10 Ottobre 2024
Storia delle Religioni Tradizione

L’Avesta e lo Zoroastrismo – Luigi Angelino

L’Avesta è la denominazione che si attribuisce all’insieme dei libri sacri nell’ambito della religione “mazdea”. L’origine di questi testi sacri non è stata del tutto chiarita, anche se è delineata in una serie di indicazioni in lingua pahlavi (1). Seguendo alcune leggende, si racconta che i libri fossero 21, denominati Nasks, formulati direttamente dal dio Ahura Mazda, per poi essere presentati dal mitico Zaratustra al re Vistaspa (2). Il sovrano ne avrebbe ricavate due copie, di cui una fu depositata nel tesoro di stato e l’altra nell’archivio. Con l’arrivo della dominazione di Alessandro Magno, l’Avesta fu rielaborato in lingua greca da autori ellenisti che, ovviamente, tradussero le antiche nozioni dei testi, plasmandole di dottrine della propria cultura (3). L’etimologia del termine “Avesta” è ancora molto incerta, ancora oggetto di grandi dibattiti tra gli studiosi iranisti. La maggior parte degli esegeti ritiene che deriva dalla radice dell’antico persiano upa-stavaka e che possa essere tradotto come “lode”.

Gli argomenti trattati nell’Avesta sono eminentemente religiosi, anche se vi sono inseriti molteplici elementi di cosmogonia, astronomia e relativi alle tradizioni di costume. L’aspetto forse più importante di tale manoscritto risiede nel fatto che costituisce l’unica prova dell’esistenza di un idioma, l’Avestico, altrimenti caduto irrimediabilmente nell’oblìo. Parliamo di una lingua antichissima iranica che, insieme all’antico persiano, è annoverata nel ramo indo-iranico, a sua volta derivante dalla famiglia indo-europea. Si tratta di una lingua molto affascinante, contenente ben 14 grafemi vocalici e 37 grafemi consonantici, con evidenti difficoltà di distinguere i vari accenti e segni, allo scopo soprattutto di non sbagliare nell’invocazione delle preghiere che, qualora mal pronunciate, secondo le credenze di allora, avrebbero addirittura potuto portare nocumento a chi le utilizzava. La lingua avestica, come è pervenuta al giorno d’oggi, appare come un complesso di testi destinati alle celebrazioni liturgiche ed ai rituali, rappresentando, pertanto, la raccolta di formule da ripetere durante i sacrifici e nelle varie ricorrenze quotidiane (4).

