di Giacinto Reale
«Cosa importa se siam donne / non alberga in noi paura
Né ci intralciano le gonne / nella lotta santa e pura
Sempre unite e sempre forti / o fratello pugneremo
Vendicando i nostri morti / con italica virtù »
Il 14 gennaio del 1922, sul Popolo d’Italiaappare lo schema di Statuto per il funzionamento dei gruppi femminili, ai quali rimane assegnato un compito sostanzialmente secondario: coordinare il lavoro di propaganda, beneficenza, assistenza sotto il controllo dei Fasci, senza prendere iniziative politiche, con funzioni più che altro di “appoggio morale”:
“La donna fascista eviterà, quando non sia richiesto da un’assoluta necessità, di assumere atteggiamenti maschili e di invadere il campo dell’azione maschile, perché sa che la donna può molto più giovare all’ideale per cui lavora se cerca di sviluppare in bene le sue attitudini femminili, anziché cimentarsi nel campo dell’azione maschile, dove riuscirebbe sempre imperfetta e non riscuoterebbe la fiducia necessaria allo svolgimento della sua propaganda.”
Si tratta di un’iniziativa rientrante tra quelle tendenti a regolamentare l’intera organizzazione del movimento fascista diventato Partito al Congresso di Roma: i giovani nelle “Avanguardie”, gli squadristi diventano (e loro per primi ci scherzano su) “Principi” e “Triari”, le donne nei “Gruppi femminili”.
La presenza femminile è stata buona fin dall’inizio tra i seguaci di Mussolini: ve ne sono già a piazza San Sepolcro, nella redazione del Popolo d’Italia (non di rado lì passate da una precedente esperienza socialista) e, sul territorio, in molti fasci locali.
In genere, comunque, per imposizione maschile – di fronte ai rischi che non sono pochi – il loro ruolo è marginale, quando non decorativo; le più “in vista” diventano madrine all’inaugurazione dei gagliardetti delle squadre.
Ma non è così per tutte: a Firenze Fanny Dini, a Roma Emilia Carreras, a Padova Carmelita Casagrandi, a Venezia Elisa Mayer Rizzoli sono molto vicine agli uomini dei BL18; vera ”squadrista” sarà Ines Donati, la “Capitana”, più ardita dei suoi camerati, l’unica donna ad essere sepolta nella Cappella degli Eroi al Cimitero del Verano.
La sua parabola è compresa tra due delle foto pubblicate nella biografia che le dedicheranno Alfonso D’Agostino e Carlo Pocci Sanguigni: spazzina volontaria “antisciopero” a Roma nel ’19, squadrista (forse anche con una piccola pistola alla cintola) all’occupazione di Ancona dell’estate del ’22. In mezzo ci sono le aggressioni subite (venti giorni di ospedale) nel “suo” Trastevere dai nemici vili, gli schiaffi inflitti al Deputato socialista Della Seta all’Aragno, il mese di carcere, l’intervento a Falconara dopo l’esplosione della polveriera, in soccorso alla popolazione civile, il suo star “impavida, in piedi, tra il sibilar delle pallottole” al Convegno nazionalista di Ravenna, e altro… ma anche le testimonianze della sua opera di pittrice e scultrice delicatissima, dotata di sicura vena, sacrificata alla passione politica.
Come tutti coloro che sono cari agli dei, morirà giovane, a soli 24 anni, distrutta da una tubercolosi mai curata, quando le esigenze della piazza la chiamavano a fianco dei suoi squadristi.
È sicuramente un caso eccezionale quello di Ines Donati, ma chi si avventuri a spulciare nella cronaca del qua
driennio squadrista, altri ne troverà, degni di menzione, per esempio nella monumentale ricostruzione del Chiurco:
driennio squadrista, altri ne troverà, degni di menzione, per esempio nella monumentale ricostruzione del Chiurco:
– 3 ottobre 1921: la squadrista De Vita, segretaria del Fascio femminile di Pesaro, nel corso di una perquisizione poliziesca alla sede, sfida tranquillamente i questurini, e passa sotto il loro naso, portando seco, ben nascoste, 5 rivoltelle e 200 proiettili che le sono stati affidati dai camerati per evitare l’arresto;
– 13-14 luglio 1922: due fasciste casalesi, Antonietta Triulzi Camuffo e Maria Perfumo Passerone, si mettono in mostra durante le giornate dell’occupazione di Novara; a loro, al termine dell’azione, verrà tributato un “encomio solenne”, con la seguente motivazione:
“Noncuranti del pericolo, attraversavano strade e villaggi insidiosi e pericolosi, battuti accanitamente da elementi comunisti armati, mantenendo costantemente il contatto con le forze fasciste monferrine, che aspramente combattevano per la redenzione delle terre di Novara, prestando opera intelligente ed encomiabile, in cura feriti e per l’allestimento del rancio. Diedero mirabile esempio per la loro audacia e serenità nell’adempimento del dovere”;
– 30 ottobre 1922: un nucleo di donne fasciste di Muzzano del Turgorano (TV), capitanate dalla squadrista Scarpa, si arma e reagisce al tentato assalto socialcomunista della sede, sguarnita per la partenza degli uomini mobilitati per la Marcia. L’arrivo di alcune squadre autocarrate da Udine, avvertite telefonicamente, risolve la situazione a favore dei fascisti.
Non va, da ultimo, dimenticato che gli squadristi sono tutti – e particolarmente quelli di estrazione piccolo borghese – in questo periodo dei “marginali”, isolati dai loro coetanei, maschi e femmine, immersi – come ricorda Piazzesi – nella contro-società della squadra, che “fa da mescolatore, da amalgama tra gli elementi socialmente più disparati, studenti con operai, commercianti con professionisti, unisce e smussa diaframmi tra le classi, che difficilmente in altro modo potrebbero essere eliminati, poi ci si tratta col “tu”, come fossero mill’anni che ci si conosce”.
E ciò, anche con riferimento ad un elemento femminile che, se conosciuto, avrebbe fatto scandalo… ancora Piazzesi:
« Sulla cantonata di via Palazzuolo e via dè Fossi, lì, davanti al fascio, c’è quello che noi mortali abbiamo battezzato “l’Eden”, ma che non è altro che un albergaccio di terza categoria… anche tabù, o per meglio dire, c’è l’extraterritorialità, l’ “asilum loci”. La polizia non c’entra e lascia tranquilli quelli che ci sono. Così è diventata l’isola a cui approdano i fasci delle altre città. C’è tutto e per tutti i gusti… il bar dove si somministrano dei liquori che ti bruciano le viscere, c’è la faccia di faina del proprietario, le labbra rosse e gli occhi bistrati delle compagne, consolatrici e medicatrici delle rudi carezze dei camion. C’è la Teresina, soprattutto, Teresina nostra che porta pietosa da una camera all’altra quel suo sedere prepotente come se compisse una vera opera riparatrice.
… Ieri, al ritorno da Arezzo, le fanciulle ci hanno preparato vin brulé e frittelle dolci. E lì, tutti intorno a stripparci, a ridere, a far casino.
Ho pensato ai the dei nostri salotti, alle tartine trifolate, ai baciamano, e li raffronto con questo vinaccio che rode la gola, con queste frittelle che puzzano di moccolaia, con questi sederi unti delle patrone. Forse, in ultima analisi, questo ambiente, questo vino grezzo, sono la ribellione alla placida vita di famiglia, a quella viziata atmosfera borghese che da tempo sentiamo di non poter più respirare.
Non so chi abbia detto che se non ci fosse il fascismo, la gioventù più esuberante diventerebbe anarchica. Credo che abbia ragione ».