I moderni storici e scienziati, per via di condizionamenti culturali e religiosi dovuti, da un lato, a duemila anni di cultura monoteistica imperante e assolutizzante e, dall’altro, ad una deleteria visione materialista originatasi con l’Illuminismo, sono soggetti a tutta una serie di pesanti limitazioni nella comprensione della dimensione del Sacro e della spiritualità degli antichi
Molte pagine vengono dedicate dal grande Iniziato fiorentino Arturo Reghini, nel capitolo La resurrezione iniziatica e quella cerimoniale del suo saggio Le Parole Sacre di Passo dei primi tre Gradi e il Massimo Mistero Massonico[1], ad una dotta confutazione sia delle discreditanti calunnie del primitivo Cristianesimo e dei suoi alfieri e propugnatori nei confronti della Tradizione Misterica “pagana”, che della travisazione dei Misteri e della relativa esperienza iniziatica da parte dei moderni storici, accademici e scienziati che, permeati e plasmati nella forma mentis e nella coscienza da due millenni di cultura monoteistica dominante ed assolutizzante, si prodigano istericamente, da un lato, a negare la validità e l’effettività di qualsiasi manifestazione del sacro pre-cristiana, e, dall’altro, si arrampicano sugli specchi nel goffo tentativo di teorizzare od ipotizzare che gli antichi Misteri, quelli Eleusini in particolare, non altro consistessero che in una sorta di delirio allucinatorio collettivo dovuto a stati mistico-patologici o all’assunzione di sostanze psicotrope, oppure a presunti elaborati inganni scenografici orchestrati dai sacerdoti. Interpretazioni, queste ultime, estremamente semplicistiche e riduttive di quella che fu per oltre due millenni la principale e più celebre espressione del sacro dell’antichità e che ebbe fra i propri Iniziati le più grandi personalità del mondo antico, sia in campo politico che in quello filosofico.
Come giustamente osservava Reghini, gli scrittori Cristiani dei primi secoli, come Clemente Alessandrino, Ippolito, Tertulliano, etc., peraltro quasi tutti apostati (in quanto Iniziati e fedeli di altre religioni, anche di quella Eleusina come nel caso specifico di Clemente, che poi avevano abbracciato il Cristianesimo non certo per sincera conversione, ma per mera convenienza od opportunità politica), «negarono agli antichi Misteri ogni contenuto spirituale, accusarono il “diavolo” di aver posto in essi cerimonie consimili ad alcune cristiane (sic! Accadde invece, in realtà, l’esatto contrario, n.d.A.) per ostacolare la diffusione della “nuova religione”, posero in ridicolo per incomprensione o per mala fede le Sacre Cerimonie, le tacciarono di immoralità giudicandole col criterio per essi indiscutibilmente e assolutamente giusto della loro “moralità”, aiutandosi anche a scopo polemico con fantasie e calunnie»[2].
«Ma – proseguiva Reghini – nell’accanimento dei Cristiani contro gli antichi Misteri, che sbarravano il passo alla trionfante e inconsulta propaganda delle loro fantasie e al loro barbaro impulso distruttore della civiltà, noi vediamo all’opposto una prima prova che negli antichi Misteri un contenuto spirituale vi era, e tale da appagare gli spiriti nobili e colti e da dare molta ombra agli adoratori della croce e della foglia di fico»[3].
E, con ancora maggiore oculata e ragionata precisione, Reghini affermava che «Naturalmente il trionfo quasi completo della nuova religione asiatica, la perdita, spesso non casuale dei testi di molti autori pagani, l’instaurazione di un monopolio secolare della cultura e dell’insegnamento, lo sfruttamento stesso della forza e della universalità di Roma pagana, l’odio instillato per le antiche religioni, la soppressione oculata e cristianamente feroce di ogni voce indipendente, resero tradizionalmente accetta e pacifica la svalutazione dei Misteri, e la loro interpretazione semplicemente scenografica finì col sembrare ovvia, naturale, sicura»[4].
Chapeau a Reghini (come avrebbe detto Guénon), ma apro qui una piccola parentesi per sottolineare, come ho già fatto in altri miei saggi ed articoli, quello che, a mio avviso, può rappresentare un limite della visione reghiniana, anche se solo un limite di forma più che di contenuto, e che rappresenta del resto ancora oggi un limite della visione di tanti sedicenti tradizionalisti: l’esaltazione della “paganità” e il ripetuto uso stesso, fino all’enfatizzazione, del termine “pagano”.
Ho messo di proposito questo termine tra virgolette perché non si tratta di un aggettivo o di un epiteto che amo o che uso volentieri. Non lo amo e non lo uso volentieri perché nasce, da parte cristiana, con l’intento meramente dispregiativo di screditare e denigrare tutto un mondo religioso ed un insieme di Tradizioni misteriche e spirituali plurimillenarie che il nuovo culto tentò, con una intolleranza e una violenza del tutto estranee all’antico sistema di valori dell’area mediterranea, di distruggere e di estirpare.