La comunità scientifica ha rilevato che probabilmente la prima opera di raccolta degli scritti avestici sia stata compiuta sotto la dinastia degli Arsacidi. In particolare, il re Valaxs avrebbe rielaborato sia i frammenti scritti che quelli tramandati in forma orale. Successivamente i Sasanidi avrebbero perfezionato l’opera, grazie al leggendario sacerdote Tansar e al re Sapur I che si impegnò alacremente per ritrovare i documenti dispersi durante l’invasione macedone. Si narra, poi, che fu il sacerdote Aburdad i Mahraspandan ad effettuare una revisione generale del canone che diventò quello ortodosso. Infine Cosroe I (5) guidò un equipe di fedelissimi per ottenere una revisione finale del canone avestico, che fu tradotto in lingua pahlavi. Attribuire una sicura datazione alla composizione dell’Avesta non è affatto semplice, in mancanza di fonti storiche certe. E’ necessario, tuttavia, operare un’importante distinzione cronologica tra gli Antichi testi Avesta (Gathas, Yasna Haptanhaiti e le cosiddette “quattro grandi preghiere”) ed i i più recenti testi aggiunti secoli dopo. La sequenza cronologica non è stata indicata con certezza, anche se i Gathas, i testi più antichi, sono generalmente collocati intorno al 1000 a.C., mentre i più recenti risalirebbero a circa cinque secoli dopo. La struttura dei testi dell’Avesta non si presenta con caratteristiche unitarie, ma piuttosto come una sorta di raccolta di opere di diversa provenienza. Gli studiosi suddividono gli scritti avestici in due blocchi fondamentali: quello delle liturgie devozionali e l’altro dedicato allo svolgimento delle pratiche rituali. Le prime invocazioni potevano essere recitate in qualsiasi luogo, mentre le seconde soltanto all’interno del “tempio del fuoco”. Tra i testi rituali, di particolare importanza è lo Yasna, formato da 72 sezioni od inni, recitati soprattutto durante il consumo rituale del Parahaoma, ossia una miscela ricavata con ramoscelli di piante del melograno pestati con succo della pianta sacrificale, in aggiunta a latte e ad acqua. Le 72 sezioni sono raffigurate, in maniera simbolica, dai fili intrecciati della sacra cintura dello zoroastrismo, chiamata “kusti” (6). Le sezioni sono, a loro volta, raggruppate in tre grandi parti (1-27; 28-54; 55-72). Gli esegeti ritengono che nella parte centrale sia possibile individuare la parte più antica dell’Avesta, il Gathas (7). Durante la recitazione dell’ultimo passo di questa parte, avveniva la trasformazione del rituale in fuoco, che segnava il culmine della cerimonia religiosa. I Gathas sono formate da 17 inni, ognuno dei quali è chiamato con le prime lettere iniziali. Gli storici erano arrivati alla conclusione che il mitico Zarathustra avesse lasciato in prosa le testimonianze della propria predicazione e, pertanto, questi inni fossero brevi componimenti dedicati ai suoi discepoli più intimi, in una sorta di condivisione empatica religiosa. I Visperad, invece, sono testi liturgici mai recitati da soli, ma sempre unitamente agli Yasna. Essi prendono il nome dalla solenne cerimonia del Visperad, ricorrenza della “grande festività stagionale”, il Gahanbars. Il Vendidad o Videvad era recitato durante la cerimonia liturgica, all’interno del tempo del fuoco, il Dar el Mehr. Secondo le antiche testimonianze, la cerimonia, durante la quale si leggevano tali inni, era chiamata “Pura Vendidad”, per il fatto che tali scritti non furono mai tradotti in lingua pahlavi, ma si trovano solo in originale idioma avestico. Nella tradizione religiosa, tali testi deriverebbero direttamente dal profeta Zarathustra e dalla divinità Ahura Mazda, costituendo il fulcro della vita mistica dei relativi discepoli. Nell’ambito dei testi devozionali, una parte rilevante è rappresentata dagli Yasht, una raccolta di 21 inni dedicati ad un’ampia e variegata moltitudine di divinità e di spiriti, come Mitra, Haoma ed altre figure del pantheon iranico. Una parte degli inni si riferisce a fenomeni naturali come il sole, la luna, il vento o le stelle, terminando tutti metricamente allo stesso modo, cioè con il nome della divinità o dell’entità invocata. Infine, ci sono i Khorde Avesta, un insieme di testi devozionali adoperati durante la vita quotidiana dal popolo, quindi senza la necessaria intermediazione sacerdotale. Essi sono divisi in quattro gruppi tassonomici: i Siroze, composti da preghiere in relazione con i 30 giorni del calendario, ciascuno dedicato ad una singola divinità; i Nyaysin, 5 preghiere rivolte a 5 entità ritenute predominanti: Sole, Mitra, Luna, Acqua e Fuoco; i Gah da recitare nei 5 quarti in cui era suddiviso il giorno (mattina, mezzogiorno, pomeriggio, sera e notte); gli Afringam, 4 preghiere relative a diverse occasioni (in onore di una persona defunta; durante il quintultimo giorno dell’anno; durante le 6 grandi festività stagionali; all’inizio ed alla fine dell’estate).

