7 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centocinquantasettesima parte – Fabio Calabrese

Eccoci giunti alla seconda metà di giugno, vale a dire alla metà di questo anno 2024, a pochi giorni dal solstizio e dall’inizio ufficiale di un’estate che già si annuncia come particolarmente torrida. Per me questo periodo, proprio come negli anni scorsi, significa anche l’impegno delle conferenze che tengo annualmente al festival celtico Triskell, ma di questo vi parlerò a tempo debito.

Per ora, riprendiamo invece la pista delle nostre ricerche sull’eredità ancestrale. Anche stavolta, seguendo una prassi ormai consolidata, vedremo prima cosa ci offrono i siti stranieri che a questo riguardo sono particolarmente ricchi, nello specifico “Ancient Origins” e “Ancient Pages”, per venire poi alle fonti italiane.

E ricominciamo proprio da Pompei, con un articolo di Sahir del 15 giugno su “Ancient Origins” che ci segnala il ritrovamento nella Regio IX di una stanza affrescata con un insolito colore azzurro (gli affreschi pompeiani sono perlopiù a fondo rosso, il famoso rosso pompeiano) che sembra essere stata un antico sacrario domestico.

Non basta, perché il 16 un nuovo collaboratore, Koutoupis, ci parla di nuovi ritrovamenti fatti a Ostia antica in un pozzo vicino al tempio di Ercole. Oltre a uno strano oggetto di legno simile a un imbuto, ma che potrebbe essere un bicchiere, una pipa, uno strumento musicale, sono stati rinvenuti pezzi di vetro e marmo, frammenti di ceramica e persino una serie di pezzi di legno ad incastro, e ossa bruciate che suggeriscono sacrifici animali.

Il 17 Gary Manners ci porta in Ungheria. Qui, vicino al lago Tisza, sono stati scoperti i resti di un’abbazia medioevale. Gli scavi hanno portato alla luce monete e un raro calice d’argento.

Sempre il 17, Nigel Pennick ci parla delle scritture bardiche gallesi. Esse nacquero attorno al VI secolo dopo Cristo, mettendo per iscritto poemi, racconti, leggende, che fin allora si erano tramandati oralmente. Della tradizione orale rimasta viva fin allora, non sappiamo quanto sia andato perduto.

Sempre il 17, Sahir ci parla della scoperta nella regione della Cuiavia, Polonia nord-orientale, di un sito di culto celtico lacustre scoperto da archeologi sommozzatori risalente al III secolo avanti Cristo. Nelle acque del lago sono stati rinvenuti diversi oggetti, verosimilmente offerte agli dèi, fra cui armi, strumenti da fabbro, strumenti da falegname e utensili da cucina.

Più macabro il ritrovamento avvenuto in Svizzera di cui ci parla sempre Sahir il 18. A Cornaux/Les Sauges presso le rovine di un ponte celtico sono stati ritrovati gli scheletri di 20 persone risalenti all’Età del Ferro. Vittime di una catastrofe naturale, di un evento bellico o di un sacrificio umano particolarmente cruento? Non lo sappiamo, almeno per ora il giallo rimane irrisolto.

Due articoli di Gary Manners del 18 e del 19 ci portano invece in Spagna. Nel primo ci parla di una tavoletta di ardesia risalente a 2.500 anni fa rinvenuta nel sito tartessiano di Casas del Turuñuelo a Guareña, Badajoz, che reca i segni di un alfabeto paleoispanico finora sconosciuto. Tuttavia, più sorprendente ancora l’altra scoperta avvenuta a Carmona, Andalusia, una tomba di età romana, dove i resti crenati del defunto sono stati conservati immersi nel vino, che sarebbe il più antico vino pervenuto fino a noi, più antico di quello della famosa bottiglia tedesca di Spira.

Sempre il 19, Koutopis ci racconta di quanto avvenuto a Stonehenge, dove due attivisti di Stop for Oil, l’equivalente inglese di Ultima Generazione hanno imbrattato con vernice arancione il monumento preistorico. L’intento di sensibilizzare la gente sul cambiamento climatico è lodevole, ma il mezzo scelto, deturpare monumenti e opere d’arte, è del tutto sbagliato, e può produrre l’effetto boomerang di provocare avversione alla causa ambientalista.

Un articolo di Sahir del 20 ci riporta in Spagna. Qui, sul monte Arriaundi vicino a Larumbe in Navarra, è stato trovato un altare votivo del I secolo dopo Cristo, reca un’iscrizione latina, ma è dedicato a una divinità vasconica.

Un articolo del 21 giugno di Bryan Hill è dedicato alla figura di Carattaco, il capotribù britannico che guidò la resistenza all’invasione romana, e oggi considerato dagli Inglesi un eroe popolare.

