Quello del cigno è un simbolo che compare nelle più svariate tradizioni religiose, ma anche nel folclore e nella fiaba di diversi popoli distanti fra loro nel tempo e nello spazio. Questo Simbolo è uno di quelli che fungono da legame indissolubile fra le più disparate popolazioni a riprova che vi sia un fondo comune, un sub-strato dal quale tutto si diparte, e il cigno, come l’oca, e i significati che questi hanno assunto nel tempo, sono un vero e proprio codice per decrittare ciò che si cela dietro ai racconti e dietro ai miti. Siamo pronti ad affermare che i Miti degli antichi, come le fiabe e il folklore, non rappresentino semplicemente un retaggio delle ataviche paure dell’uomo antico ve
Di conseguenza occorre rintracciare, nei corpus mitologici dei popoli, al di là delle evidenti e inevitabili alterità che di volta in volta le lingue, i popoli e i costumi ci hanno offerto, ciò che di invariante si trova perché proprio questo invariante è la porta verso qualche cosa di assoluto e intramontabile, e osiamo dire che questo invariante mitologico, nel qual nocciolo siede un Atto Metafisico originario, è a tutta ragione un invariante metafisico e non terreno. Il cigno è uno di questi invarianti, di questi invarianti metafisici. Esso ripercorre le saghe e le fiabe dai Miti Indiani alla Grecia antica, dalla Siberia all’Asia Minore, agli antichi Egiziani, come anche attraverso i popoli slavi e le tradizioni germaniche. Esso è sempre associato alla luce e alla purezza se non quando, per un rovescio simbolico, esso non compare sotto forma di cigno nero. Per i Buriati siberiani il cigno indica la verginità e la purezza della donna. Per i popoli altaici, anch’essi siberiani, il cigno è la verginità celeste, anche se occorre dire che spesso nei racconti il cigno muta, o si sostituisce, all’oca selvatica. Il Mito greco forse ci ha offerto una delle immagini più belle e diafane di questo animale. Celebre è infatti il Mito di Leda nel quale Zeus, innamorato di Leda, si trasforma in un cigno per accoppiarsi con lei ma solo dopo che la fanciulla si è trasformata in oca per sfuggirgli. Leda, dall’unione con Zeus, genera un uovo dal quale nascono i Dioscuri.
Da questi brevi esempi dei miti si può già dire che l’oca qui assume una metamorfosi del cigno nella sua accezione lunare e femminile, laddove il cigno è la luce maschile e solare. Si tratta quindi di una dualità metafisica che viene ricongiunta e unita nell’uovo cosmico. Il cigno pertanto depone l’uovo del mondo, basti ricordare l’oca del Nilo dell’antico Egitto che secondo il Mito generò l’uovo dal quale tutto ebbe inizio. Geb, o Seb, è il Dio egizio della terra e il suo emblema è un’oca, simbolo della fertilità. Ma anche una delle immagini del Dio Amon era un oca, chiamata Gengenuer essa era l’oca primordiale partecipe della creazione del mondo. Amon è equiparabile come ruolo nel Pantheon egizio al Dio Zeus e spesso, nelle rappresentazioni dell’antico Egitto, l’Anima del Faraone, identificato con il Sole, è raffigurata con un oca, considerata, come in Cina, messaggero fra il Cielo e la terra.
L’oca selvatica, peraltro, è l’animale ritrovato alle altitudini più elevate perché per le sue migrazioni deve sorvolare la catena Himalayana. L’oca indiana infatti è ritenuta l’uccello che vola più in alto fra tutti i volatili. Essa migra oltre l’Himalaya per trascorrere l’inverno in India, Assam, Birmania settentrionale e negli acquitrini del Pakistan e per farlo deve superare in volo le alte vette dell’Himalaya, cioè oltre gli 8.800 metri. Un uccello quindi che, sia nel simbolo che nei fatti, mette in comunicazione il cielo e la terra. Nell’antica Roma vi erano le oche sacre alla Dea Giunone e si riteneva che avessero il dono del presentimento e la capacità di avvertire dei pericoli. Ma i parallelismi non finiscono qui. Nel Mito greco il cigno è compagno del Dio Apollo, Febo, il luminoso, e, com’è noto, le sue migrazioni a Nord lo pongono in strettissima relazione con i leggendari Iperborei. Ecateo di Abdera (IV-II secolo a.C.) nella sua opera Sugli Iperborei riferisce che i tre figli di Borea rendono culto ad Apollo accompagnati dal canto di una schiera di cigni e in occasione della grande festa di Apollo arrivavano dalle montagne asiatiche stormi di cigni che volavano in circolo intorno al suo Tempio. Anche lo storico Diodoro (90-30 a.C.) ci dice che Apollo viaggiava su di un carro trainato da cigni, Kyknos, termine greco che indica il cigno, era figlio di Apollo e Thyria.