Come non vi è alcuna certezza sull’esatta datazione dei testi dell’Avesta, così decisamente frammentarie sono le notizie sull’esistenza del leggendario Zarathustra, italianizzato in “Zoroastro”. Per una parte degli studiosi, il profeta sarebbe vissuto tra l’XI ed il X secolo a.C., per altri addirittura circa 500 anni più tardi, in una zona non ben identificata dell’altopiano iranico, in prossimità dell’odierno Azerbaijan o perfino nella parte opposta, ossia nell’Iran nord orientale. A similitudine di altri grandi pensatori ed ideatori delle antiche religioni, si racconta che Zoroastro si ritirò dal mondo per circa dieci anni, per dedicarsi alla meditazione ed alle pratiche ascetiche. Dopo aver raggiunto un elevato livello di consapevolezza, il profeta avrebbe avuto una visione divina, capace di spronarlo a diffondere una nuova religione. La nuova dottrina di Zoroastro inglobò alcune credenze già in voga tra le popolazioni dell’altopiano iranico, come la fede nel dio supremo, Ahura Mazda, origine della luce e della bontà, informandole di principi etici e vivificandole con un complicato sistema liturgico. Nello zoroastrismo si attribuisce grande importanza al principio della purezza, sia interiore che esteriore, al punto che il rituale funebre di tale dottrina prevede che i defunti non siano seppelliti, in modo da non contaminare la terra, ma vengano collocati sulla cima di pile funerarie, dove i corpi possano essere divorati dagli animali, prima di entrare in decomposizione. Secondo lo zoroastrismo, l’anima lascia il corpo dopo tre giorni, liberandosi dalla prigionia della materia considerata impura. Uno dei rituali più importanti, come abbiamo accennato prima a proposito dell’Avesta, è l’adorazione del fuoco, il simbolo per eccellenza della luce e, pertanto, profondamente legato al dio Ahura Mazda. Il fuoco deve ardere in eterno nei templi zoroastriani, anche nei luoghi di culto dei movimenti odierni che si ispirano a tale religione. Oggi il “fuoco eterno” più conosciuto si trova nella località di Yazd, situata nell’Iran centrale. In questo magico luogo, i sacerdoti, eredi degli antichi Magi (8), alimentano il sacro fuoco e continuato a custodire i riti, le tradizioni ed i misteri. La facciata del tempio è dominata dal fravahar, l’uomo alato che rappresenta la parte divina dell’anima umana. Secondo una leggenda, il fuoco custodito a Yazd, seppure spostato in vari luoghi nel corso dei secoli, arderebbe in maniera ininterrotta da circa 1500 anni. E’ interessante notare come nello zoroastrismo attuale, il faravahar rappresenti il fine dell’esistenza di ciascun essere umano, per avanzare verso la dimensione detta “frasho-kereti”, cioè l’unione con l’unico dio, Ahura Mazda. L’antico simbolo dell’uomo alato, in realtà, vuole raffigurare lo stato dell’anima prima della nascita e dopo la morte, il Fato, che si distinguerebbe dal Destino, indicato come il periodo intercorrente tra la nascita e la morte, governato dal libero arbitrio umano (9). Si ritiene che proprio da questo simbolo abbia tratto origine il Libro dei Morti Egiziano, denominato anche Libri di Thot, a sua volta alla base della Chiave Ermetica di Ermete Trismegisto, le splendide 22 lamine geroglifiche, giustamente appellate “Trionfi” (Tavola Smaragdina).