Il 22, Gary Manners ci racconta che con un meticoloso lavoro di tre anni gli archeologi turchi hanno restaurato l’armatura romana del tipo lorica squamata ritrovato nel sito di Satala, situato a Gümüşhane. Questo tipo di corazza, molto raro, formato da squame metalliche, offriva ai legionari romani sia una buona protezione, sia una buona mobilità.

Sempre il 22, un articolo di Robbie Mitchell si interroga su cosa abbia causato la caduta dell’Impero Romano, e ne evidenzia soprattutto le cause economiche, oltre alla pressione dei barbari alle frontiere, l’eccessiva fiscalità che spingeva la gente a ribellarsi. Ma a mio parere non va sottovalutato neppure lo stravolgimento spirituale ed etico causato dalla cristianizzazione.

Ancora il 22 Aleksa Vučković ci parla degli Agilolfing (discendenti di Agilulfo), la casa regnante che dominò la Baviera in età altomedioevale, costruendo uno stato semi-indipendente dal regno franco, ma che alla fine dovette sottomettersi al potere dei Carolingi.

Il 24 Clem1965 (che volete farci, l’articolo è firmato così), ci parla degli Knockers o Battitori, creature leggendarie del folclore cornico che popolerebbero le miniere della Cornovaglia, molto simili ai nostri gnomi. Poiché erano chiamati anche Tommy Knockers, mi chiedo se non possano aver ispirato i Tommynockers di Stephen King.

Sempre il 24, Koutoupis ci dà la notizia del ritrovamento in Gran Bretagna di un busto dell’imperatore romano Caligola. Questo busto fu donato dall’ambasciatore britannico allo scrittore Horace Walpole che lo portò in Inghilterra, poi, per due secoli se ne sono perse le tracce. Proverrebbe dalle rovine di Ercolano.

Ancora, Gary Manners ci informa della scoperta nella Repubblica Ceca tra i villaggi di Dlouhé Dvory e Lípa, di un lungo tumulo funerario di età preistorica, lungo 190 metri, appartenente alla cultura del Bicchiere Campaniforme, risalente all’Età del Bronzo, tra il 3.800 e il 3.350 avanti Cristo.

Il 25 Nathan Falde ci segnala la scoperta delle tracce di una nave vichinga sepolta, ritrovate nella contea di Vestfold in Norvegia, e Gary Manners ci parla della carcassa perfettamente conservata di un lupo siberiano risalente a 44.000 anni fa, ritrovata in Yakuzia nel distretto di Abyl. Una prova in più del fatto che mentre le regioni oggi temperate dell’Europa erano strette nella morsa dell’età glaciale, le regioni artiche godevano di un clima mite che consentiva la vita di animali di grossa taglia.

Il 26 Koutoupis ci informa del ritrovamento di una caliga, di un sandalo militare romano dalla suola chiodata a Oberstimm in Baviera, presso un antico forte militare romano.

Il 27 Nathan Falde ci segnala un singolare ritrovamento in Norvegia, a Fossum, un cimitero di bambini risalente a 2.800 anni fa, a cavallo fra l’Età del Bronzo e quella del Ferro. Tutti i piccoli deceduti avevano un’età dai sei anni in giù.

Gary Manners invece ci segnala il ritrovamento a Irschen nell’Austria meridionale di un raro reliquiario paleocristiano risalente a 1.500 anni fa.

Robbie Mitchell ci parla del recupero, sotto Claudio, dell’ultima delle tre aquile perdute dai Romani nel disastro di Teutoburgo. Queste insegne avevano per i Romani un enorme valore simbolico, e il recupero dell’aquila perduta servì non poco a consolidare la posizione dell’imperatore.

Non è solo questione di nuovi ritrovamenti, ma anche di nuove datazioni di reperti già conosciuti. Un articolo non firmato del 28 ci racconta che uno dei reperti più noti di età ellenistica, il relitto navale di Kyrenia rinvenuto negli anni ’60, grazie alla tecnica del radiocarbonio, è stato recentemente datato a fra il 296 e il 271 avanti Cristo.

Sempre il 28 Robbie Mitchell ci parla ancora dell’incursione vichinga all’abbazia inglese di Lindisfarne, ma ve ne ho già parlato la volta scorsa.

Una città tedesca di grande importanza storica, è Lubecca che nel medioevo fu uno dei centri più importanti della lega anseatica. Aleksa Vučković ne ripercorre la storia in un articolo del 29.

