Avevo concluso il precedente articolo “La bipolarizzazione sessuale, il “femminile” e l’avvento della corporeità umana” accennando a quell’episodio particolarmente significativo del secondo capitolo del Genesi, relativo al “torpore” che ad un certo punto coglie Adamo, prima della comparsa della donna.
In effetti, tale evento sembra già assumere il significato di una precoce “caduta”, un primo segno di discontinuità rispetto al precedente momento androginico ed unitario; non a caso Onorio da Ratisbona considera questo intorpidimento, più che da Dio (come indicato nel testo biblico) indotto dal diavolo “separatore”, ad ulteriore conferma di come possano essere molto labili le distinzioni di ruolo nelle narrazioni dei tempi aurorali. Jakob Bohme interpreta infatti il sonno di Adamo già come un primo indebolimento della coscienza, antecedente a quello definitivo e legato all’episodio della mela e del Serpente, che infine implicherà la “Caduta dell’Uomo” e la perdita dell’Eden; accenni in questa stessa direzione si trovano anche in Leopold Ziegler ed in Mircea Eliade. Gregorio di Nissa giunge fino ad ipotizzare una sorta di precessione atemporale del “peccato originale”, legato alla fine dell’Età Paradisiaca, e la divisione sessuale avvenuta durante il sonno, in pratica stabilendo tra i due fatti un paradossale rapporto di contemporanea causa / effetto reciproco.
In termini essenzialmente analoghi può essere considerata anche la divisione dell’Androgine in due metà distinte, citata nel Simposio di Platone e da Julius Evola ricordata come una mutilazione punitiva e “depotenziante” dell’Uomo primordiale, che fino a quel momento arrivava ad incutere timore agli stessi Dei. Vedremo secondo quali percorsi si arriverà, in definitiva, ad un nuovo significato della figura di Adamo rispetto a quello iniziale plasmato dalla polvere “sottile”: intanto ci basti tener presente, come peraltro già sottolineato da diversi esegeti biblici, che Adamo effettivamente si “umanizza” nel momento in cui, dopo essersi ridestato dal sonno, conosce direttamente la dualità, l’alterità, ed è quindi grazie alla creazione della donna che egli si trasforma, da essere privo di genere, a uomo. Sarà ora la stessa, intorpidita, condizione umana (con evidente riferimento al sonno fatto scendere su Adamo), a farne ormai un essere di questo mondo, sottoposto a tutte le condizioni proprie al nostro piano di esistenza, quindi anche quelle corporee.
Nell’articolo precedente si era accennato all’azione di Rajas ed all’opera di “dinamizzazione” che questo esercita in ambito antropocosmico (anche sollecitando alternativamente gli altri due guna, Sattwa e Tamas); Frithjof Schuon ricorda come ad esso vi corrisponda l’elemento emotivo-passionale, che però costituisce anche uno dei maggiori impedimenti spirituali. Tuttavia, mentre la passione “centrifuga” induce l’uomo a preferire il mondo a Dio, vi è un altro ostacolo, l’orgoglio, che invece lo spinge ad anteporvi sé stesso, fino addirittura ad ergersi contro di lui, ed è chiaramente ben più grave. Su quest’ultimo aspetto ritorneremo più avanti, ma intanto è utile ricordare anche la nota di René Guenon che delinea, a mio avviso, un’analoga distinzione tra luciferismo e satanismo: il primo si limita a non riconoscere un’autorità superiore, mentre il secondo effettua un vero e proprio rovesciamento dei normali rapporti gerarchici e dell’ordine regolare.
Ciò posto, direi quindi che un parallelo tra l’azione rajasica e l’avvento del sonno di Adamo possa essere senz’altro calzante.
