“il nido degli uccellini che nessuno sfama”
San Basilio, un reticolo di strade e slarghi, chiuso in se stesso, tra la via Tiburtina e la Nomentana. E’ la mattina dell’8 settembre del 1974. I lacrimogeni sparati ad altezza uomo e i manganelli degli agenti, il ruotare delle bandoliere e del calcio del moschetto dei carabinieri; di contro, le urla i sassi le spranghe di tutto e di più lanciato dalle finestre. Via Montecarotto s’è trasformata in luogo di scontro, a ritmo crescendo concitato e serrato, tra le forze dell’ordine in assetto di guerra e gli abitanti abusivi supportati dai giovani della sinistra extraparlamentare e da residenti e qualche malavitoso che, già allora, ci lucrava. Ci scappa il morto. E’ un giovane di anni 19, Fabrizio Ceruso, Appartenente ad Autonomia Operaia, venuto da Villa Adriana, Tivoli, dove la famiglia ha ottenuto un alloggio. A dare una mano, a partecipare alla difesa di quelle 150 famiglie che occupano alcune case dell’IACP e che la polizia ha ricevuto ordine di sgombrare. Un colpo di pistola. Lo conoscevano tutti, assunto a figura simbolo della lotta per la casa, citato anche dalla Banda Bassotti in una loro canzone. E ogni anno, nell’anniversario, uno stanco disilluso corteo si snoda per la borgata gli slogan i pugni chiusi, i fiori, la solita bandiera con la falce e martello e il solito volto bello e spiritato del Che. Oggi un po’ di migranti, abbandonati a se stessi, in un residence fatiscente. Altri occupanti, come se nulla fosse cambiato e i mali della periferia incancrenitisi.
Oggi qualcuno confida che forse si era trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Già, starsene a casa, ben rintanato e lasciare che il vento del cambiamento soffi fuori della finestra. Capitava in quegli anni e capitava troppo spesso. No, il mito non s’infrange, muore soltanto per dimenticanza e, il più delle volte, per noia. Corre il rischio, sì,di divenire anacronistico come è stato questo centenario appena trascorso dalla Rivoluzione d’Ottobre, con le immagini patetiche di quattro stolidi e sperduti ‘compagni’ in gita nella Piazza Rossa a farsi selfie e davanti al Mausoleo di Lenin. Fabrizio era un compagno (io, no) ed è caduto combattendo per difendere il proletariato delle periferie romane, per il diritto alla casa e, non ottenendola, occupazione ad oltranza.(Io, pur altro, concordo) E, siccome i comitati di lotta e i centri sociali si sono trasformati in giro d’affari (sovente losco), paradossalmente potrebbe ben essere intruppato fra i giovani militanti di Casa Pound o di Forza Nuova che, anche su questo fronte, hanno spiazzato e spodestato una sinistra ormai malata terminale o bramosa di mettere tutta la mano nel barattolo della marmellata… Paradosso? Provocazione, la mia? Direi di no. ‘L’Italia proletaria e fascista’, dixit Benito: riprendersi l’autenticità delle proprie radici, tornare ad essere storia a dispetto di una destra cialtrona e liberista. Trascrivo da I 18 Punti di Verona: ’15 – Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà’. Con ciò che ne consegue.
Non credo d’essermi mai inoltrato nella borgata; sono sfilato lungo la via Nomentana, magari per raggiungere la comunità degli skin di Casa d’Italia a Colleverde dove occupano un vecchio stabile abbandonato. Una bella comunità con le sue regole i modelli di comportamento che rappresentano una boccata d’aria pulita fra tante sciatterie e troppa volgarità. Anche in ciò segno dei tempi. C’è un Paese che resiste (ahi, che brutto termine, eco di feroci e vili nefandezze!) e s’oppone alla decadenza abbandono degrado d’uomini e cose. Non conosco, dunque, la borgata di San Basilio e le aree limitrofe, in essa inglobate, quando nel dopoguerra si ampliò l’edificazione, con i fondi del Piano Marshall, tramite l’UNRRA. Generosità pelosa a stelle e strisce. Come per i parenti poveri, messi all’angolo perché non stonino e la festa possa avere inizio… Ho conosciuto – e, per un certo periodo, frequentato in modo assiduo – un ragazzo che proveniva da San Basilio e s’era accostato al ‘nostro’ mondo. Come e perché non lo ricordo. Si chiamava Ugo B. e viveva con la madre in condizioni di estrema modestia in qualche casermone della borgata. Del padre non aveva memoria. Aveva il mito del ‘fascista’ bello aitante guerriero… Con Mimmo Pilolli lo deridevamo, avendo coniato a sua misura il termine ‘fichismo nero’ – noi che, certo, non eravamo e belli e aitanti e solo un po’ combattivi (guerrieri è troppo, va da sé!). Così s’usciva insieme e, evitando di umiliarlo, gli si pagava il panino e la gazzosa. Metà anni ’60. Il 17 febbraio del ’65 si inaugurava, in via Tagliamento, il Piper Club. Un fenomeno di costume e non solo discoteca. Bivaccammo e, parlando con l’avvocato Alberigo Crocetta, fra i promotori e giovanissimo volontario della Decima, proposi Ugo quale disegnatore di pannelli colorati a fondale del salone. Roba modesta, ma che gli consentì di mettere qualche mille lire in tasca e appagare la vanità. Un pomeriggio, passeggiando per Villa Borghese, volle fare lo sbruffone insultando dei capelloni. Non ebbe, però, il cuore di battersi con uno di loro. Ci pensò Mimmo che, pur piccolo di statura e minuto, non si tirava indietro. Nella colluttazione diede un morso alla guancia dell’avversario facendolo sanguinare abbondantemente. Nel celebre poster su ‘la battaglia di Valle Giulia’ (ormai sono cinquant’anni e ne sentiremo parlare) Ugo sta sulle scalette e con lo sguardo rivolto verso la fila dei camerati, diritti e asciutti come molle pronte a scattare. Quasi cercasse di cogliere l’atteggiamento giusto da assumere. Qualcuno ha detto che fascisti non si diventa, si nasce. Appunto. Non era per lui. Se ne andò, insalutato ospite e senza essere rimpianto, dove non so. Io, allora, già stavo bene (!) nella solitudine di sbarre e chiavistelli. Poco danno. A distanza di quasi mezzo secolo (più della metà dell’esistenza di un essere umano), rimango convinto che, stando tra le strade e le piazze di San Basilio – ormai trasformatosi nel mercato più grande di spaccio della droga -, io non m’imbarcherei nelle inquiete e fragili ondate ormonali di un Ugo ma sarei a fianco di Fabrizio Ceruso, del suo entusiasmo, delle sue lotte, magari sventolando – a pieno diritto – non la bandiera con l’ormai rottamata falce e martello, ma quella rosso-nera libertaria e fascista…
Mario Michele Merlino
Dalle casette Paper alla balena spiaggiata
In cinque anni ho catturato l’interesse per l’arte d’ uno studente sanbasiliano una volta soltanto assegnandogli una ricerca sui murales del suo quartiere, street art del progetto SanBa del quale lui, chissà in che modo, s’era occupato. Ne venne fuori un power point dignitoso per qualità d’ immagini e commenti, gli meritò l’unico salto sopra il 5 della sua sfatica di allievo abbonato al bagno o ai distributori di merendine nelle mie ore, un solo amore aveva: la Fisica.
Il toponimo gli viene dal nome d’un casale del XIII sec. nel fondo di proprietà della chiesa di S. Basilio, facente capo, un tempo, alla Basilica domenicana di S. Maria Maggiore, l’unica rimasta d’ impianto paleocristiano.
Nel 1940 qui ci fu il primo insediamento urbano, le casette “da 70 lire” seguendo il modello di Acilia, venivano chiamate anche casette Pater dal cognome dell’ingegnere che le aveva progettate nonché realizzate da imprenditore per contratto d’appalto, assai burrascoso, con l’Ifacp diretto da Alberto Calza-Bini.
C’era lo spirito dell’autarchia nato dalle odiose sanzioni ( strumento di pressione rimasto inalterato) delle Nazioni Unite dopo la conquista dell’Etiopia. Soprattutto c’era un il Paese che stava sulla soglia dell’entrata in guerra a fianco dell’aquila germanica.
Ad Acilia, primo insediamento popolare chiamato borgata, lo scorso anno il solito Comitato di quartiere ha voluto ricordare i 77 anni delle “casette Pater” dal nome dell’ing. svizzero Dario Pater, molto amico di Mussolini, che aveva brevettato, in tempi d’autarchia, questo sistema di costruzione prefabbricata, rivoluzionario per l’epoca. In cosa consisteva? I muri perimetrali erano realizzati fuori opera con pannelli di materiale autocnono, paglia di legno amalgamata con malta cementizia e il tutto posto sotto pressa. Si ottenevano così questi manufatti autoportanti in Populit sui quali tessere lo scheletro in travature del tetto completato da rivestimento in tegole. Il materiale ricorda le vecchie pinciaie, residenze rurali del centro Italia, costruite con fango mescolato a paglia.
Tra il 1939 ed il 1940 le casette vengono tirate su in tempi brevi sia ad Acilia che a S. Basilio, lo schema di organizzazione urbanistica è molto simile, bifamiliari ad un solo piano con ampi orti-giardini, a S. Basilio 500 mq. delimitati da bianche staccionate, strade a cardo e decumano più altre unità destinate ai servizi primari, luogo di culto, scuola, casa del fascio, ambulatorio.
