“Il nostro intento principale era ‘tirar fuori’ la letteratura dell’Immaginario dal ghetto in cui era stata confinata dalla critica generalista e mainstream […] ma anche da quella specializzata che, quasi autocompiacendosi di questo ghetto, era diventata del tutto autoreferenziale” (11-12). Correvano i problematici anni ’70, quando fece la sua comparsa in libreria una collana di volumi di fantascienza che per la prima volta offriva al pubblico di appassionati un prodotto nuovo: traduzioni accurate – ben diverse da quelle approssimative della comunque benemerita Urania – introduzioni approfondite e un apparato critico corposo. La collana si chiamava Futuro e i curatori erano Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco. A quasi cinquant’anni di distanza, l’antologia qui presentata, a cura di Luca Gallesi, propone il meglio di quelle edizioni.
Da tempo la fantascienza, da argomento di nicchia riservato a pochi appassionati, è diventata la principale fonte di ispirazione per la letteratura, il cinema, le serie TV e i videogiochi. Se ne scrive tanto oggi, ma raramente con competenza. Il sodalizio de Turris e Fusco ha permesso che anche in Italia questo genere fosse apprezzato in modo colto. Questo testo è il giusto tributo a due autorità nel settore, i cui scritti hanno indirizzato generazioni di appassionati, spiegandogli come il fantastico non sia certo quel “luogo” nel quale si rifugiano dei giovani un po’ frustrati. Al contrario, si tratta di vera cultura: il fantasy incanta e permette di sviluppare l’immaginazione; l’horror di indagare i lati più oscuri dell’animo umano e, infine, la fantascienza di interrogarsi sul senso stesso della società, come dimostrano chiaramente i saggi inclusi in questo libro.
De Turris e Fusco collaborano insieme da oltre mezzo secolo (il loro primo articolo risale al 1962). Hanno diretto per quasi dieci anni (1972 – 1981) le collane di Sci-Fi dell’editore romano Fanucci. Purtroppo, la politica sì, sempre lei, quell’inguaribile male italiano tanto stigmatizzato da Goffredo Parise, gli ha impedito di continuare nella loro opera. Troppo scomodi quei riferimenti antimoderni; incomprensibili poi i collegamenti con l’esoterismo per quei sapientoni sinistri che vivono esclusivamente nella cultura del tangibile. Fortuna vuole che i due studiosi in questione abbiano la testa dura, e non si sono fatti scoraggiare, continuando a divulgare la loro notevolissima conoscenza del fantastico. Umberto Eco considerava gli amanti di J. R. R. Tolkien come dei poverini che si entusiasmavano per le storie di elfi e maghetti. Ora che, pace all’anima sua, egli è dipartito, di lui se ne perderà traccia assai presto, mentre dell’opus del professore oxoniense non si smetterà mai di parlare.
Il titolo del testo è un palese omaggio a Carlo Fruttero e Sergio Solmi, i quali curarono nel 1959 per Einaudi Le meraviglie del possibile: la celeberrima antologia composta di 29 racconti che fece conoscere al grande pubblico del nostro Paese la fantascienza. Malgrado de Turris e Fusco si siano da subito inseriti in questo nobile solco, sono stati nondimeno tempestati di polemiche, cominciate 44 anni fa, e che non sono ancora del tutto esaurite, non certo per via della qualità del loro lavoro, bensì per la appartenenza a un pensiero poco gradito alla intellighenzia nostrana, notoriamente liberticida.
I due critici ebbero il grande torto di introdurre un innovativo, per l’epoca, metodo di analisi “simbolico tradizionale”, così da: “[…] dare uno spessore all’Immaginario in modo tale da porlo in una condizione privilegiata, andando alla ricerca dei suoi ‘magnanimi lombi’” (12). Il “mito”, però, era sinonimo di “fascismo”; la storia, le radici devono essere estirpate, tale è da sempre il credo del Pensiero Unico. Tutto probabilmente cominciò a degenerare con la loro introduzione dal titolo: La fantascienza e la crisi del mondo d’oggi (49-55, Futuro n° 5, 1974), dove i due citarono nomi come: Eliade, Evola, Guénon e Spengler, ponendo in essere un dubbio sulla infallibilità del progresso, una mentalità, quest’ultima, che si abbeverava ai precetti di György Lukács, ancora oggi avallati da tanti obsoleti epigoni. Tecnologia e ateismo, così si potrebbe, in buona sostanza, sintetizzare la visione della FS della sinistra e disgraziatamente non solo in Italia.