In rapporto alla funzione demiurgica già analizzata negli articoli precedenti, avevo ipotizzato un parallelo tra la dinamica riferibile al Raja guna e la fase ancora precedente in cui Lucifero, precipitando, portò alla creazione di tutto l’ampio ventaglio della materia, dal suo punto di inizio, estremamente “sottile” qual è l’Etere (corrispondente all’Adamo del Primo Grande Anno) fino a quello più basso e grossolano (posto in relazione al sorgere delle stirpi “subumane”). Ora però è lecito supporre che il “campo di variazione” delle forme che, analogamente, vengono alla luce in questo momento, sarà compreso tra limiti ben più ristretti; ciò, sia perché il punto di partenza del movimento espansivo-discendente è ora pur sempre costituito dall’Adamo sottile ed androginico – del tutto conforme all’immagine divina – sia perché, come già ricordato, in questa fase è presumibile ritenere relativamente contenuta l’influenza di Tamas. Il concetto di una separazione precoce del guna inferiore, trova infatti numerosi accenni in diversi autori: Evola ricorda le “potenzialità animali” che l’uomo delle origini avrebbe in qualche modo “lasciato dietro di sé”, mentre Guenon rimarca, in termini più generali, la predominanza di Tamas nel momento aurorale di ogni ciclo come se, a mio avviso, dovesse rispondere ad una certa logica cosmica la necessità di dare corso, prima di tutte le altre, alle più basse modalità di manifestazione, esaurendole così in larga misura. Ritengo che sulla stessa linea si ritrovi anche Mircea Eliade quando sottolinea come, nel corpus ellenico, le forme generate da Urano nei tempi primordiali si caratterizzavano per una certa fluidità e mostruosità, nonché Frithjof Schuon che segnala quei miti dei nativi americani nei quali il “Grande Spirito” diede origine, nell’intervallo tra due cicli di creazione, a specie prevalentemente “tamasiche” e teratomorfe che poi dovette distruggere.
Nella sua nascita, quindi, l’Umanità sembra ora andare ad occupare uno spazio cosmologicamente “orizzontale”, in conformità alla tendenza rajasica che infatti Guenon ci ricorda corrispondere proprio al “mondo dell’uomo” (manava loka), e che, come vedremo più avanti, predomina nettamente nella casta Kshatriya. Inoltre, per continuare a ragionare in termini geometrici, è anche il dato della “perifericità” che, in diverse fonti, trova una certa conferma come rappresentazione dell’ambito individuale: un campo situato in posizione “esterna” ed assoggettato agli elementi cosmici, rispetto al nucleo più interno e “principiale” dell’aggregato umano.
Non a caso Guenon evidenzia come nella visuale taoista, Yin, il femminile, si ponga all’esterno, mentre Yang, il maschile, all’interno; Evola inoltre rimarca come nell’uomo ordinario il principio Yin (detto anche “anima inferiore”) tenda oltretutto ad assoggettare il principio Yang (detto anche “anima superiore”) costringendolo a servirlo ed esercitando su di esso un’azione di estroflessione. Analogamente, Meister Eckhart segnala che al di fuori dell’intellettivo si trova il sensibile, al di fuori dello spirito c’è la carne, al di fuori del maschio c’è la femmina. Anche da Coomaraswamy giungono indicazioni similari, quando significativamente collega l’origine laterale di Eva da Adamo a quella del Buddha nato dal fianco della madre, ponendo questa, a sua volta, in relazione alla comparsa dell’immagine antropomorfica; inoltre, come già visto nell’articolo precedente, lo studioso indiano ricorda che il “Sé”, sorgente dal seno divino, corrisponde all’Uomo interiore e costituisce la Persona vera, sovraindividuale, mentre quello che chiama Uomo esteriore – cioè l’aggregato psichico-fisico – nasce dalla donna. Si può rilevare che qui l’esteriore corrisponde alla femmina interpretata nel suo senso più ampio, cioè l’insieme della manifestazione formale tutta; ma, a maggior ragione, l’analogia può sembrare valida anche secondo una lettura più ridotta, ovvero con il sottile inteso come “psichico” e posto all’interno, ed il puramente corporeo che si situa all’esterno.