Lo zoroastrismo, dunque, esiste da ben tremila anni, probabilmente in un’epoca antecedente allo svilupparsi dell’Ebraismo, per aggiudicarsi il titolo di religione monoteista. Bisogna precisare, tuttavia, che, contrariamente a quanto si pensa, l’Ebraismo non nacque all’inizio come culto monoteista (credere nell’esistenza di un solo dio), ma come culto monolatrico (riservare il proprio culto ad un solo dio). Il monoteismo dello zoroastrismo è temperato da un accentuato principio di contrapposizione dualista: l’unico dio, Ahura Mazda, è eternamente impegnato in una lotta contro le forze delle tenebre, guidate dall’antidio, il perfido Ahriman, considerato figura ispiratrice della successiva mitologia cristiana dell’angelo caduto Lucifero/Satana (10). Ad ogni persona spetta il compito, attraverso il libero arbitrio, di scegliere fra la luce e l’oscurità, contribuendo con le sue azioni direttamente alla salvezza o alla dannazione del mondo. Anche in questa possibilità di scelta, sono evidenti le influenze che la religione di Zoroastro avrà sui fondamentali principi delle tre religioni abramitiche (11). Nell’etica dei testi dell’Avesta prevalgono tre motti: “buoni pensieri, buone parole, buone azioni”, un mantra estremamente semplice e sintetico, quanto limpido ed efficace. Non si possono avere buoni pensieri, se non si realizzano mediante buone parole e buone azioni, come queste ultime sono vanificate se nell’animo rimangono cattivi propositi. Un aspetto importantissimo e, pressochè rivoluzionario, per le civiltà antiche, era l’assoluta “parità di genere” predicata dallo zoroastrismo, dove uomini e donne erano eguali in tutto. L’impero persiano dei Sasanidi fu, infatti, guidato sia da re che da regine, come i sacerdoti potevano appartenere ad entrambi i sessi, usanze che non corrispondono alla normalità nell’Iran moderno, dove prevale il fondamentalismo islamico.

Oltre all’Avesta, la letteratura religiosa zoroastriana si compone di altri testi in lingua medio-persiana o pahlavica. Tra questi si segnala, in maniera particolare, per la ricchezza dei contenuti, il Denkard (Gli atti della religione), una sorta di enciclopedia teologica composta da nove libri, dei quali sono andati perduti i primi due ed una parte del terzo. Si tratta di un’opera molto complessa e di difficile quanto affascinante decifrazione per il suo stile oscuro. Il Bundahisn (la creazione primordiale) è, poi, una descrizione delle conoscenze cosmogoniche, sulle origini dell’umanità, nonché sulla configurazione del nostro pianeta, sugli astri e sulle relative influenze, suddividendo il calendario e la storia sacra in ben dodici millenni (12). Tra il IX ed il X secolo d.C. furono redatte interessanti opere filosofiche: i Dadestan i denig (sentenze religiose); i Dadestan i Menog i Xrad (sentenze dello spirito e della sapienza); e lo Skand-gumanig wizar (la soluzione definitiva dei dubbi), un trattato apologetico con spunti di critica interessanti nei confronti dell’Islam, del Giudaismo, del Cristianesimo e del Manicheismo (13). Di grande suggestione è il libro di Arda Wiraz (Arda Wiraz namag), definito come la “Divina Commedia iranica”, una straordinaria avventura epica tradotta in molte lingue, dedicata al visionario viaggio di un uomo giusto nell’aldilà. Il protagonista, grazie agli effetti di una pozione di vino e di giusquiamo, compie la grande impresa di separare da vivo l’anima dal corpo, riuscendo per sette giorni e sette notti a visitare il paradiso, la zona intermedia (una specie di purgatorio) e l’inferno, confermando le verità della fede al suo rientro nel mondo dei vivi. Anche quest’opera dimostra come le raffigurazioni del mondo dell’aldilà cristiane non siano affatto originali, ma abbiano attinto da credenze molto più datate.

