7 Ottobre 2024
Cultura & Società Livio Cadè

Le due libertà – Livio Cadè

Un grigio esponente dell’economia satanica (di cui non faccio il nome per ragioni apotropaiche) ha di recente dichiarato che siamo in guerra e che quindi si devono accettare limitazioni alle libertà. È dubbio a quale guerra alludesse. Forse a quella contro l’araba fenice, questo virus che nessuno sa dove e cosa sia, o le sue varianti, fenici che sempre risorgono dalle loro ceneri. Ma questa, più che una guerra, è una tragica pantomima. È dunque probabile che, con la sua rancida flemma, il Grigio si riferisse alla guerra che lo Stato ha da tempo dichiarato ai cittadini. In ogni caso, tutte le guerre son questione di quattrini, quindi è inutile sottilizzare.

Queste libertà amputate, ridotte a permessi e concessioni, rappresentano in realtà un attacco alla libertà come idea. Ma i più non sembrano preoccuparsene. Mi ricordano, per antitesi, quel lugubre monologo in cui il colonnello Kurtz parla dell’orrore: i soldati americani vanno in un villaggio vietnamita e vaccinano tutti i bambini. Quando vi tornano, trovano una montagna di piccole braccia amputate. I Vietcong hanno preferito tagliare un arto ai loro figli piuttosto che subire un gesto di dominazione. Kurtz definisce quell’atto “perfetto, genuino, completo, cristallino, puro”.

Qui due orrori si fondono. Quello primordiale, sporco, dei machete, da cui traluce una feroce dignità, e quello evoluto e asettico delle siringhe, strumenti di un’operazione apparentemente umanitaria che in realtà vuole sottomettere un popolo cancellando la sua identità. E forse è questa la violenza più odiosa, quella coperta di buone intenzioni. Il lupo, preso nella tagliola, si stacca a morsi la zampa imprigionata pur di riacquistare la libertà. L’animale nato libero preferisce morire che vivere in gabbia. E persone che noi definiamo selvagge solo perché meno snaturate di noi, conservano quella fierezza istintiva che alla schiavitù preferisce la morte.

Così, nelle parole del Grigio si adombra l’orrore di una tirannide che avanza e che con aplomb etico-scientifico scava profonde ferite nella libertà, l’arroganza di un potere in fondo conforme alle attitudini servili della massa. Ripenso alle parole di Bertrand Russell, il quale diceva che se lui fosse stato Dio, cioè un essere onnisciente e onnipotente, avrebbe creato un mondo migliore. Questa è però un’idea fallace.

Infatti, per sapere cosa sia meglio per noi o per gli altri, dovremmo già essere onniscienti. E il momento in cui lo diventassimo, forse capiremmo che davvero questo è “il migliore dei mondi possibili”. E allora accetteremmo anche l’esistenza di ciò che ci ripugna, come i Grigi e l’economia satanica, con i suoi accoliti e i suoi servi. Come possiamo escludere che l’orrore faccia parte di un disegno più ampio, che supera la nostra comprensione? Anche Mefistofele ammette di ubbidire, senza volerlo, a un Ordine superiore: “io mi son parte di quella possanza che vuole continuamente il male e continuamente produce il bene.

Questa ammissione fallimentare dovrebbe farci dubitare della nostra stessa libertà. La nostra vita è auto-decisione o disegno che ci viene imposto? Quanto c’è in essa di autodeterminazione? La risposta cammina sul filo del rasoio di una realtà in sé contraddittoria, in equilibrio tra due abissi. Da un lato una libertà assoluta, dall’altro un assoluto determinismo. E noi in mezzo, cercando di conciliare il moto fortuito degli atomi o la volontà di Dio con lo sforzo morale dell’uomo e le sue libere scelte.

Il problema è come si possa, dato un uomo prodotto da forze fisiche, biologiche, pulsionali, genetiche, economiche etc., salvare i concetti di libertà dell’individuo e quindi della sua responsabilità sui quali si basa ogni codice civile o religioso. Dovremmo costringere alla convivenza due idee opposte: a) la sottomissione a leggi totalmente vincolanti, b) la fede in una volontà autonoma e libera. Si crea così un corto circuito intellettuale in cui b sembra una formula magica per esorcizzare a.

La soluzione potrebbe trovarsi nella teoria della ‘doppia verità’. Nagarjuna, filosofo buddhista, afferma che la verità non può essere insegnata se non postulando due piani complementari, quello relativo e quello assoluto. Il Nirvana, che è realtà assoluta, non può essere compreso usando gli strumenti del ragionamento inferenziale o scientifico, che procede per relazioni. Viceversa, i nostri normali procedimenti deduttivi o induttivi possono spiegare il mondo fenomenico.

Allo stesso modo vi sono due libertà. Una assoluta, che non può essere limitata, e libertà relative – giuridiche, naturali, psicologiche etc. – che si possono comprimere o sopprimere. La prima è un unico infinito spazio ontologico. È il cielo in cui l’uccello può volare. La seconda è la possibilità di esercitare un nostro potere o facoltà in determinate circostanze. Ma è la stessa libertà assoluta a porsi un limite, per manifestarsi in infinite forme finite.