Il fatto non certo curioso, ma riprovevole è che de Turris e Fusco non hanno mai avuto una tessera di partito, né militato, diventando organici alla politica. Cosa che non si può assolutamente dire di tanti Ordinari nelle nostre università, i quali dei partiti li hanno persino fondati! Ma si sa, i comunisti sono una razza superiore, un “popolo” eletto; non è un caso, forse, che tanti finissimi intellettuali ebrei (il sopracitato Lukács) si siano avvicinati a questa ideologia: sentirsi inequivocabilmente depositari della verità, senza degnarsi nemmeno di documentarsi sul pensiero altrui. de Turris e Fusco si sono “permessi” in varie occasioni di stigmatizzare quel “tramonto della coscienza occidentale” (50) che la dottrina marxista non poteva non soltanto accettare, ma principalmente comprendere. Da questa ignoranza si generò una autentica ossessione per quella nobile parola tolkieniana, il “mito”, per l’appunto. Ecco, perciò, che la coppia di critici venne presa di mira da chi imponeva cosa credere e dire. Seguirono derisioni, insulti e, persino, delle minacce. Il tutto perché i due proponevano una lettura del fantastico avversa allo sradicamento identitario e con, talvolta, una sfiducia verso il progresso fine a se stesso. Tra i saggi che potremmo citare, ce ne è uno davvero indimenticabile: Note sul simbolismo della spada (29-47, Futuro n°22, 1976), che comparve come introduzione a quel capolavoro che è La spada spezzata (“The Broken Sword”, 1954) di Poul Anderson. Il saccente intellettuale di sinistra che la lesse all’epoca si innervosì presumibilmente, ritenendo che gli autori stessero propagandando un pericoloso pensiero reazionario. La verità era però un’altra. Ovvero, che questi boriosi scettici non ci avevano capito nulla, essendo intrisi di letture despiritualizzate e senza un collegamento vivo col passato, con quella parola da loro odiata: Tradizione.
Già nel lontano 1972, de Turris e Fusco si resero conto delle magagne della nostra società, auspicando l’avvento di capi: “[…] che credono nella forza del mito” (21). Speranza rimasta tale. Anzi, stiamo letteralmente precipitando in un barato fatto di pura idiozia, dove la gente non vota nemmeno più e vive in simbiosi col proprio cellulare e legge, quando va bene, un libro all’anno sotto l’ombrellone al mare. Ciononostante, “Il più libero e anticonformista dei generi letterari” (23) possiede un cuore che continua a pulsare e di estimatori ne ha ancora molti.
Che altro dire? La “battaglia” per la divulgazione del fantastico di de Turris e Fusco ha permesso a tantissimi lettori di guardare alla modernità attraverso una sofisticata lente non convenzionale, senza abbandonarsi al mero nozionismo, né tantomeno a una specializzazione settoriale esclusiva verso il pubblico. Ferma è restata la loro volontà di far appassionare il maggior numero di persone possibile. Proprio nella Sci-Fi sono meglio riusciti in questo lodevole proposito, spiegando come essa sia capace di elaborare a livello narrativo popolare praticamente qualsiasi tematica; pensiamo, ad esempio, al sesso e, talvolta addirittura, porno che caratterizzano le opere di Philip José Farmer. Non per niente, da anni scriviamo che la fantascienza andrebbe considerata un “genere contenitore”.
Il grandissimo, quanto oggi colpevolmente obliato, regista Alessandro Blasetti – uno dei padri del Neorealismo – disse che: “La fantascienza è una grossa realtà”. Le meraviglie del possibile sono questo, la scoperta che non si tratta di escapismo o immaturità. Viceversa, sfogliando gli scritti di de Turris e Fusco si va oltre il genere, utilizzandolo per vedere altro, leggendo tra le righe di quei romanzi che taluni giudicarono troppo frettolosamente di puro intrattenimento. Va da sé, che insinuare un sano dubbio intellettuale sullo stato delle cose, ad alcuni non abbia fatto piacere. Ma ripetiamo, costoro leggono, ma non comprendono. La semplice, ma totalmente esaustiva frase di Joseph Campbell: “La tecnologia non ci salverà”, non la riescono ad afferrare.
Riccardo Rosati
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