L’8 gennaio 2016, il giorno del suo sessantanovesimo compleanno, David Bowie pubblicava il suo venticinquesimo album da studio, l’ultimo di sempre, Blackstar. Due giorni dopo, il mondo si svegliava con la notizia della sua morte. Inaspettata, per quanto gli indizi di un suo stato di salute precario erano già stati resi noti con le immagini del video di “Lazarus”, in cui il cantante era apparso prima di lasciare il mondo terreno. Nel testo del brano, il cui titolo è un chiaro riferimento all’idea di resurrezione, Bowie canta:
Guardate qui, sono in paradiso
Ho cicatrici che non si vedono
Porto con me un dramma che nessuno può sottrarmi
Durante la sua ultima fase di vita, Bowie era riuscito a trasformare in arte persino il suo imminente trapasso. Ne sono testimonianza non solo il concept e le liriche di Blackstar (un “regalo d’addio” ai fan, secondo il suo storico produttore Tony Visconti), ma anche i suoi due ultimi videoclip, quello di “Blackstar” e appunto quello di “Lazarus”. In entrambi è chiaramente espresso l’argomento esoterico, con chiari riferimenti al tema del trascendente e all’idea dell’universo post mortem. Conscio del fatto che avrebbe presto dovuto abbandonare il suo essere corporeo, Bowie aveva voluto rappresentare il viaggio dell’anima verso la dimensione ignota, impiegando immagini e parole che fossero pregne di simbolismo.
Sul carattere enigmatico di Blackstar, così come sul significato occulto della stella a cinque punte che ne adorna la copertina, si è detto molto negli ultimi anni. Qualcuno ha congetturato circa un collegamento con Eliphas Lévi, uno dei maggiori studiosi di esoterismo francesi dell’Ottocento. Il suo pentagramma tetragrammato, che simboleggia sia l’umano che il microcosmo, è rinvenibile anche nella celebre illustrazione del Bafometto tratteggiata dallo stesso Lévi. Nel 2013, il sito ufficiale di David Bowie ha pubblicato la lista dei 100 libri preferiti dal cantante britannico. Tra questi figurano anche due testi di Lévi, Il Dogma dell’Alta Magia e Il Rituale dell’Alta Magia.
Nel video di “Blackstar”, Bowie sembra seguire l’orbita di una stella. In una mano stringe quello che parrebbe essere un libro sacro e antico la cui copertina reca un pentagramma identico a quello della copertina del suo ultimo album.
Ogni uomo ha una stella nera
Una stella nera sulle sue spalle
E quando un uomo vede la sua stella nera
Sa che il suo tempo, il suo tempo è giunto.
Le parole di cui sopra sono tratte da un brano di Elvis Presley intitolato “Black Star”. Presley non era certo noto per essere un esoterista, ma la stella da lui descritta è chiaramente rappresentativa del “sonno eterno”. Peraltro anche lui, come Bowie, era nato l’8 gennaio; una connessione, questa, che non può essere attribuita a un più banale concetto di casualità.
La stella nera, come qualcuno ha scritto, chiama ineluttabilmente in causa anche il Sol Niger degli alchimisti o la Luce Oscura degli antichi gnostici; mentre nel suo Libro della Legge il mago occultista Aleister Crowley riporta che “Ogni uomo e ogni donna è una stella”. In astronomia, invece, la stella nera ha fattezze per molti aspetti simili a quelle di un buco nero, ma senza un orizzonte degli eventi, né una singolarità al centro. Il video di “Blackstar” mostra un gelido paesaggio fiabesco in cui si nota un corpo celeste rotondo completamente eclissato.
All’inizio del brano, Bowie canta di un luogo ermetico chiamato la “Villa di Ormen” (Nella villa di Ormen/C’è una candela solitaria). Posto che sia impossibile attribuire a ciò un significato ben preciso, Ormen, qualcuno ha fatto notare, è un villaggio della Norvegia, Paese d’origine, inoltre, di Hermione Farthingale, vecchio amore del cantante nel periodo dei tardi anni Sessanta (il sodalizio sentimentale durò circa un anno ma fu, a quanto pare, molto significativo per Bowie). Il brano “Letter To Hermione”, presente sull’album Space Oddity, è chiaramente rivolto a costei.