Gli Eleusini, al pari degli esponenti e degli Iniziati di altre Tradizioni misteriche, inclusi i Pitagorici (che dall’alveo dell’Eleusinità derivano), non si sono mai definiti, né mai si definiranno “pagani”. “Pagani”, semmai, furono (e sono tutt’oggi) ai nostri occhi i Cristiani, con la loro intolleranza e con la loro avversione verso i sacri valori dell’universalità e della Tradizione ellenico-romana.
Riallacciandoci adesso al filo del discorso di Reghini, è interessante rilevare come egli constatasse che la teoria “scenografica” dei Misteri, ancora piuttosto diffusa fra gli studiosi accademici nella prima metà del ‘900, si fondava principalmente sulla convinzione che Essi consistessero in una semplice “rappresentazione”, in un mero “dramma mistico” scevro da ogni reale teofania, e su un diffuso ed errato paragone con i “Misteri” cristiani alto-medioevali, che non altro erano in sostanza delle semplici rappresentazioni drammatiche. Reghini sosteneva, infatti, che l’identità della parola per gli uni e per gli altri Misteri possa aver indotto ad una frettolosa quanto errata assimilazione, ma che tale identità verbale sia in realtà del tutto apparente. Ho già spiegato in questo saggio sia il significato che l’etimologia del termine greco Μυστήρια e del suo intrinseco legame con il verbo μυέιν e con il concetto del segreto iniziatico, del dover e saper chiudere gli occhi e la bocca. La parola “Misteri” adoperata per designare quelli cristiani medioevali non è altro, come sosteneva il filologo Ugo Angelo Canello, una corruzione di “ministeri”, perché tali rappresentazioni religiose della passione di Gesù Cristo et similia erano appunto, come sottolineava Reghini, un santo ministero, un uffizio, un esercizio.
La religione Cristiana adopera quindi impropriamente la parola “Misteri”, derivata dai Μυστήρια greci, ma svisandone il senso, come ha fatto del resto con moltissime altre parole greche e latine (ad esempio, religione, grazia, virtù, carità, etc.). Mentre il “mistero” indica propriamente il segreto iniziatico, il “non divulgabile” a profani, l’ineffabile (perché trascendente la comune esperienza umana), per i Cristiani è arrivato ad identificarsi con i loro stessi dogmi, con i “misteri della fede”, ossia, come scriveva Reghini, «le supreme verità, dette “misteri” perché vanno accettate per fede, senza discuterle e senza neppure cercare di capirle perché di loro natura incomprensibili»[5].
Se d’altra parte – continuava Reghini – il contenuto religioso dei due “misteri” potrebbe in un certo qual modo apparire simile perché entrambi rappresentano la passione di una Divinità, ma la somiglianza si ferma qui, perché i “misteri” cristiani non hanno certo la funzione iniziatica e palingenetica di quelli antichi, in primis di quelli Eleusini, e il corrispettivo cristiano dell’Iniziazione va semmai cercato non nei “misteri” cristici medioevali, bensì nel sacramento del Battesimo.
Reghini osservava anche che la moderna teoria “scenografica” degli antichi Misteri tanto in voga al suo tempo trovava, da parte di alcuni accademici, un certo appoggio nella circostanza storica per cui l’origine della tragedia greca è da connettersi al culto di Dioniso-Zagreo e alle rappresentazioni sceniche della sua morte. Fondamentalmente ciò corrisponde in parte a verità, come attestano molteplici fonti storiche e letterarie, e l’origine dionisiaca della tragedia greca come si sviluppò fra il VI° e il V° secolo a.C. può essere vista come un’estensione in senso drammatico (ossia secondo criteri prettamente scenico-teatrali) dei Riti in onore del Dio. Ma, a prescindere che ciò sia vero e che, come sosteneva Aristotele nella Poetica, l’origine della tragedia sarebbe un’evoluzione del ditirambo satiresco, un particolare tipo di ditirambo dionisiaco eseguito da satiri e introdotto nel Peloponneso da Arione di Metimna, come ho scritto in vari miei saggi, non vi è alcun legame dottrinale fra il culto di Dioniso e gli altri principali culti misterici dell’area ellenica. Anzi, la figura di Dioniso, sia nell’Eleusinità Madre che nelle sue derivazioni Orfica, Samotracense e Pitagorica, non solo non è contemplata nel culto e nei Misteri stessi, ma è sempre tenacemente stata avversata e vista come ostile e nemica. Molte delle prerogative, simbologie e caratteristiche di tale Dio e del suo culto sono state semmai, al contrario, assimilate, acquisite e fatte proprie dal Cristianesimo, come ha dimostrato già negli anni ’20 lo storico ed archeologo Vittorio Macchioro, che aveva individuato un impressionate numero di corrispondenze e di compenetrazioni fra la dottrina dionisiaca e quella paolina[6].