Nella mitologia germanica il cigno è l’animale nel quale si trasformano le Walkyrie. Il segno runico algiz è detto “orma del cigno” o segno delle Walkyrie (in antico germanico alkaz = “cigno”). Nella mitologia indù è presente il cigno di Brahma ed è chiamato Ham-sa che in sanscrito vuol dire appunto cigno. Il cigno serve a Brahma come cavalcatura e spesso nell’iconografia il cigno si avvicina all’oca selvatica, tant’è che è accertata la parentela etimologica fra hamsa e il latino anser che significa oca selvatica. Secondo le dottrine segrete del tantrismo del Kasimir del IX Sec. il mantra supremo da ripetere per 21.600 volte al giorno ( tante volte quanti sono i respiri che facciamo nell’arco di 24 ore ) è proprio l’Ham-Sa che assurge qui, per il mistico orientale, a occulta unione fra Siva e la sua Sposa Parvati, ovvero sia fra il Principio Maschile e quello Femminile. L’ascensione del Prana, Ham, Siva, si unisce con il respiro discendente dall’Apana, Sa, corrispondente alla Shakti. Secondo la Dottrina dei Tantra questo mantra porta alla Conoscenza Suprema nel momento dell’unione, fra un respiro e l’altro, di Siva con Shakti:
“Sono io stesso il supremo Hamsa, Siva, la causa ultima”
(Svacchanda Tantra – IV, 399)
È straordinariamente significativo che la sapienza orientale abbia associato al cigno il Simbolo della conoscenza ultima delle cose e del Dio Siva. Nei racconti dei Celti il cigno è la forma assunta dalla maggior parte degli esseri ultra terreni. Racconta Giulio Cesare nel suo celebre De Bello Gallico (5,12) che l’oca, presso i Bretoni, spesso equivalente al cigno, era oggetto di tabù alimentare, ovvero non poteva essere uccisa né mangiata. Su molte opere di arte celtica due cigni appaiono al lato di una barca solare che guidano e accompagnano nel suo viaggio. Una immagine e una simbologia che si sono conservate, pur con delle sfumature, fino ai cicli bretoni dei primi secoli dopo l’anno mille. Basti ricordare Lohengrin, il famoso eroe della tavola rotonda, chiamato il Cavaliere del Cigno. Lohengrin era il figlio di Parsifal e fa la sua prima apparizione nella letteratura nel Parzival di Wolfram von Eschenbach; in quest’opera egli si mette alla ricerca del Santo Graal, guidato proprio da un cigno. Per gli alchimisti il cigno è simbolo del mercurio, che unisce a sé gli opposti e conduce alla Grande Opera. Basilio Valentino nella sua opera alchemica Le dodici chiavi della filosofia, vede nel cigno un centro mistico che unisce gli opposti, un androgino come il mercurio. Il noto alchimista Fulcanelli invece si è espresso circa il gioco dell’oca, considerandolo una metafora della Grande Opera degli alchimisti. La natura doppia e femminile dell’oca e del Mercurio è sempre la Mitologia Greca ad evidenziarla quando in diverse immagini artistiche compare cavalcata dalla Dea dell’Amore Afrodite. Abbiamo visto in questo breve excursus una panoramica sicuramente non completa ma sufficientemente stimolante per una riflessione su quanto di universale si nasconda in ciò che spesso viene associato a parametri più transitori come i costumi e le usanze; queste ultime, indubbiamente soggette ai mutamenti storici in base alle epoche e ai cambiamenti sociali e culturali, nascondo a monte un sub-strato più tenace e resistente al mutamento.
Se vogliamo andare ancora più a fondo, possiamo dire che le simbologie del cigno e dell’oca, che qui abbiamo preso in considerazione, sono esse stesse un disegno la quale matrice è ancora oltre, assisa in una dimensione dove non v’è né immagine né parola, questa dimensione, che altrimenti non può giungere a noi se non per allegoria e simboli, è quella che traluce una verità eterna e inalienabile: che l’universo si dipana attraverso un equilibrio primigenio, e sempre rinnovato nuovamente, della luce maschile e del riflesso femminile che, unitisi in danzante suono, inverato di rutilate armonie, ci offre la meraviglia e il mistero di tutto quello che ci circonda.
Nota Bibliografica:
– Jean Chevalier e Alain Gheerbrant; Dizionario dei Simboli. Rizzoli Editore 1986
– Vijñānabhairava Tantra, Adelphi editore 1989
Emanuele Franz
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