Come abbiamo accennato in precedenza, nello Zoroastrismo è possibile individuare un dualismo metafisico, etico e spirituale, che comprende l’intera concezione dell’universo e dell’esistenza umana. Ahura Mazda (il Signore saggio) è un dio creatore e benefico, nemico implacabile delle potenze malefiche, guidate da Ahriman, generatore di mostri e di fantasmi soprattutto virtuali, collocati sul piano ideale della realtà. Il dualismo di questa religione, tuttavia, non deve essere considerato come quello manicheo, o di derivazione gnostica-neoplatonica, di lotta tra lo spirito e la materia, ma tra due diversi piani dell’esistenza: lo spirituale ed il materiale (nella terminologia pahlavica, il menog e il getig). Lo stato spirituale è fondamentalmente mentale o ideale, costituendo il seme o il germe di quello materiale e sensibile. Secondo lo zoroastrismo, la perfetta simmetria dei due stati si realizza solo sul piano spirituale, in quanto Ahriman, malefico e distruttore, non è capace di trasferire le sue “emanazioni” sul piano concreto della vita materiale e, per questa sua condizione di inferiorità, è invidioso di Ahura Mazda, cercando di assalirlo e di contaminarlo. Lo zoroastrismo cerca di spiegare le categorie dello spazio e del tempo, inserendo ogni ciclo creativo in una fase di 12.000 anni (9.000 anni effettivi, dopo 3.000 anni iniziali di separazione tra i due spiriti). Nell’arco di 12.000 anni, quindi, avverrà l’annientamento di Ahriman, con l’espulsione del Male dalla creazione, dopo un grande giudizio finale (14). E’ inutile sottolineare come questi aspetti escatologici e soteriologici abbiano influenzato la letteratura apocalittica biblica, in particolare il libro della “Rivelazione” di Giovanni di Patmos. Per quanto riguarda la salvezza individuale, lo zoroastrismo prevede che ciascun individuo rispetti precisi obblighi morali, prestando fede al giudizio delle anime, al paradiso, all’inferno, al mondo intermedio ed all’avvento del Salvatore (Saosyant). Nella visione di Zoroastro, vi sono anche indicazioni sull’eventuale apocatastasi (15), il ristabilimento finale di ogni equilibrio cosmico. Al momento del raggiungimento dell’assoluta perfezione, con l’annientamento del male, cielo e terra si uniranno, il mondo apparirà trasfigurato, mentre i corpi diventeranno luminosi e brillanti; le tenebre si dissolveranno ed il fuoco sarà così puro, da bruciare senza fumo; perfino i dannati all’inferno si salveranno, perchè avranno la possibilità di tornare sulla terra accanto ai giusti, mondati dei propri peccati. Il dio supremo, Ahura Mazda, non agisce da solo, ma è aiutato da un certo numero di “collaboratori”, di cui la maggior parte è rappresentata da virtù divine ed umane (gli “Immortali benefici”, il “buon pensiero”, la “verità”, la “potenza”, la “devozione”, l’”immortalità, etc.). Come appare chiaro, si tratta di astrazioni concettuali, in linea con una tendenza propria di questa religione, orientata a personificare concetti teologici astratti. I rituali dello zoroastrismo seguono l’individuo in ogni età della sua esistenza, dalla sua iniziazione verso i sette anni, considerata una nuova nascita, fino al momento della morte, concepita come un doloroso trapasso, pieno di pericoli, in direzione di una nuova vita. I fedeli sono sottoposti a numerose pratiche purificatorie, seguendo le rigide scansioni temporali dell’anno liturgico, a sua volta formato da mesi, settimane e dai già citati “cinque periodi” del giorno.

