“Di colui che aspetto-
Lontano suono di passi
Su foglie cadute”.
(Yosa Buson)
Vederla separatamente, come realtà a sé, porterebbe a considerare l’albero stesso come inesistente. Perché ogni suo fiore, la sua corteccia, i rami, le radici, tutti i suoi vari aspetti potrebbero essere considerati elementi a sé stanti, e la loro unità apparire una fortuita combinazione. L’albero sparirebbe, ridotto a vuota astrazione, e al suo posto rimarrebbe una semplice somma di parti, legate da un misterioso nulla, o di funzioni come il prender cibo dal terreno, il dare frutti o l’ospitare nidi d’uccelli.
Allo stesso modo, osservando ogni singola foglia, vedremmo la minuziosa aggregazione di un picciolo, di sottili nervature, minuscoli peli e ondulazioni. E dove gli occhi non arrivano, scendendo i gradi delle nostre labili concezioni scientifiche, troveremmo colonie di cellule, di atomi, o di quelli che forse in futuro qualcuno battezzerà cosoni.
Arriveremo mai a toccare il fondo della realtà? O si aprirà davanti a noi un vuoto, metafisico nulla? Se non vogliamo restar presi nella vertigine di una profondità insondabile, dobbiamo risalire da quell’ipotetica scala, dalle oscure segrete dell’essere, verso i suoi piani superiori. Vedremo così riapparire la nostra umile foglia, con le sue forme familiari, i suoi colori, forse bagnata di rugiada, assorbire i raggi dell’aurora, tremolare nell’aria del mattino, effondere freschi profumi di bosco.
Allora ci potrebbe prendere un’altra, opposta vertigine, pensando che in essa non vibra solo la solitaria anima di un albero, ma quella della terra intera. E l’anima del cielo, delle nuvole e del sole. In lei vedremo rispecchiarsi e palpitare una vita che si espande fino ad abbracciare le galassie e l’universo immenso. Il vivo filamento di un tessuto divino. E in quella trama, l’inestricabile viluppo della nostra vita col Tutto.
Perciò, quando d’autunno ingiallisce e dissecca pian piano, uno struggimento ci prende, forse perché anche il nostro cuore trema così, appeso al filo del tempo. Lei, che sosteneva l’urto delle bufere e delle piogge sferzanti, ora basta un ignaro sbuffo di vento a staccarla dal ramo. Forse nessuno ne ammira la grazia mentre danzando disegna arabeschi nel vuoto e seguendo il ritmo di un’inudibile musica si posa tra altre foglie cadute.
Solo la terra paziente l’attende, la accoglie come una madre e la culla. Sciolta nel seno di un’anima immortale ne riemergerà un giorno, intrecciando nuovi ricami sull’antica tela del mondo, ordito di vite effimere, infinite.
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