di Michele Rallo
Io non amo le primarie. Le considero un penoso scimmiottamento delle abitudini elettorali americane, che in Italia servono soltanto a ricoprire con un pietoso velo lo spaventoso vuoto d’idee dei partiti di casa nostra. In un partito che si rispetti — ricordava Nino Marino qualche settimana fa — il candidato alla guida del Governo viene scelto dagli iscritti, dalle sezioni, dai quadri dirigenti, non certo da chiunque si trovi a passare davanti a un banchetto da fiera: un “chiunque” spesso del tutto estraneo alla vita del partito e talora, addirittura, elettore di un partito rivale. E passi per la scelta del candidato premier… Ma al PD sono arrivati al punto di scegliere con le primarie addirittura il loro Segretario Nazionale. Ci rendiamo conto di quale vetta di ridicolo sia stata raggiunta? Far eleggere il capo di un partito politico dall’uomo della strada, se non addirittura — come forse sta avvenendo in questi giorni — dagli avversari.
In realtà, le primarie sono una specie di concorso di Miss Italia della politica: servono a scegliere — come con le telefonate del pubblico — il più grazioso, il più accattivante, il più bamboleggiante dei candidati. E se questo candidato avesse soltanto una parlantina convincente e nessuna proposta di peso, poi, la cosa non avrebbe soverchia importanza.
Prendete Renzi, per esempio. Non c’è dubbio che riesca simpatico, che quando appare in tv “buchi il video”; come, a suo tempo, Gianfranco Fini. Rispetto a Fini, però, il Sindaco di Firenze ha una marcia in più: la promessa di un cambiamento radicale, di una “rottamazione” della vecchia politica. E alla gente piace l’idea di poter voltare pagina, di mettere punto e andare a capo. Nessuno, tuttavia, sembra essersi posto il problema di comprendere in che modo il buon Matteo pensi di sfasciare tutto e, soprattutto, di costruire poi qualcosa di meglio rispetto al passato.
Io so cosa vuol fare Renzi: ha un piano di privatizzazioni e dismissioni che farebbe invidia a Mario Monti (vedi articolo su “Panorama” di questa settimana: «Quanto ci costerebbe Matteo»). Ma non voglio farmi condizionare dalle mie idee (sono un inguaribile statalista), ed ho perciò ripiegato sulle dichiarazioni “elettorali” del rottamatore fiorentino che campeggiano sui quotidiani di oggi (domenica 1° dicembre). Sulla prima pagina di “Repubblica”, per esempio, fa bella mostra di sè un titolone su 5 colonne: «Renzi, ultimatum a Letta». C’è di che far tremare le vene ai polsi, mi son detto, e sono andato a leggere il sommarietto: «Un patto con Letta per arrivare al 2015. Con tre punti qualificanti: riforme, lavoro ed Europa.» Avete capito il grande innovatore? Ha un programma perfettamente sovrapponibile a quello di Enrico Letta: riforme, lavoro ed Europa. A questo punto, ci spieghi perché sta facendo tutto questo casino: per prendere il posto di Epifani (che vuole riforme, lavoro ed Europa) come trampolino di lancio per soffiare la sedia a Letta (che vuole riforme, lavoro ed Europa).
Il mio personale parere? Riforme: non ne frega niente a nessuno, almeno in questo momento. Lavoro ed Europa: sono una contraddizione in termini; perché, fino a quando resteremo in Europa, non potrà esserci aumento dei posti di lavoro. L’Unione Europea vuole che licenziamo pure le scope. Ma Renzi non l’ha capito. Esattamente come Epifani, esattamente come Letta. E allora, a che serve cambiare cavallo, se la carrozza rimane sempre la stessa?