9 Ottobre 2024
Architettura

Le borgate del Paradiso: il Quarticciolo. A cura di Emanuele Casalena e Mario Merlino

 

Il tram 14 scorre, alla romana, in direzione Prenestina, un professorino d’arte & matita, costretto nei suoi piedi, và a prendere servizio nella succursale del liceo Francesco d’Assisi al Quarticciolo. E’ presto per entrare, una visita di cortesia al “paese” passando dal caffè di fronte, poi imbuca il quartiere celebrato solo per il “gobbo” Giuseppe Abano, partigiano di Sherwood, bandito, tradito, freddato alle spalle da sicari suoi “compagni” a 18 anni nel gennaio del ’45.

Manifesto del film di Carlo Lizzani “Il Gobbo” del 1960
Scena tratta dal film di Carlo Lizzani “Il Gobbo” del 1960, tra i protagonisti P. P. Pasolini

Piccola città d’urbanistica romana, semplice, lineare, ordinata secondo cardo e decumano, angoli retti delle vie, scatole abitative allineate in file parallele come soldati, un solo accesso a imbuto: via Castellaneta invito al “Foro” del quartiere. L’architetto è Roberto Nicolini, padre del Gandalf delle estati romane, fu progettista d’ altre borgate del ventennio come il Trullo e Torre Gaia dove si incontrano due registri che guidano il disegno, il primo è il rigore moderno del razionalismo italiano, l’altro l’umanesimo senza il quale l’astrazione partorisce un figlio morto. La sintesi porta a cavalcare una regione di mezzo dove la realtà oggettiva sposa l’immaginazione creando, con un patto condiviso senza fughe, un mondo che il figlio Renato chiama “immaginale” riferendosi ai processi ideativi paterni. Il Quarticciolo è forma di questo connubio tra ragione complessa e slancio immaginifico, guardando alla favola del nostro medioevo (altro che secoli bui!).

 

Planimetria del Quarticciolo

Rifletteva Philippe Daverio, commentando la basilica paolina, che un tempo si costruiva per l’eternità, oggi si fanno architetture del knock down and ruibild, esaurita la funzione, che ti frega abbatti e ricostruisci. Il Quarticciolo ha resistito alla guerra, alle speculazioni degli appalti, alla mancanza oggettiva di servizi, la borgata sì, assai più del gobbo di Gerace, ha fatto la sua di resistenza, partita nero è diventata rossa per incubazione sottoproletaria, vi si respira l’atmosfera dei centri sociali. C’è nato Paolo Di Canio ex-camerata del pallone, periferia juventina per vincere almeno con il calcio, pochi negozietti appesi al filo dalle grandi catene che li strozzano, sono le global Parche. C’è un giardino oltre l’ex via Lucera, intitolato a don Cadmo Biavati, salesiano, fratello di Amedeo, grande ala del Bologna, inventore del passo-doppio, campione del Mondo nel ’38. Cadmo era il Direttore nel liceo dove studiavo, trovammo un armistizio alla mia febbre d’occupare il prestigioso Istituto, c’era la tigre della contestazione globale anche nei polverosi licei di preti.

Diceva il normanno Garcia dopo una vittoria nel derby “abbiamo rimesso la chiesa al centro del paese”, ebbene è l’edificio che io visito per primo, il cuore d’ogni borgo.

Il Quarticciolo nasce nel 1938 per rispondere alla fame di case degli immigrati suddisti, ma dopo i bombardamenti Alleati su S. Lorenzo e la Prenestina, gli alloggi vengono occupati dagli sfollati. C’è la Parrocchia nel ’42, serve 20.000 anime di diseredati compreso il quartiere Alessandrino, le funzioni si svolgono nei locali al piano terra d’un condominio. La chiesa era rimasta sulla carta, l’attuale, dedicata all’Ascensione di Gesù, viene consacrata nel ’56, affidata alle cure dei padri Dehoniani. Oggi conta 3.000 animucce ma assai pochi fedeli, il cuore alla nascita non c’era, quello trapiantato soffre di rigetto, non è un semplice dettaglio per la vita del borgo.

