Documenti inediti testimoniano un periodo rimosso della nostra memoria collettiva
L’occupazione angloamericana della città di Nettunia, iniziata con il famoso sbarco il 22 Gennaio 1944 e protrattasi per lunghi mesi, è sempre stata presentata secondo i canoni del politicamente corretto, sorvolando sugli aspetti scabrosi che tutte le occupazioni militari in tempo di guerra inevitabilmente hanno. Quasi d’obbligo è l’utilizzo del termine politico di “liberazione”, vietati quelli storici e militari di “occupazione” ed “invasione” che, invece, gli Alleati usavano sovente (cfr. l’AMGOT, l’Allied Military Government of Occupied Territories).
Questa narrazione politicizzata dei fatti, sulla quale abbiamo già ampiamente discusso (cfr. P. Cappellari, Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma, Herald Editore, Roma 2010), si basa oltretutto su fonti esclusivamente orali, confondendo la Storia con “le storie”. Tutto molto bello e molto “romantico” forse, ma alquanto problematico per una narrazione scientifica degli eventi. Sì, scientifica. Perché la storia non è il “ricordo dei nostri nonni” ma, prima di tutto, è una scienza.
Tutto ciò ha avuto una ricaduta sulla “narrazione istituzionale” che ad ogni anniversario si è costretti a sentire. Forzature, interpretazioni di comodo, sudditanza politica e morale, la fanno da padrone. La Storia, i rapporti tra le Nazioni, la geopolitica, gli stessi eserciti e la realtà dei fatti passano in secondo piano, sostituiti da una narrazione bonaria, semplicistica, vittimistica. Per la prima volta, il passato non è indagato con l’utilizzo dei documenti e l’analisi dei fatti, ma secondo i ricordi rielaborati e politicizzati quaranta, cinquanta e più anni dopo gli eventi, di chi c’era, di chi ha visto, anche se non sapeva né leggere né scrivere e non sapeva distinguere un soldato germanico da uno statunitense…
Si è iniziato così a mitizzare eventi mai avvenuti o ricostruiti fantasiosamente (cfr. P. Cappellari, Nettunia, 9-11 Settembre 1943, 2020) per arrivare a proclamare “eroi” semplici facchini tuttofare stipendiati dagli eserciti angloamericani, costretti dalla fame a quella scelta, dimenticando tutti coloro che, invece, sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale, avevano combattuto quello che era il nemico della Nazione italiana (e lo sarà fino al 1947, quando venne firmato il Trattato di Pace!).
Non stupirà quindi il fatto che per anni, a livello pubblico, mai si è accennato alle violenze dell’esercito di occupazione angloamericano, mentre si sono amplificate quelle della Wermacht (Settembre 1943 – Gennaio 1944). Come sempre si è dimenticato quello che lasciò l’occupazione degli eserciti statunitensi e britannici in termini di distruzioni, saccheggi, povertà, immoralità.
La finalità politica di questa metodologia è nota e non vogliamo tornarci su.
Essendo dei ricercatori e come tali più propensi a sondare territori inesplorati, abbiamo scelto di fare una riflessione sugli eventi più clamorosi dell’occupazione angloamericana della città di Nettunia, proponendo al lettore fatti documentati, da sempre tenuti nascosti e cancellati dalla stessa memoria collettiva delle comunità locali.
Una delle prime fonti che raccoglie questi eventi, tra i documenti che abbiamo potuto consultare, è la tesi di laurea di Fiorenza Castaldi, La partecipazione americana allo sbarco e alla battaglia di Anzio nella diaristica e nella pubblicistica (Corso di laurea in Letteratura e Lingue straniere, Università degli Studi “La Sapienza”, anno accademico 1987-1988).
Esordisce la Castaldi: “Anche se esistevano dei buoni rapporti tra gli Americani ed i civili, Adleman e Walton dichiarano nel loro volume che i primi non sempre comprendevano la situazione che stavano vivendo gli Italiani: essi vedevano le donne prostituirsi con la complicità dei familiari ed i ragazzini rubare, di conseguenza, soprattutto i soldati giovani, si erano fatti un’idea negativa del nostro popolo e, nonostante spartissero le loro razioni con i giovani ed i vecchi, consideravano l’Italiano un essere inferiore” (pagg. 75-76).
