di Michele Rallo
Lo scrivevo il 25 gennaio: «tutti vogliono ridurre le tasse, ma nessuno sa come fare.» Mi riferivo alla campagna elettorale — allora in pieno svolgimento — ma la musica non è cambiata oggi, al varo del nuovo governo. Nel suo discorso inaugurale il Presidente del Consiglio ha elencato puntigliosamente tutti gli obiettivi che vorrebbe centrare: bloccare il previsto aumento dell’IVA, abolire l’IMU, dare una pensione agli esodati, rafforzare gli ammortizzatori sociali, umanizzare l’imposizione fiscale, e così via sognando. Anche lui, però, si è guardato bene dal dire dove troverà i soldini per fare tutte queste belle cose. I critici, impietosamente, hanno quantificato da un minimo di 15 a un massimo di 30 miliardi di euro i fondi necessari a tradurre in realtà le fantasie di Letta junior; fondi che, allo stato, non ci sono.
Eppure — mi permetto di eccepire — si potrebbero trovare. Ecco una sintetica — per forza di cose — elencazione di costi che sarebbe utile abbattere o azzerare per “fare cassa”:
– In primissimo luogo, i costi dell’Europa. Se non si vuole uscire — come io auspico — dall’Unione Europea, basterebbe revocare la nostra adesione al Meccanismo Europeo di Stabilità per recuperare di botto 25 miliardi di euro all’anno. Non risolveremmo tutti i nostri problemi, ma la cifra sarebbe almeno sufficiente a realizzare le promesse del giovane virgulto di casa Letta. Ma i costi dell’Europa non si possono toccare per non dispiacere i mercati.
– Costi della guerra: soltanto l’acquisto dei sofisticatissimi cacciabombardieri americani F-35 ci costerà 15 miliardi di euro, più o meno quanto l’ultima finanziaria. Poi ci sono le spese per le “missioni di pace”, pari a 1,2 miliardi di euro all’anno, cui sono da aggiungere i contributi che versiamo all’ONU per missioni di pace alle quali non partecipiamo direttamente. Ma i costi della guerra non si possono toccare per non dispiacere gli americani.
– Costi dell’immigrazione: da fantascienza. Non mi avventuro ad elencare tutti i costi sostenuti dall’erario, da quelli per andare a prelevare i clandestini nel canale di Sicilia a quelli per fornire a circa 6 milioni di stranieri assistenza sanitaria, posizione previdenziale e tutto il resto. Cito una cifra soltanto, quella relativa alla prima accoglienza dei “rifugiati politici” o presunti tali (55.000 nel 2010, non so quanti oggi): fra spese dirette e indirette, ogni rifugiato costa allo Stato 29.200 euro all’anno; in totale — sempre nel 2010— 1,6 miliardi di euro, secondo i dati della benevola Fondazione Moressa. Ma i costi dell’immigrazione non si possono toccare per non dispiacere il Vaticano.
– Costi del decentramento: inimmaginabili. Invece di gettare fumo negli occhi con il dibattito sullo scioglimento delle Province, sarebbe assai più utile e producente sciogliere le Regioni a statuto ordinario; con esclusione dunque della Sicilia e delle altre a statuto speciale. Il loro funzionamento ci costa ogni anno 4 miliardi di euro, escluse le spese per la sanità; a questa cifra vanno aggiunti altri 3 miliardi per le spese di personale: e fanno 7. E non parlo di quelle autentiche voragini che sono la sanità — appunto — e il ritiro e smaltimento dei rifiuti, la cui gestione andrebbe tolta agli Enti Locali ed accentrata nei competenti Ministeri. Ma i costi del decentramento non si possono toccare per non dispiacere le seconde file dei partiti, quelle formate da chi non può andare a Roma e deve accontentarsi di una sistemazione in periferia.
Questa pur parziale elencazione non è un semplice esercizio retorico. I soldi — anche in questo disgraziatissimo momento — ci sono. Bisogna soltanto avere il coraggio di andare a cercarli nei posti giusti.
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