Inoltre, non va dimenticato che anche in relazione alla parola ebraica tradotta con “costola”, dalla quale poi venne creata Eva, sarebbero sviluppabili considerazioni analoghe, in quanto il termine è semanticamente abbastanza vago e può anche venire tradotto con “lato” o “fianco” (per esempio, di una montagna): siccome nella narrazione biblica Eva origina da una costola / fianco di Adamo, a questo punto ritengo si possa ipotizzare che ciò abbia attinenza con la nascita dell’umanità fisicizzata in una posizione cosmologicamente decentrata rispetto al suo Adamo, ovvero il principio sottile e più “interno”. Zona sulla cui posizione geografica, oltretutto, non escluderei un accostamento con l’interessante episodio, tratto dal contesto buddista, riportato da Coomaraswamy: sotto il perno assiale del mondo, il Bodhisattva cerca di trovare una posizione consona a nord, sud ed ovest dell’Albero centrale, ma ogni volta la Grande Terra non riesce a mantenere l’equilibrio cosmico, che invece viene raggiunto solo quando egli si pone ad est dell’Albero. Il Bodhisattva, quindi, si siede in quella posizione (Coomaraswamy peraltro segnala come l’est – apparentemente in contraddizione con la nozione di “centro” – implichi invece il nord, lo zenit e l’ “interno” come centro della coscienza e della vita), dando così la schiena all’Albero; sarà poi in quel punto che dovrà subire gli attacchi di Mara, che incarna il “Desiderio alla Vita” e reclamerà il trono facendo, inutilmente, uso di tutte le armi psichiche in suo possesso.
Per quanto riguarda il tema degli elementi cosmici coinvolti in questo importante passaggio di trasformazione antropogenetica, teniamo presente che tale azione “centrifuga”, dall’interno verso l’esterno, prende come punto di partenza l’Adamo polare ed androginico, sostanziato di Etere, ed arriva infine ad interessare il livello della manifestazione grossolana e sensibile, al cui ambito questi (i “Bhuta” in termini indù) effettivamente appartengono.
Renè Guenon segnala come a questo punto venga a prodursi l’elemento Aria, che con l’Etere può in effetti presentare una certa analogia su un piano più basso e nel quale è proprio Rajas il guna nettamente predominante. Il metafisico francese ricorda inoltre come l’Etere contenga in potenza tutti i corpi e la sua stessa omogeneità lo renda capace di ricevere tutte le possibili forme nelle loro varie modificazioni; anche l’Aria è, in un certo qual modo, un elemento neutro e quindi corrisponde ad uno stato di minore differenziazione rispetto agli altri, da cui la ragione del fatto che in termini logici rappresenti la prima produzione “fisicizzata” derivante dal quinto elemento centrale. Non è quindi da escludere che possa sussistere anche una certa analogia di plasticità tra questo e l’Aria, sebbene ad un livello inferiore che ormai è chiaramente quello grossolano: Guenon infatti evidenzia come, in ambito corporeo, corrisponda proprio all’Aria quello che nella Bibbia è definito Ruach, cioè il “soffio” di Dio.
Ma anche se ormai situati nella manifestazione solidificata, è significativo il fatto che la caratteristica principale dell’Aria sia sicuramente quella dell’estrema mobilità, della locomozione nello spazio, di cui forse il detto “Krita viaggia ed erra” è un lontano ricordo; inoltre è importante rilevare come sia solo a partire da essa che si produrranno tutti i successivi elementi. In relazione a ciò, Guenon ricorda come poi l’Aria si polarizzerà in un elemento attivo, il Fuoco, ed un elemento passivo, l’Acqua; è questo un aspetto che, per certi versi, può renderla analoga al concetto generale del “femminile” il quale, secondo Filone di Alessandria, come abbiamo già visto a sua volta contiene in sé la polarità “relativa” maschio-femmina. Aria che si estrinseca appunto nel Secondo Grande Anno del Manvantara, lasciando alle ere successive, dopo la “Caduta” dell’Uomo, lo sviluppo dei successivi elementi Fuoco-Acqua-Terra. Inoltre, una tale interpretazione dell’elemento Aria a mio avviso può trovare un’indiretta conferma nell’analogo riconoscimento, come simbolo di sicuro segno femminile, della figura romboidale della “losanga”; la corrispondenza tra Aria e losanga sembra infatti molto probabile, dal momento che quest’ultima riunisce geometricamente un triangolo con il vertice rivolto verso l’altro ed uno con il vertice verso il basso (uniti per le rispettive basi), che sono rispettivamente i simboli tradizionali del Fuoco e dell’Acqua, appunto nell’Aria potenzialmente contenuti e dalla quale poi trarranno origine. Aggiungerei pure che il rombo, inteso come strumento musicale (il “bullroarer”, di origine paleolitica, già utilizzato anche in alcuni misteri greci e tuttora diffuso tra le popolazioni indigene di ogni continente), è proprio attraverso una veloce rotazione nell’elemento Aria che produce il suo caratteristico cupo ronzìo.