Fin qui nulla di nuovo per chi conosce la storia. Senza scomodare il fondamentale romanzo di Curzio Malaparte La pelle o l’incredibile, quanto dimenticata, testimonianza di Norman Lewis in Napoli ’44 – ai quali rimandiamo il lettore –, anche noi abbiamo documentato il razzismo che contraddistingueva la cultura del soldato statunitense medio, razzismo non solo contro i connazionali di origine africana, ma anche contro gli Italiani, sia quelli da “liberare” (da cosa?), sia quelli intruppati nell’U.S. Army. Un razzismo, sia detto per inciso, più profondo di quello dei fascisti (cfr. P. Cappellari, Lo sbarco di Nettunia, pagg. 303-305).
Più interessante, per quanto riguarda la nostra analisi, quanto la stessa Castaldi scrive sul territorio di Nettunia:
“Naturalmente neanche ad Anzio erano mancati episodi di prostituzione.
Adleman e Walton, nel loro volume dedicato al I Special Service Force, riferiscono che alcuni soldati appartenenti a questa singolare unità, essendo in contatto con alcune famiglie che vivevano nelle case coloniche, nelle quali vi erano ‘giovani madri e ragazze maggiorenni’, avevano addirittura istituito un ‘Ambulatorio Profilattico’.
Non erano neanche mancati episodi di prostituzione organizzata.
Secondo le testimonianze orali, però, ad Anzio non si erano diffusi gli stessi costumi che vigevano a Napoli […].
Secondo le testimonianze orali si verificavano, invece, molti episodi di violenza, inflitti alle donne da soldati americani di colore. Secondo quelle stesse testimonianze molte volte questi tentativi di violenza erano sventati da altri Americani.
La signora Vittoria Ciarla racconta che un mulatto, che aveva minacciato suo padre con un coltello, perché cercava di proteggere le figlie, era stato picchiato duramente dai suoi compatrioti americani e poi spedito in prima linea.
Le Autorità, evidentemente, reputavano importante l’opinione che la popolazione si era fatta di loro e volevano evitare che venisse distrutta l’immagine così tanto propagandata del soldato americano ‘valoroso e nobile’.
Tra la popolazione del luogo era noto che la maggior parte delle violenze sessuali era da attribuirsi, oltre che ai soldati americani di colore, ai Marocchini, che facevano parte delle forze francesi” (La partecipazione americana allo sbarco, cit., pagg. 76-78).
È la prima volta, sembra, che si parla di violenze sessuali contro le Italiane compiute dai soldati angloamericani che occupavano Nettunia.
Ovviamente, una tesi di laurea rimane tale e non esce dalle università, per cui – a livello locale – nessuno poté meditare su ciò che era stato denunciato e scalfire nell’immaginario collettivo, il “bel ragazzone del Montana” che, un giorno, sbarcò sulle coste di Anzio e Nettuno (che nemmeno esistevano all’epoca), distribuendo ai poveri e disperati Italiani felicità, caramelle e cioccolato. E per questo dovremmo ringraziare lui e tutti i suoi discendenti fino alla fine dei tempi, nei secoli nei secoli, cominciando a rinunciare alla nostra sovranità nazionale e garantendo agli USA decine e decine di basi militari sul nostro territorio, oltre che l’impunità per ogni atto compiuto contro la legge… Ma questa, forse, è tutta un’altra storia.
Per arrivare ad una prima riflessione locale sullo sbarco di Nettunia, bisognerà attendere il 1989, con il volume di Francesco Rossi e Silvano Casaldi, Quei giorni a Nettuno – Those days a Nettuno (Edizioni Abete). Un tomo nel quale, con un ricco apparato iconografico, veniva fissata dalla penna del Rossi l’importante lavoro di ricerca di testimonianze e ricostruzione storica condotta da Casaldi, nel corso di intensi anni di interviste. Anche in questo caso, però, non si approfondirono le dinamiche dell’occupazione angloamericana, lasciando comunque una “traccia”, quando si parlò della tragica uccisione da parte delle truppe statunitensi del civile Bramante Pagliari (in realtà, Bramante Pagliaro) e del Brig. Giuseppe Pitruzzello (cfr. pagg. 104-109 e 119-122). Storie poi ampiamente ricostruite anche nel nostro I Legionari di Nettunia (Herald Editore, Roma 2009).