Nel mio saggio Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta ho dedicato un intero capitolo, intitolato Il significato dei Misteri e le limitazioni dei moderni storici, proprio alle travisazioni e agli errori interpretativi, in buona fede o meno, da parte degli storici contemporanei, e in particolare degli storici delle religioni, della realtà storica degli antichi Misteri e della loro sacralità. In tale mio studio ho osservato che sui culti misterici dell’antichità mediterranea è stato scritto e teorizzato molto, e che esiste a riguardo un vastissimo numero di studi e di saggi firmati dai più autorevoli antropologi e storici delle religioni, ma che dobbiamo sottolineare come le linee guida della maggior parte di queste opere risentano di due sostanziali limitazioni. La prima di esse è costituita, nonostante l’abbondanza delle fonti classiche greche e latine in materia religiosa, dal fatto che antichi autori e cronisti come Erodoto, Pausania, Plutarco, Diodoro Siculo e Polibio, pur affrontando l’interpretazione dei miti e delle dottrine religiose, parlando di culti misterici non entrano mai nel dettaglio della ritualistica e dei contenuti e delle conoscenze iniziatiche. E se, sporadicamente, lo fanno, mantengono comunque su certi temi un atteggiamento di chiusura e riservatezza che, agli occhi profani dei nostri contemporanei, potrebbe apparire addirittura “omertoso”. Si tratta invece di un ovvio atteggiamento di rispetto, derivato soprattutto dal loro attenersi alla regola e al voto del silenzio. La maggior parte di certi autori, infatti, aveva ricevuto in prima persona un’Iniziazione misterica (e in certi casi più di una), ed era quindi ben conscia del limes, della linea di confine oltre la quale non era lecito spingersi scrivendo riguardo agli Dei.
«Su questi Misteri, – scrive Erodoto – che io conosco senza eccezione, osservi la mia bocca un religioso silenzio»[7]. E certi altri autori, come ad esempio Platone, Plotino, Proclo, Giamblico, Virgilio e lo stesso Imperatore Flavio Giuliano, trattando di argomenti religiosi, lo facevano da Iniziati rivolgendosi ad altri Iniziati, e utilizzavano quindi un linguaggio volutamente sibillino e ricco di simboli e di metafore. Un linguaggio che era però perfettamente comprensibile per i loro interlocutori, che ne detenevano le corrette chiavi di lettura.
La seconda – e la principale – limitazione di cui risentono i moderni storici delle religioni è prettamente culturale. Duemila anni di Cristianesimo e di cultura monoteistica imperante hanno infatti plasmato a tal punto le coscienze e la forma mentis dell’uomo occidentale, che questo, affrontando tematiche quali la spiritualità e la religiosità degli antichi, non riesce a comprendere fino in fondo come i Greci e i Romani concepissero e vivessero il rapporto con il Trascendente e cade sovente nella trappola della presunta superiorità morale del Cristianesimo. Una trappola che, proprio per via della formazione culturale acquisita, sia a livello scolastico che familiare, lo porta a considerare erroneamente il monoteismo quale una naturale evoluzione della spiritualità occidentale ed un superamento, in senso positivo e qualitativo, di antichi “miti” e antiche “superstizioni” fondate sull’ignoranza. Una trappola in cui cadono inesorabilmente sia gli studiosi con approccio “laico”, sia quelli con una formazione ed un approccio di natura cattolica, o comunque giudaico-cristiana. Sia i primi che i secondi, infatti, fondano i propri studi e le proprie ricerche e interpretazioni sulla negazione dell’esistenza degli Dei e sul conseguente presupposto che, nel contesto degli antichi riti, Essi non si manifestassero realmente agli occhi dei fedeli e degli iniziati.
È triste constatare come in tale trappola siano spesso caduti (con le debite eccezioni di grandi menti illuminate come Robert Ambelain, Jean Marie Ragon o Arturo Reghini) anche storici e studiosi iniziati alla Libera Muratoria, che si presume dovrebbero aver acquisito, specie se elevatisi ad alti gradi, le più corrette chiavi di lettura per l’interpretazione del rapporto con il Trascendente.
Generalmente poco concordo con le analisi e le interpretazioni che dei culti misterici dell’antichità che ci ha fornito Walter Burkert, docente di Storia delle Religioni e della Filosofia Greca presso l’Università di Zurigo, nei suoi numerosi saggi, pubblicati anche in Italia. Ma può essere condivisibile la sua denuncia della sopravvivenza, nello studio delle religioni misteriche, di alcuni stereotipi e preconcetti che devono assolutamente essere messi in discussione, poiché ci inducono, nel migliore dei casi, a verità parziali, quando non a veri e propri fraintendimenti.
Il primo stereotipo denunciato da Burkert è quello che vede le religioni misteriche come “tarde”, tipiche della tarda antichità, del periodo imperiale o del tardo periodo ellenistico, «quando la brillante mente greca stava cedendo il passo all’irrazionale»[8]. Niente di più falso, perché la nascita dei principali culti misterici è da collocarsi in epoca molto arcaica, precisamente fra il XIII° e il XII° secolo a.C., in quel delicato momento di transizione fra l’Età del Bronzo e quella del Ferro, una cerniera della Storia dell’umanità che vide ovunque incredibili rivoluzioni e trasformazioni di natura politica, sociale, religiosa e, non ultima, climatica e ambientale.