Il virus di Roma è l’essere capitale di uno staterello, non quello della Chiesa, ben altra dimensione ha avuto nella sua Storia compreso il Rinascimento. La febbre del mattone ha creato il fenomeno anarcoide dell’inurbamento, masse di operai dalle campagne si sono trasferite nella città Eterna con un codazzo di impiegati d’ogni settore. Dalle baracche, alle casette estensive si tentava di dare risposte artigianali al bisogno di alloggi, ben 12 furono i nuovi borghi creati dal Governatorato di Roma seguendo il Piano Regolatore del ’35 firmato, indovinate da chi? Ma da Marcello Piacenti.

L’Ifacp (Istituto fascista autonomo case popolari) del duo Calza Bini-Costantini aveva restituito all’Ente il ruolo di protagonista nell’offerta di alloggi per le fasce più deboli, chiamando il gotha dei professionisti nella progettazione e selezione degli interventi.

Il Quarticciolo nasce come un borgo italico, una città di fondazione nell’agro romano, sembra ricalcare il modello del Basso Medioevo ripetuto in piano, chiuso tra due fossi e l’ex via Lucera, ha la sua torre prismatica che svetta sull’omonima piazza, accanto c’è il parco Tor tre teste che se l’attraversi arrivi dritto ad un capolavoro unico dell’architettura sacra del dopoguerra a Roma, la chiesa della Dives misericordiae di R. Meier.

La distanza da Porta Maggiore è quattro miglia da lì dicono derivi il toponimo di Quarticciolo, organismo urbano in sé concluso, la chiesa, la piazza coi negozi, la scuola elementare, la torre della casa del fascio, tre tipologie edilizie differenti per creare identità con oltre venti morfologie diverse. Razionalismo asciutto, asciutto, senza orpelli ma radicato a Roma, con bugnati, logge, volte a crociera, colombari in laterizio a schermare i vani scala, pochi balconi, un vocabolario ricco di lessico pur nelle dimensioni di un Bignami.

Foto d’archivio di Roma sparita, torre del Quarticciolo
Foto d’archivio di Roma sparita, scuola elementare del Quarticciolo

L’impianto urbanistico è simile a S. Maria del Soccorso o a Pietralata, strade ampie, piazze per il respiro sociale, verde, scatole dei servizi primari, progetti definiti di insediamenti agrurbani. Dicono i militanti del pensiero rosso che le borgate furono realizzate per confinare il proletariato ai margini del centro borghese, Sironi testimonia altro nelle sue periferie milanesi, l’eternità metafisica di questi insediamenti ben oltre il dibattito di classe dei comitati di quartiere. Certo viverci è una cosa, dare opinioni ben altra, ma noi cerchiamo il cuore, dove lo incontriamo pulsante ci fermiamo a respirare con lui, ne avvertiamo il battito magari irregolare, il calore del sangue che scorre dai scantinati alla vecchina affacciata tra persiane cadenti, è quel cuore forte l’eternità d’un quartiere sia esso nel V municipio o nell’aristocratico I.

Il Quarticciolo è vivo nonostante il degrado cui è stato condannato, assediato dall’edilizia senza senso dei palazzinari, testimonia la sua grande dignità progettuale di tessuto cucito a mano con l’aiuto della vecchia Singer per risparmiare. Voleva essere un paese giardino, uno spicchio di paradiso fatto dall’uomo per una comunità di gente venuta dalla terra, da paesi lontani perché ritrovassero quello che laggiù avevano lasciato, questa borgata è forse il migliore esempio di architettura delle periferie romane e questo è un giudizio condiviso.

Emanuele Casalena

 

Il Quarticciolo di S. Francesco

L’incipit mi accoglie e mi intriga. Mi riconosco in quel ‘professorino’, ancora magro e occhialuto con capelli e barba lunghi e grigi, vestito da ‘zecca’ e il ‘cuore nero’, la Nazionale incollata alle labbra, senza filtro, come ‘l’ennesima sigaretta’ del portoghese Yanez de Gomera, amico fedele e compagno fidato di Sandokan. I primi eroi di una infanzia trasognata. Venni mandato, insieme ad altri professori (non userò mai il termine ‘colleghi’), due sezioni al completo, a prendere possesso dell’istituto per geometri, ormai in crisi di iscrizioni, sulla Palmiro Togliatti, proprio di fronte al Quarticciolo. E, fra due file d’alberi, le rotaie e il capolinea del tram 14, tra gli ultimi testimoni di una stagione quieta e ordinata, con i suoi vagoncini verdi e rumorosi. Le seggioline in legno, comode, che mi riporta ogni mattina nei pressi della stazione Termini. Una palazzina a due piani, tutta vetrate, scale in ferro e il cortile recintato da un muretto. E’ la nuova succursale del liceo scientifico Francesco d’Assisi, nato nell’anno fatidico tanto bello quanto inutile del 1968. Durante una concitata logorroica seduta del Collegio dei docenti, alla sua inaugurazione, la maggioranza democratica rossa e antifascista impose che s’eliminasse la dizione di ‘Santo’ in nome di un laicismo ‘indecente e servile’ – e sono io a scriverlo da emulo nichilista, nanetto al servizio di Stirner e Nietzsche – come se, negando il nome, il valore di uomini oggetti e storia finisse nell’ottenebramento di sperduta pietra sepolcrale.