Ovviamente, la presenza di soldati stranieri sul territorio comportò tutta una serie di soprusi e violenze contro la popolazione civile, come sempre avviene in tutti i teatri di guerra. Anche gli eserciti della Gran Bretagna e degli USA non si sottrassero alle accuse. Di là del vero e proprio saccheggio subito dalla città durante i mesi di guerra guerreggiata, anche quando il fronte si allontanò si verificarono asportazioni in danno dei civili. Tipica la denuncia, risalente al 12 Giugno 1944, della completa spoliazione dal parte del locale “Comando alleato” di tutto il materiale e delle macchine della tipografia di Chiara Fiore a Nettunia Centro, sopravvissuta alle operazioni belliche ma non alla “ingordigia” degli occupanti a stelle e strisce. La donna, mamma di sei figli, pregava la “Commissione Reclami Americana” di Via Longobardi n. 21 in Roma, di restituire il maltolto, essendo la tipografia l’unica fonte di sostentamento della numerosa famiglia. Si ignora la risposta (cfr. archivio ANVM).
Ma quell’Estate del 1944 – la prima senza guerra in casa – fu un’Estate amara per molti, data la devastazione subita dall’abitato, la mancanza di acqua corrente e anche di presidi sanitari, che dipingevano una comunità in balia degli eventi e con un futuro ancor più triste data la prossima partenze delle truppe di occupazione che, bene o male, garantivano ancora i servizi minimi indispensabili. Altro che “libertà ritrovata”. Andatelo a chiedere a chi aveva fame…
Vengono in mente le parole di Federico Salvatore che, nel ricordare i “monumenti alla libertà” con cui si contrabbandano le occupazioni e le invasioni in tutte le epoche, canta: «Ma sulla base del marmo eretto / C’era una frase una scritta in dialetto: / “Quanno siente ca figlieto chiagne pecchè vò magnà / Mò ralle ‘nu piezzo ‘e ‘sta libertà”».
Scriveva il Cap. G. Cittadini Cesi, Ufficiale di collegamento con il Rome Allied Area Command dell’U.S. Army, in un rapporto sulle “tristi condizioni sanitarie” della popolazione della zona di Nettunia, datato 28 Agosto 1944:
“Questo dispensario si è preso cura di circa 10 civili al giorno per le ultime 5 settimane e si sono potute constatare le seguenti condizioni:
-
- Ci sono molte ferite con infezione ed altre malattie della pelle, specialmente tra i bambini;
- Molte donne con infezioni al petto, il che rende impossibile l’allattamento. Sembra che sia impossibile ottenere latte di mucca o di capra per sostituire il latte materno;
- Stati febbrili tra i fanciulli, giovani ed adulti che richiedono il ricovero in ospedali. L’ospedale più vicino è a Roma, ma la popolazione non ha mezzi di trasporto;
- Queste malattie potrebbero essere curate in casa se adeguati cibi fossero disponibili;
- Mancanza di sapone con il quale si potrebbe mantenere un minimo di pulizia almeno dei fanciulli ed adulti ammalati;
- Mancanza di un ufficio al quale la popolazione possa rivolgersi per aiuto;
- La popolazione di questa zona è crescente di giorno in giorno, e si dovrebbe provvedere ad alcune facilitazioni per le suddette condizioni, inquantoché il lavoro che può essere fatto in un pronto soccorso è limitato;
- Sembra esserci una definita carenza di viveri, sapone e medicine per la popolazione di questa zona” (archivio ANVM).
A tre mesi dalla fine della guerra, questo è il volto di Nettunia occupata.
La presenza di soldati stranieri, provocò, come abbiamo detto e come era inevitabile che fosse, anche ad alcuni episodi di criminalità, come quello denunciato dal S.Ten. Gastone Ciotola, Comandante della Tenenza di Velletri dei Carabinieri Reali, il 31 Agosto 1944:
“Ventisette corrente, ore 21 circa, agro di Nettunia (Roma), alcuni militari negri, non potuti identificare, in località ‘Lungomare’, aggredivano e percuotevano Gala Leopoldo di anni 36 e Soldati Mario di anni 34, entrambi residenti a Nettunia, asportando loro complessivamente la somma di L. 8.490 e L. 11.000 in effetti cambiari.
Stessi militari negri recavansi, poco dopo, magazzino alleato farina e schiaffeggiavano soldato Zizzi Francesco del V Battaglione Servizi di stanza a Nettunia, il quale vi era comandato in servizio di guardia. Soldato Pileri Paolo, dello stesso reparto, notato il fatto, sparava alcuni colpi di moschetto, senza conseguenze, contro militari negri, che dileguavano e rispondevano, da lontano, al fuoco del militare.