Il secondo stereotipo denunciato dallo studioso svizzero è quello secondo il quale le religioni misteriche sarebbero “orientali” per origine, stile e spirito. È vero che regioni come l’Anatolia, la Persia o l’Egitto potevano in passato essere definite “orientali” sulla base di un punto di vista prettamente europo-centrico, e che l’Egitto in particolare veniva visto da alcuni antichi autori come la culla della civiltà e della religione, ma dobbiamo concordare con Burkert quando scrive che anche i culti misterici cosiddetti “orientali” (i Misteri di Iside e Osiride per l’Egitto, quelli di Attis e Cibele per l’Anatolia e quelli di Mitra per la Persia) «sembrano riflettere il più antico modello di Eleusi»[9].
Il terzo stereotipo denunciato da Burkert riguarda infine la presunzione che la nascita e la diffusione delle religioni misteriche sia stata dettata da una svolta “spiritualista”, un mutamento fondamentale nell’atteggiamento religioso degli antichi popoli mediterranei funzionale o preparatorio all’ascesa del Cristianesimo. Uno stereotipo che si riallaccia alle infondate teorie di una ipotetica o presunta “crisi” tardo-antica della religiosità “pagana” e che è frutto di una distorta visione cristianocentrica che ben si riconnette alle limitazioni culturali che poc’anzi ho trattato. Possiamo quindi dare ragione a Burkert quando sostiene che «l’uso costante del Cristianesimo come sistema di riferimento quando si tratta delle religioni misteriche conduce a distorsioni»[10].
In un altro mio studio di alcuni anni fa, che sarà ripreso e sviluppato nel secondo volume di Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta, avevo preso in esame e confutato quella particolare e perniciosa visione materialistico-scientista – ancora oggi purtroppo molto diffusa e radicata in ambito accademico – secondo la quale le esperienze estatiche e palingenetiche relative alle Iniziazioni agli antichi Misteri sarebbero da ricondurre al mero utilizzo di sostanze psicotrope. Vale la pena, in questo contesto, per completare la panoramica in cui ci siamo addentrati, ripercorrere i punti sostanziali di tale mio studio.
«Per migliaia di anni le piante allucinogene hanno conservato un ruolo di primissimo piano nella vita sociale e spirituale dell’uomo, e le profonde modificazioni percettive e interiori da esse prodotte sono state, con ogni probabilità, il denominatore comune di tutte le religioni antiche».
Con queste sconcertanti parole Gilberto Camilla, Vicepresidente della Società Italiana per lo Studio degli Stati di coscienza, iniziava non molti anni fa la sua prefazione all’edizione italiana del saggio Alla scoperta dei Misteri Eleusini di Robert Gordon Wasson, Albert Hofmann e Carl Ruck[11], un saggio che, notoriamente, è teso a “dimostrare” come dietro al patrimonio sapientale e all’esperienza ecclesiale e iniziatica dell’Eleusinità nient’altro vi sarebbe che l’assunzione di sostanze allucinogene.
Di fronte a simili assurde e del tutto infondate illazioni, la Scuola Italiana degli Eleusini Madre non poteva certo restare indifferente e fare a meno di presentare una propria risposta che ci auguriamo possa porre fine una volta per tutte a una vergognosa sequela di speculazioni e di disinformazione che il testo sopra citato ha notevolmente contribuito a generare.
Chi scrive ha l’autorità per poterlo fare. Oltre a rappresentare un organismo laico quale la Scuola Eleusina Madre, noi rappresentiamo per diritto storico e per esperienza familiare e personale l’Istituzione Ecclesiale Eleusina. Per questa ragione la nostra esposizione terrà conto di due diversi punti di vista: il punto di vista “laico”, di studiosi di un’esperienza storica e spirituale che dal 1.216 a.C. continua fino ai giorni nostri, e un punto di vista più strettamente dottrinale e teologico, non per questo disgiunto da una corretta analisi storica e scientifica.
Gli Eleusini sono sempre stati a favore della piena libertà di espressione dell’individuo e, per la difesa di tale principio si sono storicamente battuti fino a sacrificare, con migliaia di martiri, le proprie vite in epoche in cui le libertà religiosa, di pensiero e di espressione venivano drammaticamente messe in discussione. E proprio affinché tale principio di libertà possa godere di piena attuazione anche oggi, in questa fase di grandi incognite e trasformazioni millenaristiche, gli Eleusini Madre hanno preso la decisione di ripresentarsi ufficialmente nella società, rendendo pubblica buona parte della loro esperienza e della loro Conoscenza.