Di prima mattina, sono in costante anticipo (nel timore di arrivare tardi e non per ansioso senso del dovere) – mi sono scelto un bar che, dall’altra parte della strada, fa da grazioso arredamento alle facciate popolari del Quarticciolo. Con le vetrine impreziosite da scatole di cioccolatini e biscotti e caramelle e bottiglie variegate, gli stemmi della Roma e della Lazio, la lupa e l’aquila che, qui, si guardano non in cagnesco ma quasi con affetto. Un po’ kitsch. Da periferia, appunto, come era ai suoi esordi. La fame abitativa ha prodotto, nel dopoguerra, l’estensione lungo la via Prenestina fino al Raccordo Anulare e ben oltre di interi agglomerati urbani. E, paradossalmente, ha reso il Quarticciolo un unicum, un’oasi di mondo altro, una sorta di forte Apache contro l’assedio dei nuovi barbari di una modernità fattasi incontrollata e perversa. In fondo, se si sanno preservare parole e immagini di quel Novecento che fu inquieto e irrequieto, qui s’esprime – senza più la fierezza e la speranza, le illusioni del Ventennio, se si vuole essere a tutti i costi amari e cinici–quell’autentica Italia ‘proletaria e fascista’. (Non è casuale che l’area più vasta, che lo circonda – il quartiere di Centocelle -, diede, nell’estremo e tragico sussulto della sconfitta, il maggior numero di iscritti al Partito Fascista Repubblicano. E, fedeli alla sconfitta, costretti ad abbandonare case e averi).Il cappuccino è buono, cremoso come piace a me; il cornetto soffice e compatta la crema. La gente ama il mondo delle chiacchiere dove il romanesco ha raccolto accenti e vocaboli soprattutto dell’Italia meridionale. Ama soffermarsi sul marciapiede o. nei giorni di sole, seduta al paio di tavolini in metallo fuori del bar. Lavora e produci e consuma per rinnovare il ciclo del lavoro – il tamburo dà il ritmo monotono e impietoso ai rematori alla catena – s’avverte meno, nei più giovani, soli e disperati. Come ovunque. E’ il costo del benessere del consumismo dell’americanismo. Mi aggiro nelle vie interne, regolarigeometriche ad incontrarsi ad angolo retto. Le costruzioni indicano l’incuria, la modestia dei materialie il disinteresse delle amministrazioni comunali. Come massaie con la sporta in vimini della spesa l’abito stazzonato e liso il fazzolettone a scacchi a raccogliere i capelli spenti. Con la loro dignità a cui si aggrappano tenaci. Quei cortili che volevano essere luogo d’incontro, panchine in pietra aiuole fontanelle arbusti striminziti. Un mondo che fu e di cui, forse, inconsapevolmente, monta il rimpianto. Poche le botteghe, negozietti minuti, ‘il Quagliaro’ dove si accede per una rampa in pietra, un’osteria dove mangi due o tre tipi di pasta una bistecca e, appunto, le quaglie. Il vino è buono e il prezzo non insegue il profitto. Ci vado sovente con qualche alunno.

Mi dicono che uno studio di architetti urbanisti geometri – tutti dell’estrema sinistra – s’è proposto di riqualificare il Quarticcioloe di riproporlo così come fu progettato e realizzato; mi dicono che, dall’alto, il Quarticciolo riproduce la Emme di Mussolini. Ed io mi ritrovo a pensare come, il 28 aprile del ’45, lungo la spalletta del lago di Como, Nicola Bombacci venne fucilato salutando a pugno chiuso il plotone d’esecuzione e, lanciando ad estrema sfida, ‘Viva Mussolini! Viva il Socialismo!’…

Mario Michele Marlino

 

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