Tutte le tradizioni della Terra descrivono il Sapiens delle Origini come una specie di uomo/dio-Natura appartenuto a una «Razza dello Spirito» in possesso di «qualità psichiche» superiori alla media. Un’affermazione che calata nell’odierna società dei baciapile laici e/o confessionali equivale a tirarsi addosso gli strali infuocati di quanti scambiano per sinonimi i termini «razza» e «razzismo». O, peggio ancora, negano in toto l’esistenza della razza che contraddistingue l’insieme dei caratteri fisici ereditari comuni in gruppi etnici differenti.
Piaccia o non piaccia, la scenografia era già montata quando la nostra specie è salita sul palcoscenico planetario diretta da un regista invisibile, dal che se ne deduce che l’agglomerato dei fattori è totalmente indipendente dalla volontà del genere umano. Esiste, e basta. Nessuno ha avuto la facoltà di decidere il proprio aspetto e il proprio habitat, o in quale punto della Storia nascere. Neppure il Sapiens comparso durante la glaciazione würmiana all’interno del circolo polare artico ha chiesto di capitare in un posto speciale dove tuttora si manifestano cose altrove sconosciute.
Ad esempio c’è la luce dell’aurora, si trova il polo dei venti e del freddo, della terra e del magnete, durante la notte polare la Luna passa nel cielo mostrando tutte le sue fasi in successione ininterrotta durante un mese, l’ago della bussola si ferma, le costellazioni girano costantemente in orbite orizzontali sopra l’orizzonte rendendo più agevole all’occhio umano osservarle, misurarle e studiare le loro accelerazioni, congiunzioni e declinazioni.
Chissà se l’astronomia è nata qui … di sicuro, quando il clima da eterna primavera garantiva nella zona polare un ecosistema ottimale, per il Sapiens originario (il Sapiente) deve essere stato naturale captare le Forze cosmiche nelle forme perfette offerte quotidianamente dal Cielo e dalla Terra. La vita scorreva all’insegna della «passionarietà», ovvero della capacità dell’organismo umano di assorbire energia dall’ambiente per poi rilasciarla in forza d’azione.
Meno fortunato il Sapiens di seconda e terza generazione (il Resistente) dovette invece fuggire dal ghiaccio arrivato a ricoprire una buona parte dell’emisfero settentrionale [immagine 1]. Fu a partire da quell’epoca che il rapporto tra l’uomo e il ghiaccio si fece gradualmente più intimo, fino a diventare indissolubile: in tempi di guerra il ghiaccio poteva (e può) condizionare gli esiti di una campagna militare mentre in tempi di pace il ghiaccio riaccendeva lo spirito di avventura nell’animo umano, indirizzava gli scambi e i commerci, produceva nuove tecniche capaci di modificare gli stili di vita di interi popoli.
“I nostri antenati nordici sono diventati forti nella neve e nel ghiaccio, è per questo che la credenza nel ghiaccio mondiale è l’eredità naturale.” Circa un secolo fa si potevano leggere opinioni del genere in riviste tipo Welteislehre, o Wel, o Glazial-Kosmogonie, omonima di una corrente di pensiero fondata dall’ingegnere-profeta Hanns Hörbiger, il quale affermava di avere appreso durante una visione che la sostanza fondamentale di tutti i processi cosmici, dalle lune di ghiaccio ai pianeti di ghiaccio, fino all’etere di ghiaccio, era appunto il ghiaccio che aveva determinato l’intero sviluppo dell’universo.
Come ha detto Stephen Hawking il problema delle persone intelligenti è che sembrano pazze alle persone ignoranti. Per estensione può darsi dunque che a noi gente comune sembri incredibile che l’«eredità naturale» della specie umana sia proprio il ghiaccio, anziché qualcosa di più importante, la nostra incredulità non scalfisce tuttavia la verità. E poi, di cosa dovremmo stupirci? I medici di oggi non dicono forse che il freddo intenso fa bene alla salute? Addirittura l’ultima frontiera del salutismo è rappresentata dalla crioterapia che attiva il metabolismo, rafforza il sistema immunitario, migliora l’umore e funziona da analgesico in caso d’infiammazioni. E se lo afferma la scienza …
L’asse che vacilla
Qualche dubbio rimane circa il fatto che il genere Homo è presente sulla Terra fin dal periodo interglaciale medio, cioè da almeno 300.000 anni, o forse anche di più. Ne consegue che l’Era Glaciale ha riguardato lo stesso Neanderthal dislocato nelle terre occupate in seguito dal Sapiens [immagine 2], ovvero in Europa (blu), nel sud-est asiatico (arancione), nell’Uzbekistan (verde) e nei monti Altaj (viola). In Ungheria alcune punte di industria aurignaciana datate attorno a 42.000 anni fa sono riaffiorate dai monti Bukk, e precisamente dalla grotta Istallosko. In Spagna sono emersi reperti più o meno contemporanei, mentre in Francia gli arnesi più antichi (per ora) risalgono a 36.000 anni fa. Quindi la domanda è legittima: com’è possibile che l’allargamento del ghiaccio abbia potenziato l’uno lasciando che l’altro si estinguesse?