Di quello che è stato e che tutt’oggi è il patrimonio sapientale dell’Eleusinità nel suo complesso, ci risulta sia conosciuto in ambito profano e dagli storici neanche un dieci per cento. E questo dieci per cento risulta drammaticamente inquinato da secoli di arbitrarie interpretazioni di autori antichi e moderni, nonché da influenze dottrinali di altri culti (come, ad esempio, quello dionisiaco), che con l’Eleusinità niente hanno mai avuto a che spartire. Le ragioni di una tale esiguità di informazioni potrebbero essere comodamente imputate alla pratica del voto del silenzio a cui era tenuto chi si iniziava ai Misteri e alla necessità, da parte degli Eleusini, di occultare sé stessi e la propria Conoscenza per difendersi in un momento in cui le persecuzioni cristiane di tutti i culti definiti “pagani” stavano raggiungendo l’apice. Ma questa sarebbe una spiegazione troppo semplicistica. In realtà, il voto del silenzio a cui erano tenuti in passato gli Iniziati, e che continua ancora oggi ad essere uno dei punti fermi e dei fondamenti della nostra realtà iniziatica, era riferito a determinate fasi della cerimonia iniziatoria e a determinati contenuti del messaggio rivelatorio divino che in tale contesto veniva appreso. Tale voto, in sintesi, era esteso ad una minima parte dei precetti, delle nozioni e delle pratiche che il Mystes poteva apprendere con il primo grado dell’Iniziazione. E non si trattava di un silenzio fine a sé stesso, ma di una regola dettata dall’esigenza di preservare perle di sapere umano e divino che, in mani sbagliate, sarebbero state travisate o compromesse. Tutto il resto, potremmo dire un buon ottanta per cento dei precetti, delle regole e delle pratiche cerimoniali è sempre stato di dominio pubblico per ogni cittadino di età classica o dell’Impero Romano, qualunque fosse stato il suo credo religioso o il proprio indirizzo di pensiero. Semplicemente perché tutto questo era parte integrante del vivere quotidiano, della cultura e della moralità dell’epoca.
Ci sono voluti duemila anni di cultura cristiana imperante perché venisse cancellato dall’ambito culturale e dalle coscienze popolari un simile patrimonio di valori e perché crescessero a dismisura la disinformazione, la travisazione storica e quell’alone di mistero e di sospetto nei confronti di quelle che, nei tempi antichi, non altro furono che ordinarie manifestazioni di quella che fu non solo una grande religione, ma soprattutto una grande scuola di pensiero, la più diffusa in tutto il bacino mediterraneo.
Ed è proprio a causa di queste volute travisazioni e disinformazioni, che oggi si leggono in merito all’Eleusinità le cose più aberranti. E quello che più ci preoccupa è che certe affermazioni non provengono da semplici cittadini, bensì da docenti universitari, storici delle religioni, scrittori, scienziati ed altri “qualificati” esponenti dell’establishment accademico.
Il sonno della ragione, si sa, genera mostri. E cos’altro se non il sonno della ragione può aver partorito un’opera quale quella di Gordon-Wasson, Hofmann e Ruck?
Nella prima parte del testo è Robert Gordon-Wasson, speculatore finanziario senza scrupoli (è stato a lungo Vice Presidente della famigerata J.P. Morgan) con il pallino dei funghi psichedelici e fondatore di quella pseudo-disciplina che porta il nome di Etnomicologia, a prendere la parola. Partendo dai risultati di certe sue ricerche dai quali sarebbe emerso che nei siti mazatechi e zapotechi, nelle montagne a Sud del Messico, gli sciamani impiegano nelle loro pratiche magico-religiose una bevanda allucinogena preparata con i semi di due diverse specie di convolvolo (la Turbina Corymbosa e l’Ipomea Violacea), e sottolineando, quasi vantandosene, di aver più volte ingerito queste sostanze subendone gli effetti, egli tenta a tutti i costi di trovare un paragone fra il delirio allucinatorio degli indios del Nuovo Mondo e il mondo classico, andando a chiamare in causa proprio i Misteri Eleusini. Perché?
Qui non si tratta di mettere in discussione l’utilizzo di sostanze psicotrope, nel limitato contesto di particolari riti e cerimonie, da parte di culture sciamaniche, cosa che è del resto nota e confermata da più studi antropologici. Si tratta, semmai, di fare una considerazione di più ampio respiro. A prescindere dal fatto che gli autori di questo saggio dimostrano una assai scarsa familiarità con la Storia e, in particolare, con la Storia delle religioni, essi partono dal presupposto “scientista” che qualsiasi manifestazione divina o comunque supernaturale debba per forza essere scaturita dall’uso di droghe. E, evidentemente, secondo questa loro ottica, quale religione dell’antichità meglio poteva prestarsi alle loro illazioni di quella Eleusina, così circondata da quell’alone di mistero che attorno le si è sempre costruito?