Potremmo definirla “libertà-radice” e considerare l’altra come sua ramificazione. La prima concerne l’essere, ossia lo Spirito. È qualcosa che sussiste ab aeterno, inalienabile e intangibile. Ogni idea a riguardo può essere espressa solo in forma dogmatica, non sperimentale. La seconda manifesta invece il farsi concreto e sempre relativo delle situazioni. È perciò razionalmente definibile, ma anche vulnerabile e aleatoria.

La prima è Inconscio metafisico libero da ogni forma di coscienza oggettivante. La seconda è invece ‘scelta intenzionale’, cioè tesa a un oggetto. Nell’esempio iniziale, il Grigio non parla della Libertà ma delle libertà al plurale. Questo è tipico di un pensiero che pone la libertà non come principio metafisico ma come ‘situazione’. La priva cioè di valore ideale per chiuderla nei suoi contenuti empirici. Questo è importante, perché presuppone una negazione della libertà ‘radicale’. Si cerca cioè di nascondere il fondamento metafisico delle libertà ‘possibili’.

In questo caso il coefficiente di una libertà particolare è un semplice valore numerico dato dal rapporto tra il volere qualcosa e il potere. In un cieco, ad esempio, la libertà di vedere ha coefficiente zero. In un detenuto, la libertà di evadere ha un coefficiente molto basso. E oggi, per un medico o un docente non vaccinati la libertà di lavorare ha coefficiente zero. Questo gradiente può dunque esser determinato da un’impotenza intrinseca o da un impedimento esterno.

Questi esempi dimostrano che il potere ha sempre funzione limitante. Da una parte, come facoltà naturale, limita l’essere e gli assegna una forma specifica, cui corrispondono libertà limitate. Dall’altra, un potere artificiale – politico, economico etc. – limita lo stesso potere naturale di cui l’uomo dispone. Parlare di “limitazioni alle libertà” è dunque pleonastico. Ma in realtà il Grigio mente. Sua intenzione non è infatti ridurre il coefficiente di libertà dei cittadini ma azzerarlo.

Un altro cruciale fattore limitante è il sapere. Non riflettiamo infatti sul problema dell’esser più o meno liberi finché qualcosa non frustra la nostra volontà. E poiché la nostra volontà è orientata da un sistema di conoscenze, un difetto di sapere implica un difetto di libertà. Ad esempio, vediamo oggi come una rete di false informazioni e di suggestioni mediatiche può condizionare la volontà delle masse. La libertà si riduce così a una mera illusione cognitiva, feticcio retorico o inutile amuleto.

Ma il problema, prima d’esser politico, è metafisico. Fin dal suo concepimento l’uomo non ha scelta. Non sceglie di nascere, né può scegliere sesso, razza, luogo, tempo, famiglia e tutte le varie condizioni che lo plasmano. L’esistere diventa allora un esser gettati nel mondo. L’uomo appare un’ombra proiettata sullo schermo della vita. Poiché ogni cosa lo determina, l’unica sua vera libertà coincide col nulla, col non essere.

Al massimo può godere di una libertà fittizia. Abbiamo così libertà politiche, sociali, naturali, che in certi casi possono esserci garantite come ‘diritti’, ma che possono esserci revocate in ogni  momento dalle stesse forze politiche, sociali o naturali che ce le hanno concesse. Per cui, anche nella più utopica comunità di liberi cittadini nessuno godrebbe di una piena libertà.

Il punto è che una libertà radicale può essere appannaggio solo di un Essere senza causa, legge a sé stesso. Per questo il prevalere della dimensione scientifica nella nostra cultura ha prodotto una contrazione del concetto di libertà. Questo è l’aspetto demoniaco della scienza: porre cause secondarie senza più vedere una Causa Prima. Di conseguenza, negando la radice della libertà, anche limitare o abolire le libertà convenzionali appare giustificato. Alla libertà come concetto qualitativo si sostituisce la necessità di un sistema quantitativo, basato su rapporti di forze fisiche, sociali etc.

Quindi, la mia previsione è che più si imporrà una visione scientifica dell’uomo, meno l’uomo sarà libero. Se vogliamo ripristinare il valore della libertà dobbiamo uscire dal perimetro delle visioni scientifiche e recuperare il senso della nostra relazione con un Essere causa sui, totalmente libero e indeterminato.

Non siamo liberi in quanto ci viene concesso di esercitare un arbitrario diritto, ma perché ogni nostro atto è manifestazione di un Essere radicalmente libero. La vera libertà nell’uomo non può dunque che essere assoluta  -‘libertà relativa’ equivale a ‘schiavitù relativa’ – e su questo si fonda la sua totale responsabilità. Per il senso comune, nascere ciechi o morire di un cancro, sono un patire il destino. Per lo Spirito sono invece un agire il destino, espressioni della sua libertà. Solo un pregiudizio largamente condiviso ci spinge a cercare fuori di noi  – nel caso, nel virus, nei Grigi – la causa di quanto ci accade. Per questo Silesius dice: «Lo spirito rimane sempre libero. Stringimi quanto vuoi con mille ceppi. Sarò pur sempre libero e senza legami».