Entrambi i generi, Sapiens e Neanderthal, condividevano inoltre l’inclinazione alla mobilità, erano cioè popoli nomadi dinamici. Quelli, per intenderci, che nell’accezione introdotta nel XIX secolo dal geografo Friedrich Ratzel e dai circoli culturali di scuola tedesca vengono indicati come «forze trainanti» della Storia in quanto creano nel loro girovagare i presupposti delle strutture politico-sociali successive, fino alla formazione di Imperi e Stati.
Perché, allora, il nomade-Sapiens ha rivoluzionato il mondo mentre il nomade-Neanderthal si è estinto? Non di colpo, ovviamente. L’ibridazione è un processo lento, ci vuole un bel po’ di tempo per consentire una commistione genetica tra le specie. Abbiamo già collezionato un paio di domande senza risposta, ma forse la terza può gettare un po’ di luce sulle due precedenti.
Sembra che il «passaggio di consegne» tra il Neanderthal e il Sapiens sia avvenuto attorno ai 40-42.000 anni fa, ovvero nel periodo coinvolto dalla cosiddetta «escursione di Laschamp», la più repentina inversione magnetica finora conosciuta, la quale aumentò improvvisamente le radiazioni ultra-violette (UVR) selezionando in questo modo la specie umana.
Risale appunto a quel tempo la sensibile diminuzione delle popolazioni neandertaliane, come testimoniato da alcuni ritrovamenti archeologici effettuati tra la Francia del sud e il nord della Spagna. Un fatto che ha indotto i paleomagnetisti Jim Channell e Luigi Vigliotti ad avanzare un’ipotesi piuttosto interessante: la relativa minore intensità del campo magnetico terrestre potrebbe avere costituito il «fattore penalizzante» per il Neanderthal, già portatore di un gene mutato (recettore arilico), e, di contro, il «fattore premiante» per il Sapiens non coinvolto nello stress ossidativo.
La tesi appare fondata. Sappiamo infatti quanto pesantemente incida sul funzionamento dei corpi fisici l’esposizione ai campi elettromagnetici, capaci di produrre effetti acuti (immediati) e ritardati (cronici) in numerosi ambiti, spaziando dall’innalzamento della temperatura corporea al disturbo dell’apparato visivo, fino alla riduzione della fertilità maschile.
Seguendo regole matematiche molto simili a quelle che governano l’evoluzione di campi magnetici interagenti, il movimento apparentemente caotico che sospinge gli spermatozoi nel loro difficile viaggio verso la cellula-uovo da fecondare risente del magnetismo circostante. Tale dinamica favorisce gli spermatozoi in cui è più spiccata una particolare coordinazione dei movimenti della testa e della coda, innescando il meccanismo di selezione degli spermatozoi migliori. In poche parole: i più giovani sopravvivono e diventano fertili (nella fattispecie, quelli del Sapiens) mentre i più vecchi si arrendono alle mutate circostanze diventando sterili (quelli del Neanderthal).
Negli ultimi 80 milioni di anni la polarità magnetica terrestre si è già «invertita» almeno 183 volte, provocando significative estinzioni e/o modificazioni in materiali e sostanze. Se però si prendono in considerazione soltanto gli ultimi 50.000 anni, non c’è dubbio che l’evento geomagnetico più intenso sia stato Laschamp, un dato confermato da diversi archivi climatici (in particolare le rocce vulcaniche, i sedimenti marini e le carote di ghiaccio artiche e antartiche).
La teoria Channell-Vigliotti è dunque più veritiera di quanto sembri in apparenza; dopotutto il nostro mondo si trova dentro un uovo cosmico che comprende una massa di «corpi elettrici» la cui «tensione» dipende dal magnetismo che li avvolge. Gli uccelli migratori non sono i soli ad avere sulla testa una «bussola segreta» capace di riconoscere il campo magnetico terrestre, anche nella nostra ghiandola pineale (il «terzo occhio», o sesto chakra, dell’antica medicina orientale) sono state trovate tracce di magnetite. Momentaneamente questo organo è fuori servizio, dandogli però il nome di «occhio atrofizzato» la scienza moderna gli riconosce implicitamente tutte le sue funzioni, lasciando intendere che prima o poi anche questa parte di noi tornerà a svolgere il lavoro per cui è stata creata.
Sarebbe tuttavia inutile farsi illusioni sulla possibilità che il bacio del principe azzurro nei panni di IA sia in grado di riportare in vita il bello addormentato. Lo sforzo percettivo di «apertura» appartiene al cammino umano, per cui dovremo arrangiarci da soli; e stavolta, a differenza del passato, non ci saranno salvagenti a cui aggrapparsi. Nessuna nuova religione, nessuna nuova ideologia, nessuna certezza sulla nuda esistenza biologica dell’uomo e del suo ambiente.