Come puntualizzano, andando avanti nel testo, gli altri due autori, durante l’Iniziazione ai Sacri Misteri doveva accadere qualcosa di sensazionale, di eclatante, qualcosa che doveva sconvolgere a vita le menti e le coscienze degli Iiziati; ed effettivamente, come già abbiamo avuto modo di spiegare, qualcosa di straordinario realmente avveniva, anche se non certo quello che ipotizzano Gordon-Wasson, Hofmann e Ruck. Non conoscendo ovviamente il contenuto della cerimonia di Iniziazione e soprattutto i suoi passi più solenni e impenetrabili ad occhi profani, gli autori hanno ipotizzato che agli iniziandi venissero fatte assumere necessariamente dai sacerdoti delle sostanze stupefacenti per dar loro l’illusione allucinatoria di entrare in contatto con gli Dei. In quale momento, in quale fase della cerimonia, però?
Non avendo trovato altri appigli, essi si sono concentrati sulla bevanda sacra che, effettivamente, in una fase della cerimonia, veniva fatta bere agli aspiranti Mystai, il Kykeon. Tale bevanda, consistente in un infuso di acqua di sorgente, farina di orzo ed erbe aromatiche quali ad esempio la menta, veniva fatta bere agli iniziandi a puro scopo rievocativo, in ricordo di quando la Dea Demetra, giunta ad Eleusi nel 1.216 a.C. sotto le sembianze di una vecchia, ospitata al palazzo del Re Celeo, rifiutò il vino che le venne offerto, accettando altresì una coppa di Kykeon.
Così recita l’Inno Omerico a Demetra (versi 206-211):
«Allora Metanira, riempita una coppa di vino dolce come il miele, / a Lei la porgeva; ma la Dea la respinse: disse che, in verità le era vietato / bere il rosso vino, e comandò che le offrisse come bevanda / acqua, con farina d’orzo, mescolandovi la menta delicata. / La donna preparò il kykeon, e lo porse alla Dea come ella aveva ordinato. / Demetra, la molto venerata, accettandolo, inaugurò il rito».
Essendo notoriamente il Kykeon l’unica bevanda che potevano assumere gli iniziandi (che non dovevano aver toccato cibo durante le fasi preparatorie dell’Iniziazione), Hofmann, noto per essere stato lo scopritore del potente allucinogeno LSD), nel tentativo di avvalorare la sua ipotesi ritenne di aver identificato proprio con l’assunzione del Kykeon il momento in cui doveva essere somministrata la droga agli iniziandi. E, non essendovi traccia fra gli ingredienti noti del Kykeon di funghi allucinogeni o di alcaloidi dell’acido lisergico, l’elemento “incriminato” doveva essere per forza, agli occhi dello scienziato svizzero, un altro. Le attenzioni di Hofmann si sono così indirizzate sull’elemento base della bevanda: la farina d’orzo. Ma può, obiettivamente, l’orzo avere qualche proprietà psicotropa? Non occorre essere dei chimici o dei botanici per poter categoricamente rispondere di no ad un simile quesito. Allora Hofmann chiama in causa la “segale cornuta”. Stiamo parlando dell’Ergot, il nome comune dato ad un ascomiceta denominato Claviceps Purpurea. Il termine, in lingua Francese, significa letteralmente “sperone”. Infatti, questa specie appartenente al genere Claviceps (che ne conta circa una cinquantina) è un parassita delle graminacee e forma degli sclerozi simili appunto a speroni o a cornetti che conferiscono alla pianta infestata – principalmente la segale – il nome comune di “segale cornuta”. La Claviceps Purpurea, che può infestare talvolta anche il grano o erbe selvatiche come il Paspalum, risulta essere oggi la più studiata e conosciuta del genere Claviceps per i suoi importanti effetti nella contaminazione di alimenti confezionati a base di cereali da essa attaccati. Le spighe colpite dal fungo formano degli sclerozi scuri, detti appunto “segale cornuta”, in cui sono presenti molti alcaloidi tossici del gruppo delle ergotine, che possono avere proprietà psicotrope e che causano gravi effetti sulle persone e gli animali che li ingeriscono. Questi alcaloidi, agendo come vasocostrittori, comprimono la circolazione e interagiscono con il sistema nervoso centrale, colpendo in particolare i recettori della serotonina.
Quindi, secondo i nostri tre autori, tutta la “farsa” allucinatoria di Eleusi di sarebbe retta sulla malafede dei sacerdoti, che avrebbero somministrato una bevanda tratta dalla segale cornuta agli iniziandi, al fine di dominare e devastare le loro menti con gli effetti della droga. E da Eleusi, tanto per fare nomi, sono passate le illustri menti di Cicerone, Callimaco da Cirene, Elio Aristide, Plutarco, Eschilo, nonché imperatori come Augusto, Marco Aurelio, Adriano, Traiano, Antonino Pio, Gallieno, Giuliano, i più grandi letterati e scienziati del mondo greco-romano e grandi donne del passato quali Plauzia Urgulanilla e Galeria Valeria, nonché, come abbiamo visto, Socrate, Platone e i più grandi Filosofi di scuola platonica o neo-platonica.