Nessuno può dire cosa sia questa libertà-radice, perché non è una cosa. Ogni discorso che cerchi di chiuderla in un concetto andrebbe rifiutato. I significati che le diamo non possono esaurirla né riconoscerle un senso ultimo. Ma è la libertà a dialogare così con sé stessa. Si auto-riflette e si contraddice libera da obblighi dialettici. Se vogliamo fissarla in un’idea si ribella e dal suo olimpo metafisico tracima, rompendo argini logici, politici e morali.

Forse per questo il Tao Te Ching, testo sacro della tradizione cinese, non usa mai la parola ‘libertà’. Nella misteriosa poesia del testo se ne avverte però il profumo, che impregna ogni parola, ogni pensiero. Ma il suo senso resta inespresso, avvolto da una silenziosa verginità. È la spontaneità semplicissima della vita, l’immensa vacuità da cui tutto nasce senza intenzione e senza scelta.

Questa assoluta libertà coincide con l’assoluta necessità o Fato, ovvero annulla la loro dicotomia. E qui conviene fermarsi, perché, come dice ancora Nagarjuna, l’idea del Vuoto porta l’uomo di corto vedere alla rovina e lo stesso farebbe un’idea mal compresa di Libertà. Ma se noi abbiamo compreso, possiamo abbandonarci “al sogno dell’effimero, lasciandoci trasportare dalla meravigliosa insensatezza delle cose”. Questa libertà originaria non può esserci tolta. Per l’altra, per tutte le altre, dobbiamo invece lottare.

2 Comments

  • Kami 5 Dicembre 2021

    Leggevo proprio ieri un testo di Joseph Campbell intitolato “Myths to live by” (non ho idea di come si intitoli la versione italiana) in cui parlava del mito indù di Kirttimukha, e mi ha dato molto da pensare. Condivido un estratto (traduzione mia).
    “Un audace demone si presentò di fronte a Shiva; era molto potente, infatti aveva sconfitto tutti gli dèi e così, forte nel suo orgoglio, chiese a Shiva di consegnargli la sua sposa Parvati. Shiva rispose aprendo il suo terzo occhio e dalla terra ecco che apparve un altro demone, ben più grande e potente del primo. Aveva una testa di leone ed era molto affamato. Il primo demone, conscio che stava per essere mangiato, si buttò ai piedi di Shiva invocando pietà. È legge divina che un dio a cui ti sei prostrato chiedendo pietà non può rifiutare di proteggerti, per questo Shiva si trovò a dover proteggere il primo demone dal secondo demone testa di leone. Quest’ultimo, però, chiese a Shiva, “e adesso cosa mangio?” e Shiva gli rispose “che ne dici di mangiare te stesso?” E così fu, il demone iniziò a divorarsi finchè rimase solo la sua testa; e il dio capì che questo è ciò che accade con la vita, che si nutre di vita. E al demone testa di leone, che adesso quasi sembrava un sole, disse “ti chiamerò faccia della gloria, Kirttmukha, e risplenderai sopra le porte dei miei templi. Nessuno che si rifiuterà di onorarti potrà mai conoscermi”.
    Aggiunge Campbell: ” La lezione del mito è questa, che il primo passo per poter conoscere il mistero divino della vita è riconoscere il carattere mostruoso della stessa e la gloria che da ciò ne deriva; realizzare che la vita è così e che non può essere cambiata. Coloro che pensano – e il loro nome è Legione – di sapere in che modo l’universo potrebbe essere migliore, se solo fosse senza dolore, senza tristezza, senza tempo, senza vita, non sono candidati per l’Illuminazione. Coloro che pensano ‘Cambiamo prima la società, e poi noi stessi’ sono esiliati anche dal cortile esterno della pace di Dio. Tutte le società sono malvage, inique; e così sarà per sempre. Quindi, se veramente vuoi cambiare il mondo, ciò che devi insegnare è come viverci dentro. E questo lo può fare solo chi ha imparato a convivere con la tristezza gioiosa e la gioia triste che viene con la conoscenza della vita per ciò che è. Questo è il significato di Kirttimukha all’entrata dei santuari del dio dello yoga, la cui sposa Parvati è la dea della vita. Nessuno può conoscere questo dio e questa dea a meno che non si inchini con rispetto di fronte alla sua maschera.”
    Un saluto e buona domenica!

    • Livio Cadè 5 Dicembre 2021

      Io non penso affatto che questo sia “il miglior mondo possibile” (concetto astratto). Né penso lo si debba accettare così com’è. Neppure penso si possa conoscere realmente “la vita per ciò che è”. Quindi non penso di essere “un candidato per l’illuminazione”.

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