, hanno perduto il lavoro e altre migliaia, come quelli di Alitalia, rischiano il licenziamento; anche se la direttiva Bolkestein scatena la rabbiosa disperazione di migliaia di prestatori di servizi; anche se abbiamo una disoccupazione esponenziale e 4 milioni di poveri assoluti, le scelte della casta sono preminentemente concentrate su programmi di ulteriore apertura e maggiore globalizzazione commerciale e sociale.
Tra le priorità di azione politica indicate da Matteo Orfini, reggente del PD, per il rilancio del partito, figura l’approvazione dello ius soli, da attuare addirittura con l’eventuale ricorso al voto di fiducia.
Un’indicazione precisa e incontestabile circa quelli che sono gli obiettivi della sinistra: africanizzare questo Paese, già impoverito e disgregato, rendendolo sempre più terra di conquista delle multinazionali e sempre più schiacciato da un debito mostruoso, al punto che con la fuga dei giovani italiani e la massiccia importazione di africani si realizzi una società meticcia, a sovranità limitata e proletarizzata, in cui la democrazia sia solo una pantomima, sottoposta sempre alla guida di una maggioranza raffazzonata e corrotta, arrogante e autoritaria.
La dittatura democratica ha additato per anni la colonizzazione come una tra le più abiette colpe della razza bianca. Eppure oggi siamo sottoposti a una colonizzazione al contrario, cioè alla forzata accoglienza di centinaia di migliaia di africani che pretendono di essere accettati, che richiedono di essere sostentati, assistiti e mantenuti, che esigono la libertà di recarsi ovunque loro piaccia, che reclamano il diritto di mantenere inalterate le loro abitudini, anzi spesso di imporre le loro usanze, senza che a tutto questo corrisponda neppure un innalzamento del nostro tenore di vita né un miglioramento della nostra società. Le colonizzazioni in Africa del secolo scorso, forzate e deprecabili quanto si voglia, realizzavano almeno, in contropartita, incontestabili opere di civilizzazione (ad esempio, l’abolizione della schiavitù in Etiopia) la creazione di infrastrutture e gigantesche operazioni di ammodernamento e di urbanizzazione di quelle terre. Al contrario, con lo spostamento di ingenti masse di clandestini africani, sono i nostri servizi a essere degradati e il poco welfare che c’è rimasto a essere saccheggiato da questa invasione di gente che tutto pretende senza alcun rispetto, sostituendo alla forza delle armi la violenza di una pressante e prepotente richiesta di ogni bene, strumentalizzata ed enfatizzata dalla cultura del buonismo e della società aperta.
Una cultura dell’accoglienza che demonizza ogni obiezione all’invasione e blocca ogni resistenza a questa colonizzazione stracciona, ma anzi incrementa la contaminazione e il meticciato approntando leggi, come appunto quella dello ius soli, che favoriscono la concessione della cittadinanza agli stranieri. Volutamente si dimentica che occorre operare affinchè sia effettivo il diritto a poter restare e realizzarsi nella propria terra e che, seppure esiste un diritto a poter emigrare, non esiste un pari diritto a poter fare ingresso in un altro Paese o ovunque si voglia.
Negli ultimi anni abbiamo subito l’arrivo di centinaia di migliaia clandestini, dei quali una minima parte fuggiva da guerra e persecuzioni; attualmente i clandestini, tra quelli che hanno chiesto un permesso di soggiorno e quelli la cui domanda è già stata respinta ma sono rimasti sul territorio, sono più o meno 700mila; è facile immaginare, se ciascuno di loro facesse un figlio, cosa accadrebbe con lo ius soli. Dall’oggi al domani avremmo almeno 1.400mila nuovi italiani che non potrebbero essere più espulsi (considerato che la Cassazione, con una sentenza eversiva, ha concesso già ora a una coppia di clandestini cinesi di rimanere in Italia perché vi ha fatto un figlio).
Quando un sistema passa da uno stato di equilibrio ordinato a uno disordinato la sua entropia aumenta. La natura incontrollata tende all’entropia, al disordine. Mantenere intatto ciò che è, necessita, in fisica, di ‘lavoro’, cioè di un impegno. E’ semplice abbandonarsi al divenire, e al naturale disordine delle cose, è facile distruggere e i globalisti progressisti vi si dedicano con impegno; difficile è lavorare perché ciò che si è non si disperda e degradi, perché tutto ciò che individua, caratterizza e rende differenti, sia conservato in nome di una Tradizione che, nei fondamentali, non conosce divenire e mutazioni, ma un perpetuarsi atemporale nello spirito di un popolo. Per questo l’identitario è destinato a combattere e a impegnarsi: la sua è una lotta contro il degradare di ciò che difende, delle sue radici. Ma è una lotta giusta contro il globalismo che produce il degrado di una società multirazziale, anodina e inerte, nella quale dissolvere ogni caratteristica e ogni valore dell’etnia.
Enrico Marino
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