Non occorre essere dei geni per demolire come un castello di carte le affermazioni di Gordon-Wasson, Hofmann e Ruck. Basterà dire che la segale cornuta è un prodotto spontaneo, che cresce solo se una spiga è attaccata dal parassita. In una piantagione di cereali, statisticamente, potremmo trovare, se abbiamo fortuna, una spiga di segale cornuta su migliaia. E decine di migliaia erano i fedeli che, da tutti gli angoli del Mediterraneo e del mondo allora conosciuto, si recavano ogni anno al Santuario di Eleusi per ricevere l’Iniziazione ai Sacri Misteri; e, come giustamente sottolineava Reghini, con l’andare del tempo la popolarità dei Misteri Eleusini andò sempre crescendo e con essa il numero degli Iniziati[12].
E sempre Reghini, assai argutamente osservava che se anche il solo semplice sospetto di un possibile deliberato inganno di questo genere si fosse diffuso nell’antichità riguardo ai Misteri e alle loro classi sacerdotali, esso sarebbe stato senz’altro utilizzato come arma per eccellenza dai loro principali nemici e detrattori: i Cristiani. Ma, fra le molteplici e spesso assurde e abnormi accuse rivolte dai seguaci di Cristo ai Misteri e alle loro sacre istituzioni, tutto vi è tranne quella di aver orchestrato ai danni degli iniziandi una farsa allucinatoria basata sull’utilizzo di piante o sostanze psicotrope.
Ammesso e non concesso che vi fosse realmente stata l’intenzione (a che fine, poi?) di drogarli tutti questi iniziandi, i sacerdoti di Eleusi avrebbero dovuto avere immagazzinate enormi quantità di segale cornuta per poter preparare migliaia di “dosi” di Kykeon!
Peccato che l’ingrediente primario del Kykeon fosse in realtà proprio l’orzo, e che tale bevanda, che veniva in antico assunta dagli Iniziati a esclusivo scopo rievocativo, sia ancora oggi molto diffusa in un’area geografica che va dalla Grecia alla Bulgaria, fino alla Turchia Europea. Bevanda che i Bulgari e i Macedoni chiamano “Boza” e che si può tranquillamente chiedere in una pasticceria o in un bar di Salonicco o di Skopje, in particolare durante i mesi estivi, dato il suo potere dissetante e nutriente. Una bevanda quindi, che, se la proverete, vi toglierà senz’altro la sete, ma che non vi darà certo delle allucinazioni!
Dulcis in fundo, Hofmann arriva a sostenere quanto segue:
«Un ulteriore collegamento della segale cornuta con Eleusi potrebbe essere visto anche nel fatto che uno dei riti eleusini consisteva nel mostrare una spiga di grano per mano dei sacerdoti»[13].
Una simile affermazione non può denotare altro che una profonda ignoranza riguardo ad una delle più elementari ma allo stesso tempo più profonde simbologie sacre eleusine: la spiga di grano che veniva mostrata agli iniziandi stava semplicemente a simboleggiare il ciclo delle rinascite e la perpetuità della vita umana tramite la reincarnazione. Come infatti sottolinea Guido Maria St. Mariani nel suo saggio L’origine e le cause dei Misteri Eleusini dalla creazione dell’universo a quella dell’uomo:
«A Trittolemo, uno dei primi discepoli dell’Eleusinità, fu affidato secondo la tradizione da Demetra un carro volante e del grano da seminare, spargendolo dall’alto. Si trattò di un gesto, questo della Dea, teso a far comprendere all’umana gente la similitudine esistente tra il grano (il cui seme si semina e, crescendo, se ne raccoglie la spiga. Da questa si produce un nuovo seme, che sarà riseminato. E così all’infinito, il ciclo del seminare e del raccogliere per riseminare) e l’umana stirpe, che dal seme nasce, viene dagli Dei raccolta (cioè muore) e dal nuovo seme rinasce per essere nuovamente raccolta… Cioè, in poche parole, questo sta ad indicare il ciclo continuo delle reincarnazioni»[14].
Forse resisi conto anch’essi dell’oggettiva infondatezza della loro connessione Kykeon – orzo – segale cornuta, in un passo del volume i nostri autori spostano la loro attenzione non più sull’orzo, ma su di un’erba selvatica, la Paspali Disticum, per il semplice fatto che anch’essa può essere attaccata dalle escrescenze parassitarie della “segale cornuta”, e arrivando a ipotizzare che i sacerdoti di Eleusi ne accumulassero in quantità per aggiungerla al Kykeon!
La pubblicazione del saggio in questione, e soprattutto la capillare diffusione di cui esso è stato oggetto a livello mondiale anche per via della sua traduzione in molte lingue, è stata una delle motivazioni che hanno spinto gli Eleusini a uscire dal loro secolare isolamento e a mettere gradualmente a disposizione degli studiosi il loro patrimonio sapientale.
L’uso e gli effetti di sostanze psicotrope o psichedeliche di origine vegetale è antico quanto il mondo e sicuramente anche ad Eleusi i Mystagoghi e gli Hyerofanti ne erano a conoscenza. Tanto che esso fu rigorosamente bandito!