Ormen significherebbe anche “serpente”, pertanto la Villa di Ormen sarebbe da intendersi come la Casa del Serpente, un ipotetico luogo crepuscolare che fungerebbe da punto d’intersezione tra il mondo terreno e l’universo incorporeo. Il serpente, nel folklore indiano, simboleggia le primavere della vita, mentre l’ofide che inghiotte la sua stessa coda, rappresentativo dell’uroboro, configura sia il potere che divora e che rigenera se stesso, ma anche la natura ciclica delle cose, l’eterno ritorno, l’immortalità e la perfezione. La più antica rappresentazione occidentale di un uroboro risale a un antico testo funerario egizio ritrovato all’interno della tomba di Tutankhamon. Il testo ha a che vedere con le azioni del dio Ra e della sua unione con Osiride negli Inferi. L’uroboro, secondo fonti egizie, esprime il disordine informe che circonda il mondo, così come il suo ordine e il suo rinnovamento periodico. Nell’Egitto romano, inoltre, il serpente che si morde la coda appariva di frequente sui talismani magici, di solito mescolato con altri emblemi magici.
Nello gnosticismo, invece, l’uroboro rappresenta l’eternità e l’anima del mondo. Bowie aveva pubblicamente espresso un certo interesse per il sapere gnostico, conferendo a I Vangeli Gnostici di Elaine Pagels un’importanza di rilevo all’interno del suo percorso di apprendimento. Il termine “gnosticismo” deriva dal greco gnosis, che sta per “conoscenza”, dalla quale dipende lo scopo supremo della salvezza spirituale. Una conoscenza tuttavia non rivelata da un maestro che parli e agisca come divinamente ispirato, bensì conoscenza esoterica in quanto dono divino concesso dal “rivelatore celeste” a piccoli gruppi di iniziati. Nello gnosticismo è predominante la contrapposizione tra luce e tenebre, un concetto chiaramente ripreso dal Bowie dell’ultimo periodo.
Nonostante nutrisse determinati interessi, tuttavia, il cantante non aveva mai veramente abbracciato nessun discorso religioso:
“La religione è fatta per le persone che credono nell’esistenza dell’inferno. La spiritualità è per coloro che ci sono stati”, dichiarava in una vecchia intervista.
La figura del serpente è inoltre menzionata negli scritti del già citato Aleister Crowley, a cui Bowie guardava con un certo ossequio. Il testo di “Quicksand”, inclusa nell’album Hunky Dory (1971), parla da sè:
Mi sento vicino alla Golden Dawn
Immerso nell’uniforme figurativa di Crowley.
Vivo dentro a un film muto, interpretando il sacro regno della realtà onirica di Himmler.
Oltre a Crowley e alla Golden Dawn, la setta di cui quest’ultimo aveva fatto parte, Bowie era stato attratto, in giovane età, da questioni come il superomismo nietzscheano (si pensi, per esempio, al brano “The Supermen”), il misticismo nazista e tutti quei racconti dal sapore mitologico legati alla ricerca spasmodica hitleriana del Santo Graal. Nell’interpretazione magica del sesso, il Graal è la rappresentazione simbolica della vagina come sacro contenitore di sperma e di fluidi vaginali. Dietro al Graal, inoltre, si cela il tema archetipico della Ricerca Infinita, quell’aspirazione e quella tensione primordiale verso l’indefinito e l’assoluto che è propria dell’uomo (compreso il Bowie che fu).
Ancora in Blackstar, l’artista intona lugubremente la frase “Al centro di Tutto” (o “del Tutto”). La stessa frase, è stato fatto notare, sarebbe ispirata a un passaggio di un rituale crowleyano noto come “Lo Zaffiro Stellato”.
Oltre alla stella, il teschio è un altro simbolo dai toni occulti di cui si trova traccia nel video di “Lazarus”, ma in particolare in quello di “Blackstar”. Entrambi risultano strettamente connessi non soltanto da un filo temporale, com’è testimoniato dal personaggio del “profeta accecato” con gli occhi bendati presente in entrambi i montaggi visivi. In “Lazarus”, Il teschio, la candela e lo scrittoio alluderebbero all’antico e primitivo culto di Memphis-Misraim, una struttura rituale che poneva l’accento sulla conservazione dei misteri egizi. In “Blackstar”, una donna agghindata a mo’ di sacerdotessa regge per le mani un teschio ingioiellato. Diverse giovani donne le danzano attorno impiegando movimenti serrati e spasmodici, che ricordano quelli dello stile ascritto al Teatrodanza.