Da alcuni degli elementi analizzati, si evince come lo zoroastrismo si sia insinuato in tutte le altre religioni, soprattutto nel cristianesimo, codificando molte idee come quella di un Dio creatore, nonché concetti aggiuntivi, come quelli di Spirito Santo, Figlio di Dio, Principe del Male, Alfa e Omega, Angeli e Demoni, immortalità dell’anima, resurrezione del corpo, redenzione e tanti altri. A differenza della tradizione giudaico-cristiana, in cui si attribuisce più importanza alla “bontà della creazione”, intesa in senso interiore, nello zoroastrismo si dà più rilevanza alla “bellezza” degli esseri divini, dei corpi umani e del creato in genere. Il libro della Genesi dell’Antico Testamento biblico che noi conosciamo non si sofferma molto sulla descrizione dei corpi nudi di Adamo e di Eva, evidenziando, invece, la vergogna provata per la propria nudità, dopo aver mangiato dell’albero della conoscenza. Nella Bibbia, inoltre, nulla si dice dell’aspetto esteriore di Dio, nonostante la relazione in termini di “immagine e somiglianza” che lo accosterebbe all’uomo. All’opposto, nell’Avesta, ciò che viene creato da Ahura Mazda non è solo “buono”, ma anche “bello”, armonioso e perfetto. Nelle varie invocazioni liturgiche, si nota l’associazione tra la bellezza e la forza da una parte, e tra la forza ed il coraggio dall’altro, suggerendo come la bellezza non rappresenti un ideale fine a sé stesso, ma strettamente connesso con le virtù morali (16). Tra le figure più fortunate del pantheon della religione di Zoroastro, vi è sicuramente il dio Mitra (17), citato anche nei Veda, il libro sacro della religione induista, associato al culto solare e ad una serie di virtù etiche, come l’onestà, l’amicizia e la fedeltà. Tale divinità si diffuse rapidamente in tutta l’area ellenistica, conquistando molti discepoli a Roma a partire dal I secolo a.C., importato soprattutto dalle legioni che tornavano dalle campagne militari in Oriente. A causa della durezza di alcune prove iniziatiche a cui erano sottoposti i nuovi adepti, il culto, riservato solo agli uomini, trovò ampi consensi fra i militari. Nel terzo secolo d.C., il culto fu favorito dagli stessi imperatori che vedevano in esso un ottimo strumento per assicurarsi la fedeltà delle truppe. Durante il periodo tardo-imperiale, tuttavia, il culto di Mitra andò pian piano a fondersi con quello del Sol invictus, finendo poi per essere soppiantato dal dilagante cristianesimo, che ne ereditò varie forme iconografiche. Nell’antico mito indo-iranico, confluito nello zoroastrismo, il mito di Mitra era ricco di simbologia ancestrale. Egli era una divinità nata da una roccia e destinata ad assicurare la salvezza del mondo. Al fine di compiere la straordinaria impresa, il dio Sole gli inviò un corvo, come emissario, comandandogli di uccidere un Toro, che rappresentava la pienezza della vita e, forse, la stessa costellazione omonima (18). Mitra riuscì ad intrappolare il valoroso animale in una caverna, riuscendo ad ucciderlo con un coltello nel fianco. Dal corpo del toro morente, nacquero tutte le piante necessarie per la vita dell’uomo, in particolare il grano e la vite. Nel mito, il dio fu aiutato nell’impresa da altri due animali: lo scorpione che punse il toro ai testicoli e il serpente che lo attaccò con morsi (da considerare come la costellazione dello Scorpione sia opposta a quella del Toro). Secondo un’interpretazione diversa, i due animali sarebbero stati inviati dall’antidio Ahriman per cercare di contrastare la generazione della natura. Alla fine, comunque, Mitra, ottenuto il beneplacito dal dio-Sole, celebra con questi un banchetto con le carni del toro ucciso. Nelle raffigurazioni classiche, Mitra era rappresentato, come un giovane dal berretto frigio, nell’atto di uccidere il toro (tauroctonia) e spesso, ai suoi piedi, compaiono gli animali che lo aiutarono nell’impresa. Il culto di Mitra comprendeva sette gradi di iniziazione, ciascuno associato ad un pianeta o alla rispettiva divinità. A partire dal più basso, i sette gradi erano i seguenti: corvo-Mercurio; nymphus-Venere; soldato-Marte; leone-Giove; persiano-Luna; corriere del sole-Sole; padre-Saturno.