Oltretutto all’Aria si ricollegano, secondo diversi autori, anche gli Kshatriya (infatti il Raja guna predomina in entrambi) ed alla parte volitiva \ attiva dell’aggregato umano; in questo contesto, come già accennato, la casta guerriera va a mio avviso interpretata in un’ottica più ridotta e specifica della “femmina”, venendo cioè a corrispondere alla parte eminentemente corporeizzata dell’uomo. Renè Guenon peraltro segnala un altro punto fondamentale, ovvero come sia sempre alla casta Kshatriya che vada abbinata una delle quattro razze tradizionali, cioè quella Razza Rossa della quale avevamo iniziato a vedere alcune caratteristiche bio-antropologiche nell’articolo “Il colore della pelle” e che più avanti approfondiremo sotto altri punti di vista. Ma l’Aria trova, in modo ancora più diretto e specifico, un collegamento con la casta guerriera anche tramite il suo principale simbolo, cioè l’Orso (spesso femminile), che ad esempio è significativamente presente nell’India vedica con le particolari figure di alcune divinità-orso correlate ai venti ed alle tempeste. Il plantigrado è portatore anche di altri elementi interessanti: secondo vari autori (Frazer, Eliade, ecc…) abbiamo visto che il suo culto sembra essere il più antico attualmente esistente e peraltro diffuso tra popolazioni di tutto il mondo quali Ainu, Ghiliaki, Baschi, Marocchini, Amerindi, molti paleoasiatici ed uralici. Tutto ciò, in termini indiretti, potrebbe quindi confermare l’anteriorità temporale della Razza Rossa rispetto a tutte le altre. Un punto probabilmente rafforzato anche dal fatto che, ad esempio tra i Lapponi e gli Ainu, la figura dell’Orso è significativamente assimilata anche a quella di un lontanissimo antenato fino a diventare oggetto di culto “totemico”; tra i Nenci, di ceppo uralico, la figura sacra dell’orso è sempre intesa in senso femminile e definita “vecchia”, “madre” o “nonna”. Comunque il plantigrado viene percepito secondo un rapporto di particolare vicinanza con gli esseri umani, rivelando peculiarità molto simili a quelle della nostra specie (tra le quali, al contrario degli altri animali, il suo bipedismo).
Va detto che l’elemento Aria evidenzia una particolare relazione anche con la prima compagna di Adamo, Lilith (che, come già accennato, rappresenta già di per sé “il femminile del femminile”, quindi la spinta verso la piena corporeizzazione umana) in quanto, secondo alcuni, trarrebbe il suo nome dal sumerico “Lil” che significa “vento”, o dall’assiro-babilonese “Lilitu”, che identifica più precisamente lo “spirito del vento”; in altre interpretazioni il termine sumerico viene piuttosto reso con “civetta”, che comunque è un animale appartenente all’ambito aereo, ed appare coerente con le raffigurazioni dove Lilith è dotata di zampe di uccello e di quelle possenti ali che le servirono per volare via dall’Eden, dopo l’insanabile conflitto con Adamo. Lilith, inoltre, è stata avvicinata anche alle Arpie, creature del mito ellenico spesso collegate alle donne-uccello di altri miti orientali, oltre che alle Sirene; mi sembra interessante notare come esse furono cacciate proprio dai figli di Borea, il che potrebbe avere attinenza con un significato più ristretto di Lilith, che però analizzeremo nel prossimo articolo. In altre tradizioni Lilith viene vista come messaggera degli dèi, quindi accostata a Hermes; ma è stato rilevato come quest’ultimo abbia relazione proprio con il vento e perciò possa compiere la sua missione in cielo, in terra e negli inferi – fatto suggerito anche dal soprannome “Tricefalo” – agendo soprattutto nell’ambito del mondo intermedio, atmosferico.