Durante sparatoria rimaneva ferito ginocchio destro civile Nicolucci Luigi di anni 23, che ivi transitava al momento dell’incidente.
Predetto veniva accompagnato ospedale alleato, ove veniva medicato Ufficiale di guardia.
Arma et Polizia alleata, intervenute in luogo, iniziavano rastrellamento paese, senza addivenire al rintraccio dei soldati negri” (archivio ANVM).
Insomma scene da Far West nella Nettunia “liberata” come mai si erano viste nella sua storia, con tanto di rastrellamento!
E non si pensi che fu un caso isolato. Scrivevano le Autorità italiane nell’Autunno seguente:
“L’8 Ottobre [1944], in Anzio [sic; leggasi “Nettunia Porto”], Grizzi Rizziero, De Angeli Agostino, Bianchi Paolo, Del Prete Cesare e Colangeli Orlando furono inviati da un soldato indiano ad acquistare tre saponette ed accompagnati poi dietro un cancello, dove trovavansi dei sacchi che furono loro offerti insistentemente. Al rifiuto, il soldato si allontanò, ritornando poco dopo accompagnato da circa 30 compagni che vessarono e malmenarono i malcapitati. Per l’intervento della Polizia alleata, l’incidente ebbe termine. Nell’occorso, De Angelis Agostino e Bianchi Paolo furono derubati rispettivamente di 45.000 e 10.000 Lire, nonché documenti personali” (archivio ANVM).
“Il 9 Ottobre [1944], in Anzio [sic; leggasi “Nettunia Porto”], Lattanzi Comunardi e Simmi Gastone furono fermati da un solato indiano che offrì loro in vendita degli oggetti, i predetti seguirono il militare, ma, fatti pochi passi, furono aggrediti e condotti al campo indiano dove furono percossi. La Guardia comunale Simmi fu disarmata della pistola” (archivio ANVM).
Se questi sono fatti, tutto sommato secondari della storia di Nettunia, rimaniamo ingenuamente colpiti dalla censura pubblica che ricopre anche uno dei fatti di sangue più gravi registrati sul territorio di Nettunia durante la Seconda Guerra Mondiale: l’omicidio della diciassettenne Giulia Tartaglia, avvenuto il 22 Febbraio 1944, per mano di un soldato statunitense che voleva abusare di lei.
L’episodio, conosciuto dagli anziani del paese ma mai reso pubblico, venne per la prima volta accennato dalla stampa locale solo nel Gennaio 2004, a seguito delle nostre ricerche e delle nostre denunce. Poi, di nuovo l’oblio, fino al 2010, quando questa storia è stata presentata (solo sommariamente, in quanto non oggetto diretto dello studio) all’interno del nostro libro Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma.
Da allora, per tutelare la memoria di Giulia, ben poco è stato fatto e, nell’Estate 2019, l’Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate ha voluto interessarsi del caso, affidando proprio a noi le problematiche e difficili ricerche. Ricerche che, però, non hanno dato gli esiti sperati per approfondire i dettagli dell’evento, tanto più che nessuno – per quel che se ne sa – fu spettatore degli ultimi istanti di vita della giovane nettuniana. La ricostruzione storica si basa essenzialmente sulle testimonianze dei famigliari rilasciate nel dopoguerra, gli unici – comunque – a poter saper qualcosa, visto che la città dove avvenne il delitto era pressoché disabitata per via dello sfollamento obbligatorio.
Agli inizi degli anni 2000, raccogliemmo la testimonianza della sorella della vittima, Angela (1929-2012), che ricordò come, quel 22 Febbraio 1944, la famiglia sfollata in campagna – e in cordialissimi rapporti con gli Americani – ricevette il “foglio di via” obbligatorio per il Meridione dagli Alleati e, mentre si avviava al piazzale di S. Rocco, luogo di raccolta, Giulia si staccò dal gruppo per recarsi presso la sua abitazione sita tra Via Gorizia e Via Monte Grappa. Qui si consumò la violenza, ma la famiglia ben poco poté fare, se non inumare il corpo al cimitero e partire per il Sud Italia.