In questa precisa circostanza, la danza assume una chiara connotazione esoterica e ritualistica, volta ad accompagnare il tema del trascendente rivelato dalle immagini. Secondo quanto affermato dallo stesso Bowie, il testo di “Lazarus”, avrebbe trovato ispirazione nella figura egizia di Osiride. Il simbolismo egizio, pertanto, risulta utile per meglio comprendere il significato del Bowie più esoterico. Il concetto di post mortem, per esempio, trova un’elaborazione definita nella conturbante scienza sacra del misterico Antico Egitto; una scienza molto distinta e attenta alla transizione e alla separazione del composto umano, devota ai vari livelli dell’essere come base per il lavoro spirituale.
Nel video di “Lazarus”, Bowie si posiziona all’interno di un armadio (la scena è montata lynchanamente al contrario), serrandone la porta come fosse un luogo di riposo definitivo che potrebbe simboleggiare, volendo, un sarcofago come dimora per l’eternità. Il vestiario che indossa è scuro e caratterizzato da pesanti linee diagonali bianche. In una foto per l’album Station To Station (in seguito utilizzata per il retro copertina del CD), secondo il suo stesso autore “l’album più vicino a un trattato di magia che abbia mai realizzato”, egli è abbigliato alla stessa maniera mentre viene colto a disegnare, seduto per terra, il suggestivo Albero della Vita della Cabala, ovvero il punto di incontro principe per tutti i rami dell’esperienza esoterica ed iniziatica.
Il titolo del disco, uscito nel 1976 in un periodo piuttosto delirante per Bowie, si rifà alle dieci stazioni che compongono il suddetto diagramma cabalistico, all’interno del quale l’aspetto trascendente di Dio si manifesta secondo dieci emanazioni o sfere chiamate Sephiroth: dalla più alta, Kèter (corona – centro della volontà creatrice) alla più bassa, Malkhùth (regno – centro che rappresenta la realtà fisica). Nel brano che dà il titolo all’album, Bowie canta:
Eccoci qui, un movimento magico da Kether a Malkuth
Ognuna di queste stazioni è collegata a ventidue percorsi, ciascuno dei quali fa riferimento a una lettera diversa dell’alfabeto ebraico. Ognuno rappresenta un elemento, un pianeta, un segno dello zodiaco che va a collegarsi a un’intera gerarchia d’idee corrispondenti. Bowie aveva anche affermato che queste stazioni alluderebbero alle soste della croce cristiana, i quattordici punti del cammino impiegato da Cristo verso il luogo in cui avrebbe infine trovato la crocifissione. Un tema, quest’ultimo, ripreso anche nel video di “Blackstar”, in cui vengono mostrati tre inquietanti spaventapasseri (umani) posti in croce su una collina.
Sempre in “Station to Station” si trova la frase “lanciare freccette negli occhi degli innamorati”. Nel sistema di Crowley, il dardo (o la freccia) è un simbolo di direzione che allude alla dinamica della Vera Volontà, quella universale.
Possiamo certamente affermare che gli aspetti analitici e linguistici della Cabala avessero attratto il lato più erudito del personaggio di Bowie, così come è presumibile pensare che anche la Cabala meditativa, da cui è possibile immergersi negli attributi divini delle parole e dei numeri per ascendere spiritualmente, avesse fatto breccia sullo stesso.
Con la sua arte eterna, Bowie seppe dare corpo e spirito a un mondo che andava al di là della sua esistenza terrena. Le caratteristiche dei suoi personaggi da palcoscenico, pensiamo a uno Ziggy Stardust o al Thin White Duke, si intersecavano con la sua personalità reale, dandogli la possibilità di trovare un rifugio dall’alienazione della società e dei suoi meccanismi. Nel salutare il mondo corporeo, Bowie aveva quindi voluto realizzare un portale magico per altre dimensioni, di modo da poter rinascere e risplendere ad infinitum. Il simbolo della stella, in questo senso, allude all’identità estinta che subentra alla persona mortale nel momento dell’addio. Dice in “Blackstar”:
Qualcosa è accaduto il giorno in cui lui morì
Lo spirito si alzò di un metro per poi farsi da parte
Qualcun altro prese il suo posto per poi gridare coraggiosamente:
Sono una Stella Nera, sono una vera Stella, sono una Stella Nera
Sembra lecito, a questo punto, citare per un’ultima volta “Quicksand”:
La conoscenza viene con la liberazione della morte
Fu dunque così che Bowie-Lazzaro potè finalmente risorgere. Per collocarsi definitivamente “al centro del Tutto”.
Simöne Gall
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