In ogni caso Lilith, oltre alla relazione con l’elemento Aria, sembra presentare anche marcati caratteri ctoni: una coesistenza spesso rilevata in vari miti del mondo, ad esempio nel drago cinese, e che ritengo rafforzi ulteriormente il concetto della contemporaneità intercorsa tra il dispiegamento dell’elemento Aria e l’avvento della corporeità umana. E’ stato osservato che Lilith denota una forte connessione con il legame corporeo-materiale ed, a mio avviso, in tale direzione si potrebbe interpretare il dato mitico che la vedrebbe plasmata da Dio con l’utilizzo di sedimenti e materiali “di scarto”, al contrario della polvere leggera e “pura” utilizzata invece per Adamo. Lilith quindi come simbolo di una certa modalità di manifestazione, ormai irrimediabilmente grossolana, caduca ed individualizzata, oltretutto rafforzata da un’altra idea di provenienza sumerica, quella nella quale viene rappresentata anche come regina della Morte. E’ stato anche osservato come la stessa fase calante della Luna ed il conseguente progressivo oscuramento della luce fino alla Luna Nera (della quale Lilith è notoriamente il simbolo), implichi la cessazione totale della riflessione luminosa, stando così ad indicare una modalità esistenziale di completo assoggettamento al corpo, considerato quale “materia bruta”. Nella tradizione ebraica Lilith viene fatta corrispondere alla decima sephirah, cioè Malkuth – la più bassa delle sfere – e posta al di sotto di Yesod, via discendente ed involutiva che letteralmente inchioda l’uomo alla croce dei quattro elementi ed alla triste prigionìa della materialità. Nella stessa direzione interpretativa, su Lilith è stata proposta anche un’altra analogia, ovvero quella che la pone in relazione a Nephesh, cioè l’elemento animico più basso, che non può esistere se non unito al corpo (mentre, in quest’ottica, Adamo corrisponderebbe a Ruach): come nella fiamma di una candela, Lilith ne rappresenta la parte inferiore, quella che rimane avvinghiata alla fisicità dello stoppino, mentre Adamo è la superiore parte bianca.
Comunque l’elemento Aria, la figura di Lilith (in un’accezione più ampia) e la casta Kshatriya (in una più ristretta) alludono quindi al materializzarsi della prima razza umana unitaria, evento che si verifica durante il “sonno di Adamo”; la mia interpretazione è che questo primo gruppo, dal quale poi sarebbero nati tutti gli altri, possa dunque corrispondere alla Razza Rossa, e ciò per una serie di elementi (ora di carattere più mitico-tradizionale che bio-antropologico) che vedremo di seguito, iniziando da alcune considerazioni generali legate proprio al colore che le viene attribuito.
Il nesso più noto è quello costituito dallo stesso nome di Adamo, nel quale la radice “adam” significa infatti essere “rosso”, per analogia con il colore della terra della cui polvere venne plasmato. Significativamente, tale collegamento non è limitato al solo ambito biblico ma appare anche altrove: ad esempio tra i Maidu della California, per i quali il dio supremo creò la prima coppia di esseri umani usando sempre terra rossa, ma anche nei Quichè il cui libro, il Popol Vuh, parla più genericamente della creazione dell’uomo dal colore rosso, come pure in svariate tribù nordamericane. Al rosso si collega, come ci ricordano Julius Evola e Titus Burckhardt, il guna Rajas (mentre il nero è in relazione a Tamas ed il bianco a Sattwa), guna che abbiamo già visto essere di importanza centrale per la corporeizzazione umana; un altro rimando non molto esplicito, ma comunque piuttosto interessante, ci arriva dallo Zohar, che segnala come sia il colore del fuoco (il rosso, appunto ?) a scendere nel mondo e a dividersi in molte direzioni, specificando anche che la parte proveniente dal lato della femmina sembra collegato alla guerra (un rimando credo abbastanza evidente al ruolo giocato, in termini di caste, dagli Kshatriya). Ancora Evola stabilisce pure una connessione del colore rosso non solamente con il Raja guna ma, più specificamente, proprio con l’elemento Aria (per il tramite del fluido sanguigno).
Il tema del collegamento tra le quattro razze tradizionali ed i quattro elementi è piuttosto controverso, in quanto diversi autori “perennialisti” hanno proposto corrispondenze discordanti tra loro, in alcuni casi evidenziando differenze persino sul numero dei gruppi umani da prendere a riferimento; preferirei quindi non entrare in un argomento così malfermo limitandomi solamente a citare la nota di Frithjof Schuon, che mi sembra la più condivisibile, con la corrispondenza da lui ipotizzata tra le Razze Bianca, Gialla e Nera rispettivamente agli elementi Fuoco, Acqua e Terra. Emerge quindi il fatto, piuttosto significativo, che Schuon non citi né la Razza Rossa né l’elemento Aria, per cui, se non esplicitamente almeno per deduzione, riterrei che questi due termini potrebbero effettivamente essere tra loro accostati.