Questa è stata la prima testimonianza sulla vicenda mai pubblicata. Una ricostruzione mai contestata, sia detto per inciso. Ma, in realtà, non sembra l’unica. Simo venuti a conoscenza che, negli anni ’90, un ricercatore raccolse un’analoga memoria, mai resa pubblica però, questa volta del fratello Antonio (1932-2017), che aggiunse alcuni dettagli, come la permanenza della famiglia in casa (quindi non era sfollata?) e la presenza sul luogo del delitto del padre di Giulia, che tentò di difenderla dalle morbose attenzioni di un soldato di colore sfoderando un coltello. Anche lo Statunitense sfoderò il suo e nacque una colluttazione. Non si sa poi come, Giulia venne accoltellata a morte dal militare alleato. Il fratello, in questa testimonianza, aggiunse che il soldato era stato poi arrestato e fucilato a Napoli (anche in questo caso non possiamo sapere come acquisì questa informazione). Si tratterebbe, grossomodo, della testimonianza pubblicata da Silvano Casaldi nel suo Non siamo eroi nel Gennaio 2022 (pagg. 225-226).
Vi sarebbe, comunque, un ulteriore testimonianza sul caso – anche questa mai resa pubblica – dell’altro fratello di Giulia, Luciano (1938-1982), rilasciata negli anni ’70 ad una famiglia di Nettuno in cui era in ottimi rapporti, ma non aggiunge nulla al fatto, se non fantasiosi particolari macabri dei quali risparmiamo il lettore.
L’esumazione dei resti di Giulia Tartaglia, avvenuta presso il cimitero civile di Nettuno il 18 Ottobre 2018 per ricollocazione della salma, non ha aggiunto novità sul caso, essendo stato impossibile procedere ad un attento esame autoptico della salma.
Altro non si può dire anche perché le nostre ricerche presso il National Archives di College Park (Maryland), l’U.S. Army Criminal Investigation di Quantico (Virginia) e l’U.S. Army General Courts-Martial records from 1917 to 1976 presso i National Archives di St. Louis (Missouri) – che potrebbero conservare gli atti di un eventuale processo sul caso – hanno dato esiti infruttuosi.
Per lasciare almeno una memoria documentata sul fatto di sangue, è stato recuperato presso l’archivio dello Stato Civile del Comune di Nettuno l’atto di morte della ragazza, mai visionato da nessuno fino ad ora, stilato a ben 15 anni dal luttuoso evento, il 19 Febbraio 1959. L’atto confermava quanto già appreso: la morte avvenuta alle 15:30 del 22 Febbraio 1944, presso l’Ospedale da campo americano, “in località Foglino”. Degno di nota il fatto che la registrazione avvenne solo dopo una sentenza del Tribunale Civile e Penale di Velletri del 10 Settembre 1958.
Acquisito il dato, le ricerche si sono estese presso gli archivi del Tribunale, rese “impossibili” dalla mancanza del numero della sentenza. Atto che, ancor oggi, nonostante l’intervento dei autorevoli Avvocati presso la Cancelleria del Tribunale di Velletri, nessuno ha potuto consultare…
Si è fatto anche appello alla popolazione per raccogliere ulteriori eventuali testimonianze. L’A.N.V.M. ha chiesto ai cittadini di Nettuno di partecipare alla ricostruzione degli eventi con memorie scritte, ovviamente firmate, da porre agli atti presso la locale Stazione dei Carabinieri e l’Archivio di Stato di Roma, ove sia comunque sempre evidenziata la nascita e la “filiera” conservazione della testimonianza in questi decenni. Ovviamente, nessuno si mai fatto avanti, forse preferendo continuare a mormorare lontano dai riflettori.
Il caso di Giulia Tartaglia sembra destinato all’oblio. Tutte le nostre richieste perché alla giovane nettuniana uccisa da un soldato statunitense venisse dedicato un luogo pubblico sono rimaste senza risposta. Mentre “altari” sono stati elevati a partigiani accusati – dai loro stessi compagni! – di immoralità, rapimento, stupro e omicidio.
Così come ignorate sono rimaste le nostre proposte per un manufatto in memoria del Brigadiere dei Carabinieri della RSI Giuseppe Pitruzzello, anche lui ucciso dai militari americani. Non parliamo poi degli altri civili assassinati sempre dagli Alleati a Nettunia, come Renzo Mastracci o Marco De Nicola, chi li ricorda?
Probabilmente, alcune pagine di storia, per troppi politicanti, non dovrebbero mai essere scritte. Ma la Storia, di certi personaggi, non sa davvero che farsene e, prima o poi, i “fantasmi del passato” torneranno a bussare alla “porta della memoria” per decenni rimasta chiusa da quell’omertà fattasi complicità.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 1, Gennaio 2023)
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