Mi piace concludere questa breve rassegna, con un cenno ad un’antica leggenda che riguarda il tempio di fuoco di Chak Chak, a 52 chilometri a nord-est di Yazd. Il tempio si presenta come inchiodato ad una parete di roccia, con una veduta sulla valle sottostante che può dare le vertigini. La leggenda racconta che Nikbanou, figlia dell’ultimo grande sovrano sasanide Yazdegerd, si sia rifugiata in questa valle per sfuggire alla cattura da parte dei conquistatori arabi. Il dio Ahura Mazda, mosso da pietà, l’avrebbe salvata facendola inghiottire dalle montagne, con le quali la giovane donna sarebbe diventata tutt’uno. Il santuario sarebbe stato fondato proprio intorno alla grotta dove sarebbe avvenuto il prodigio divino. Se riflettiamo, ci accorgiamo che la stessa denominazione “Chak Chak”, è in realtà un’onomatopea che richiama il rumore delle gocce d’acqua che da tempo immemorabile scorrono dal soffitto dell’antro. Con un po’ di fantasia possiamo credere che si tratti del pianto della sfortunata principessa….

Note:

(1) Con il termine “pahlavi” si indica una particolare forma delle lingue medio-persiane, adoperando un uso di caratteri di origine aramaica;

(2) Si tratta di una figura leggendaria, indicata come primo seguace di Zoroastro;

(3) Cfr. A. Alberti, Avesta, Editore UTET, Milano 2013;

(4) Cfr. A. Bausani, Zend-Avesta, Editore Ghibli, Milano 2014;

(5) Cosroe I è considerato il più importante sovrano della dinastia sasanide, grazie anche al lungo periodo del suo regno (531-579 d.C.);

(6) E’ anche la sacra cintura indossata dagli zoroastriani intorno alla vita, solitamente con tre sequenze circolari;

(7) Cfr. K. Khazai Pardis, Le Gatha-Il libo sublime di Zarathustra, Editore Mimesis, Milano 2019;

(8) I Magi citati nei Vangeli erano ragionevolmente sacerdoti provenienti dalla Persia;

(9) Cfr. M. Stausberg, Zarathustra e lo zoroastrismo, Editore Carocci, Roma 2013;

(10) Cfr. L. Angelino, L’arazzo dell’apocalisse di Angers, Editore Cavinato international, Brescia 2020;

(11) Per le tre grandi “religioni abramitiche” si intendono l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islamismo, che fondamentalmente fanno partire il progetto soteriologico divino con il patriarca Abramo;

(12) Cfr. A. Cocchi, Dalla parte di Zoroastro, Editore youcanprint, Milano 2019;

(13) Il Manicheismo, dal nome del profeta Mani, si diffuse in Persia sotto l’impero sasanide, arrivando in Occidente ed in estremo Oriente. La dottrina manichea credeva in un rigido dualismo che contrapponeva il bene al male, la luce alle tenebre;

(14) Cfr., L.A. Wills, Il tesoro di Zoroastro, Editore Silele, Milano 2012;

(15) In ambito cristiano, l’apocatastasi prevederebbe la salvezza finale anche di Satana. La dottrina, che ha avuto illustri esponenti come Origene, fu

dichiarata eretica. Cfr. L. Angelino, La redenzione di Satana-Apocatastasi, Editore Cavinato international, Brescia 2019;

(16) Cfr. A. Panaino, Zoroastrismo. Storia, temi, attualità, Editore Morcelliana, Brescia 2016;

(17) Il culto di Mitra subì profondi cambiamenti durante il periodo ellenistico. Per molti studiosi, alcuni suoi aspetti rituali influenzarono fortemente il Cristianesimo;

(18) L’importanza della lotta con il “Toro” si rileva anche nell’antico poema sumero-babilonese, l’Epopea di Gilgamesh.

Luigi Angelino

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