Verso il Mondo 3
In ordine cronologico la conclusione dell’ultima inversione geomagnetica si attesta attorno al 12.400 a.C., cioè sul finire dell’Età dell’Argento, ma stando ai dati trasmessi dal satellite danese Ørsted (in orbita dal 1999) un nuovo rovesciamento sarebbe imminente. Impossibile dire oggi chi/cosa sopravvivrà o si estinguerà; abbiamo una sola certezza: il nuovo tsunami magnetico non passerà senza lasciare il segno e il mondo-Demens sarà il più coinvolto di sempre, avendo aggiunto ai fenomeni naturali una quantità industriale di apparecchiature artificiali.
Nell’ottica della completa fusione fisico-biologica-digitale con la robotica è in corso il passaggio dall’Internet delle cose all’Internet dei corpi, uno spostamento che negli ultimi tempi ha subito una poderosa accelerazione nonostante nessuno sappia come reagirà il DNA, che è un’antenna frattale in grado di spedire e ricevere segnali in forma di radio frequenze che incidono sensibilmente sull’involucro materiale che lo contiene, e, di conseguenza, sull’evoluzione storico-esistenziale della sostanza in esso racchiusa.
La cosa è risaputa, ciò nonostante è raro che i ricercatori includano nelle loro analisi il «fattore magnetico», che nella fattispecie potrebbe rappresentare l’x-factor che rese possibile la straordinaria ascesa del Sapiens nel mondo. Un privilegio negato ai suoi diretti discendenti, i quali, sottoposti invece al processo inverso, cioè al progressivo rafforzamento del campo magnetico terrestre, non scrissero per l’appunto nessuna nuova Storia dell’Umanità ma per lo meno ebbero il buon senso di custodire con cura le conoscenze pregresse, sebbene non ne capissero il senso fino in fondo. “Questo è il Tutto, / quello è il Tutto. / Dal tutto emerge il Tutto / e il Tutto ancora rimane”, ripetevano pedissequamente i redattori di Isa Upanishad.
In modo assai simile il Demens sa in teoria di trovarsi in mezzo a un turbine olografico di frequenze, però in pratica gli manca la percezione del quel Tutto mirabilmente composto da campi elettromagnetici interconnessi in cui è avvolto. Altrimenti, non farebbe ciò che fa. Attualmente l’area più debole della magnetosfera sta insistendo sopra la parte meridionale dell’Oceano Atlantico e la velocità di spostamento del Polo Nord Magnetico procede più rapidamente del previsto, superando i 55 km/anno. Significa che gli effetti del cambiamento si renderanno visibili nell’arco delle nostre vite? Avremo la fortuna di toccare con mano la mutazione?
I primi a farne le spese saranno i satelliti e gli apparati tecnologici, che andranno in tilt, ignota è però la reazione degli involucri carnali dei popoli dell’emisfero meridionale sottoposti all’influenza del calo magnetico. Idem dicasi per tutti gli altri. La scienza segnala soltanto che il corpo umano in generale «sta già» mutando e presto il DNA verrà promosso a 12 filamenti, avremo tutti un corpo più leggero, diventeremo più intuitivi, la nuova onda magnetica ci spingerà in una vibrazione superiore dove la tecnologia in eccesso scarterà se stessa.
A quel punto, probabilmente, la figura del Sapiens-Demens verrà detronizzata da una nuova immagine dell’umano, verosimilmente da un essere dotato di una «coscienza aumentata» capace di rispettare la propria naturalità e la propria condizione terrestre. E magari, chissà, i nostri pronipoti (ri)scopriranno il modo di attingere a quei famigerati nove decimi del contenuto della «scatola di energia» che chiamiamo cervello attualmente inutilizzati nella normale vita cosciente.
Con buona pace dei miscredenti, c’è qualcosa in noi che trascende i processi biologici. Quasi inascoltata la Tradizione lo dice da sempre, e ultimamente anche l’attenzione dei medio-colti è stata attirata dal «mondo 3» di Karl Popper, cioè dalla dimensione delle realtà spirituali che non si assimilano a costruzioni naturali ma producono una sorta di sovramondo ideale di cui l’uomo può fare parte con la forza di astrazione, l’inventiva e la creatività.
Tutte le attività umane sarebbero ricollegabili a questa capacità di trascendimento, ma in molti sappiamo che c’è molto di più. Persino dal Male traspare qualcosa di infinitamente più alto dei moti naturali poiché l’uomo che lo compie è comunque Spirito, ovvero aspirazione al consistere e al valore che scopertamente manifesta nell’essere umano la spinta del relativo verso l’Assoluto (Hegel, Filosofia della natura).
Ma se la Manifestazione che abbiamo imparato a conoscere rappresenta una modalità di esistenza del Principio unitario e trascendente, cos’è allora il Principio? Si tratta di qualcosa che sussiste in modo assolutamente indipendente dalla sua Manifestazione e da essa può tranquillamente prescindere? Quanto incide sulla Manifestazione il magnetismo? E le circostanze naturali, come ad esempio il ghiaccio e il fuoco? Forse avremo le idee più chiare andando avanti, quando ricominciando tutto daccapo vedremo le cose trasformar-si e trasformar-ci un passo dopo l’altro.
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