A Gordon-Wasson, Hofmann e Ruck sfuggiva evidentemente del tutto che il fatto – peraltro risaputo nell’antichità – che per un Iniziato eleusino non è mai stata lecita l’assunzione di qualsivoglia sostanza tesa a deformare o alterare il proprio stato di coscienza o a determinare un estraneamento dalla realtà. L’Iniziazione stessa e anni di intensi esercizi e pratiche spirituali insegnavano del resto agli antichi eleusini, soprattutto a coloro che avevano conseguito l’Epopteia divenendo così Contemplari, a dominare il proprio pensiero e a raggiungere elevati stati di coscienza, fino allo stesso stato dell’Estasi, esclusivamente con le proprie forze e senza la necessità di alcun supporto di natura psicotropa.
La Tradizione Misterica Eleusina insegna che per comprendere i segreti della natura umana e di quella divina (segreti che, una volta svelati, tramite l’apprendimento e l’Iniziazione, non sono più tali. L’Eleusinità, infatti, come abbiamo visto, non ha dogmi) la mente dell’uomo deve essere assolutamente limpida e pura e costantemente sotto controllo. Tanto che, negli ambiti delle scuole sacerdotali, veniva tassativamente proibito anche l’uso del vino!
L’uso di qualsiasi droga o, comunque, di qualsiasi sostanza capace di alterare le normali percezioni della mente, è sempre stata rigorosamente vietata per un eleusino e lo è ancora oggi. Chi fa uso e consumo di droghe, chi si dedica all’alcol, perfino chi assume psicofarmaci, non può essere un eleusino. Per cui non ci si meravigli della nostra indignazione nei confronti di un libercolo quale quello di Gordon-Wasson, Hofmann e Ruck.
Proviamo a domandarci cosa sarebbe accaduto se fosse stato dato alle stampe un saggio teso a dimostrare che l’intera esperienza religiosa ebraico-cristiana poggia le sue basi su di un’esperienza allucinatoria, sulla mera assunzione di funghi allucinogeni o di altre sostanze psicotrope che avrebbero fatto credere a Mosé di aver udito la voce di Jahvé nel deserto e che avrebbero fatto credere agli Ebrei di aver visto addirittura aprirsi il mare per farli passare, oppure che i miracoli del Cristo fossero stati soltanto frutto di allucinazioni collettive causate dalla droga. Passi la libertà di stampa e di espressione, ma riteniamo che qualcuno, dalle parti di Roma, si sarebbe un po’ offeso…
Non è forse peccare troppo di presunzione, da parte del sottoscritto, il pensare che queste mie osservazioni sarebbero piaciute a Reghini, il quale ne aveva del resto, come abbiamo visto, formulate di assai simili nei suoi scritti, dimostrando di aver perfettamente compreso quanto le moderne travisazioni della realtà dei Misteri appoggino «sulla ottusità spirituale e la grossolana mentalità apportate in Occidente col Cristianesimo e sulla conseguente tendenza a vedere una commedia o una illusione in ogni (antica e pre-cristiana, n.d.A.) manifestazione di carattere spirituale»[15].
Che Arturo Reghini avesse decisamente ben compreso il senso e la portata degli antichi Misteri, il loro messaggio, oltre che il loro intrinseco legame con la Filosofia e la realtà della loro perpetuazione attraverso il Medio Evo e il Rinascimento, lo attestano numerose sue opere, ma soprattutto il suo costante insistere in esse sulla correlazione fra morte e Iniziazione, e sul fatto che il Filosofo, come l’iniziando a Eleusi, “intende a morire”, e intende a farlo, come ricordava Marco Tullio Cicerone, grande Iniziato Eleusino del passato, «cum laetitia vivendi rationem accepimus, sed etiam cum spe meliore moriendi»[16].
NOTE
[1] Arturo Reghini: Le parole sacre di passo dei primi tre Gradi e il Massimo Mistero Massonico. Ed. Atanòr, Roma 1922.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Vittorio Macchioro: Orfismo e Paolinismo: studi e polemiche. Ed. Cultura Moderna, Montevarchi 1922.
[7] Erodoto: Storie, II°, 170.
[8] Walter Burkert: Antichi culti misterici. Ed. Laterza, Bari 1991.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Robert Gordon Wasson, Albert Hofmann e Carl Ruck: Alla scoperta dei Misteri Eleusini. Ed. Apogeo, Adria 1996.
[12] Arturo Reghini: Le parole sacre di passo dei primi tre Gradi e il Massimo Mistero Massonico. Cit.
[13] Robert Gordon Wasson, Albert Hofmann e Carl Ruck: Alla scoperta dei Misteri Eleusini. Cit.
[14] Cfr. Nicola Bizzi: Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta. Cit.
[15] Arturo Reghini: Le parole sacre di passo dei primi tre Gradi e il Massimo Mistero Massonico. Cit.
[16] Cicerone: De Lege, I°, 14.
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