A noi italiani la prefabbricazione fa storcere il naso, ci da un senso di precarietà, ma i terremoti ci hanno insegnato che è l’unica strada per far fronte all’emergenza abitativa se le agognate casette arrivano però, il vero buco nero del post Amatrice. Sempre i miei studenti erano sbigottiti al sapere che i grattacieli sono tutti delle grandi scatole prefabbricate, solai compresi. Quelle casette Pater monopiano, perfettamente antisismiche, erano una risposta rapida all’emergenza dei senza casa contenendo in se alcuni sani principi ancestrali, il rapporto uomo-natura di radice rurale, la privacy tanto sacra ai romani riscoperta dai moderni britanni, la comunità del nostro medioevo conclusa dentro un territorio coi i suoi valori forti.
E’ un falso storico che gli abitanti di S. Basilio provenissero dal centro storico dopo gli sventramenti piacentiniani, falso che le casette fossero prive di servizi igienici, che tutte le finiture fossero tutte scadenti, i pavimenti erano in marmette, falso non avessero l’acqua, le abitazioni erano provviste di cassoni. Vero che fossero abitazioni molto popolari per quantità di spazi interni data la numerosa prole delle famiglie e qualità dei materiali poveri usati.
L’estate scorsa le fiamme hanno parzialmente distrutto la scritta arborea DUX sul monte Giano nel reatino, migliaia di pini in fiamme, erano lì dal ’39 s’è salvata la D, è un monumento da restaurare mettendo in crisi esistenziale i talebani dell’antifascismo dell’ultima generazione.
Quelle casette di S. Basilio, viste dall’alto, là dove c’erano le palazzine formavano la scritta DUCE poi distrutta negli interventi di “riqualificazione” dell’Iacp negli anni ’50.
La Carpilite dell’ ing. Pater, succhiata al brevetto d’ un altro ingegnere Gino Carpi, si rivelò un materiale non affidabile nel tempo, oggetto anche di contenzioso tra Ifacp ed impresa appaltatrice, la guerra fece il resto, la borgata restò come don Falcuccio, senza quei servizi che la rendessero pienamente autosufficiente. Al resto del degrado contribuirono gli stessi abitanti, gli orti si trasformarono in discariche, poi di solito gli assegnatari non spostano un chiodo senza che l’Istituto proprietario vi provveda e c’era bisogno di manutenzione. A fine guerra gli fu proposto l’affranco ma nessuno o quasi esercitò il diritto su case trasformatesi in baracche, troppe le 60.000 £ richieste a fronte di interventi urgenti che sarebbero ricaduti sulle spalle del sottoproletariato.
Dal progetto quadro di un borgo popolare sì ma dignitoso, si passò, per tappe, alla balena spiaggiata allargando il confine del neonato quartiere con progressivi interventi d’ edilizia popolare, progettati anche da quell’arch. Mario Fiorentino a capo del team che negli anni ’70 ideò un ecomostro come Corviale (morto d’infarto ma per leggenda metropolitana suicida dopo aver visto il Serpentone ultimato) altro alveare di occupazioni, emarginazione humus della droga. Alcuni insediamenti ex novo ( quello di Fiorentino) servirono per ospitare i profughi giuliano-dalmati sfuggiti alle foibe titine, altri a seguire per i residenti delle Pater poi per i senza casa da altre periferie romane soprattutto da Campo Parioli per la costruzione del villaggio olimpico, infine nel ’74 con la guerra storica contro gli occupanti degli alloggi popolari. Nel frattempo il vecchio S. Basilio s’ era definitivamente spento alla fine degli anni ’50, le ultime 127 casette Pater rase al suolo per fare posto ai palazzoni Iacp, in parallelo la balena s’era ingrassata con le metastasi delle borgatelle, corona di lottizzazioni abusive coniugate alla speculazione fondiaria sui terreni di proprietà d’ Anacleto Gianni.
La lotta per la casa ha una storia lunga a Roma, S. Basilio ne issa la bandiera al lotto 23 bis di via Montecarotto e mi ricorda un film neorealista di Luigi Zampa l’onorevole Angelina ambientato a Pietralata, interpretato da Anna Magnani, testimonianza storica del diritto negato ad avere un tetto sopra la testa.
Emanuele Casalena
Bibliografia
Luciano Villani, Le borgate del Fascismo, cap 7.2, Ledizioni, Milano 2012
Paolo Petaccia, Andrea Greco, Borgate. L’utopia razional-popolare, Roma Capitale. Roma. Officina Edizioni, 2016.
Rerum Romanorum, Quartiere S. Basilio.
www.radiosapienza.net, Roma ci presenta le sue borgate, 5 dicembre 2017
www.romasparita.eu, S. Basilio-Roma sparita. 2011
Wikipedia-S. Basilio (Roma).
www.romatoday.it, street art a S. Basilio, 10 maggio 2017
www.romatoday.it. S. Basilio:quarant’anni fa “la rivolta per la casa”: 8 settembre 1974, 8/09/2014.