Julius Evola, inoltre, ricorda come la “stirpe di Kronos” si sarebbe anticamente mescolata, in una terra boreale, con quella di Eracle; quest’ultima è probabilmente riconducibile ad una fase “eroica” e relativamente meno antica, mentre la stirpe del titano Kronos per Evola è esplicitamente quella che residua dal ciclo primordiale. Renè Guenon menziona un fatto in parte analogo che si trova accennato nella vicenda dell’Avatara Parashu Rama, cioè la fusione che in un certo momento sarebbe avvenuta tra Razza Rossa e Razza Bianca; siccome sembra più calzante correlare le figure titaniche alla Razza Rossa (anche, ad esempio, nell’episodio della titanomachia, dove qualche ricercatore l’ha vista rappresentata da Atlante, capo della sua fazione nella guerra contro Zeus) ciò ne confermerebbe indirettamente la primordialità. Ed un ulteriore indizio in tal senso può esserci fornito anche dal mito ellenico del diluvio legato a Deucalione e Pirra che, per quanto situabile in una fase forse ancora più recente della storia umana, è probabile riproponga su scala cronologica più bassa eventi verificatisi in periodi molto anteriori (per un meccanismo di trasposizione temporale già ricordato in precedenza); sotto questa luce, mi sembra quindi di particolare interesse il fatto che il nome di Pirra significhi proprio “la rossa”.
La Razza Rossa, tuttavia, sembra costituire un insieme antropologico di non semplice definizione e ciò, a mio avviso, proprio a causa del suo collegamento con l’estrema mobilità e plasticità tipica dell’elemento Aria ed anche con le qualità intrinseche del Raja guna; Julius Evola, infatti, ci ricorda come Rajas rappresenti il modo del dinamismo e del divenire, della trasformazione e della mutazione, la spinta continua ad una marcata eterogeneizzazione. Ne consegue che taluni ritengano la Razza Rossa essere stata, già di per sé stessa, un insieme non molto omogeneo, con ampi margini di oscillazione morfologica “primaria”, cioè non spiegabili da meticciamenti con altri gruppi umani (che al tempo non esistevano ancora); da cui la difficoltà odierna di definirla con precisione. A tale proposito in precedenza avevo accennato alle ipotesi del genetista Vavilov ed alla teoria della “cosmolisi” formulata dal paleontologo Alberto Carlo Blanc.
Inoltre, ciò che a mio avviso ne ha rappresentato un altro tratto saliente, ovvero la sua forte ecumenicità (ricordiamo il precedente “Krita viaggia ed erra”), ha portato a far emergere un po’ ovunque nel mondo quegli elementi antropologici “di substrato”, già segnalati nel precedente articolo “Le più antiche caratteristiche razziali”, con il risultato che la Razza Rossa non è stata colta come un vero e proprio raggruppamento a sé stante rispetto a quelli bianchi-gialli-neri, più specializzati e quindi riconosciuti con maggior sicurezza dall’antropologia classica. Tuttavia si può dedurre che le sfuggenti specificità tipologiche che avrebbero connotato la Razza Rossa, a parte le caratteristiche genericamente “caucasoidi arcaiche”, dovrebbero cromaticamente aver avuto attinenza ora con la pigmentazione cutanea (che quindi risulterebbe di tonalità lievemente più intensa rispetto a quella degli attuali popoli nordici), ora anche con il fenomeno del rutilismo (carattere residuale che però, al giorno d’oggi, sembra accompagnarsi soprattutto a colorazioni cutanee poco pronunciate, probabilmente a causa di un posteriore processo di depigmentazione); in relazione a quest’ultimo punto, mi sembra comunque degno di nota il fatto che, nel Mito, Lilith venga rappresentata proprio con i capelli rossi.
Una Lilith che peraltro, oltre a questa interpretazione in chiave più estesa – ovvero, simbolo della corporeizzazione umana in senso generale – presenta tuttavia diversi elementi che possono inquadrarla anche in un’ottica più specifica e limitata, come avremo modo di vedere nel prossimo articolo.
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Michele Ruzzai
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