Robbie Mitchell il 29 ci parla della dinastia Flavia. Questa dinastia corta, rappresentata da tre imperatori che hanno governato l’impero per due generazioni, ha tuttavia lasciato un segno profondo nella storia di Roma, ma ora non vi ripeterò cose che forse poco note al pubblico anglosassone, dovrebbero essere da noi ben conosciute,

Un articolo non firmato del 30 ci aggiorna su uno dei più misteriosi reperti che l’antichità ci ha tramandato, quella sorta di computer meccanico noto come meccanismo di Antikythera. Secondo una recente analisi compiuta dai ricercatori dell’Università di Glasgow, pare che esso non fosse basato sull’anno solare di 365 giorni, ma su quello lunare di 354.

Parliamo adesso di “Ancient Pages”. Molti articoli trattano gli stessi argomenti che abbiamo trovato su “Ancient Origins”, e non mi ripeterò, ma, come al solito, c’è anche qualcosa di differente.

Cominciamo, ad esempio, con un articolo di Conny Waters del 17 giugno. Ricercatori svizzeri hanno studiato i resti umani provenienti dalla necropoli neolitica di Barmaz nel Vallese risalente a 6.000 anni fa e hanno fatto delle scoperte interessanti. La geochimica isotopica ha dimostrato che i defunti, uomini e donne, avevano accesso a livelli nutrizionali all’incirca uguali, il che smentisce l’idea che in epoca preistorica le donne fossero tenute in condizioni di inferiorità, inoltre il 14 per cento dei resti apparteneva a forestieri, il che dimostra che già all’epoca esisteva un’attiva circolazione di popolazioni. Una preistoria alquanto diversa da quella che perlopiù ci si immagina.

Un articolo di A. Sutherland del 18 giugno ci parla di una delle tribù celtiche meno conosciute, gli Anartes o Anarti, che abitavano l’Europa centrale ed erano confinanti dei Daci. Costoro popolavano una regione in gran parte selvaggia, occupata dalla foresta Ercinica dove vivevano animali selvatici come l’uro.

Un articolo del 20 giugno parla degli Avari. Questi antichi nomadi, che succedettero agli Unni nelle pianure ungheresi, sono ancora oggi uno dei popoli più misteriosi della storia. Scomparvero senza apparentemente lasciare traccia in seguito alla conquista franca. “Scomparso come gli Avari” era un modo di dire comune nel medioevo. Oggi lo studio dei resti di centinaia di individui provenienti da tombe avare, ci permette di sapere qualcosa di più. Erano, pare, membri di una società fortemente gerarchizzata, nettamente patriarcale e patrilineare.

Un articolo di Jan Bartek del 21 riporta una dichiarazione di Zachi Hawass. Secondo il più quotato egittologo a livello internazionale, la favola “politicamente corretta” che oggi si va diffondendo, secondo la quale quella egizia sarebbe stata una civiltà “nera” è una falsità che fa a pugni con tutti i dati archeologici, antropologici e iconografici che abbiamo a disposizione. Stiamo attenti, che c’è in atto un tentativo “woke” di riscrivere la storia.

Anche “Ancient Pages” non manca di dedicare spazio alla mitologia e al folclore. Un articolo di Ellen Lloyd del 22 ci parla di Puck, figura di folletto burlone resa nota da Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate. Tuttavia, Puck, noto anche come Robin Goodfellow od Hobgoblin, era una figura presente da tempo nel folclore inglese.

Vediamo ora cosa ci riservano le fonti italiane. “Il Mattino” del 18 giugno riporta la notizia del vino spagnolo che sembra essere più antico di quello di Spira.

Sempre il 18 giugno abbiamo una notizia da TG.com 24. Stabilire quando sia nato l’Homo sapiens è una questione spinosa, ma forse due antropologi dell’Università del Missuori, Jonathan Paige e Charles Perreault hanno trovato la risposta. Studiando la produzione di strumenti litici, si nota un aumento progressivo ed esponenziale di tecnica che supera nettamente quello dei primati non umani e presuppone l’accumulo delle conoscenze, a partire da 600.000 anni fa. E’ quasi superfluo dirlo, ma si tratta di un’antichità ben superiore ai 50-100.000 anni attribuiti alla nostra specie dalle “teorie” africano-centriche.

Ancora il 18 giugno abbiamo su “Voloscontato” un articolo di Sara Perazzo che ci illustra la domus ricca di mosaici emersa dai recenti scavi nel parco archeologico del Colosseo.

Un comunicato ANSA del 21 che troviamo anche ripreso sul “Corriere della sera” ci informa che i ricercatori del Max Planck Institute e l’esperto di ricostruzioni facciali brasiliano Cicero Moraes hanno ricostruito il volto dell’Homo sapiens risalente a 315.000 anni fa i cui resti sono stati ritrovati negli anni ’60 nella cava marocchina di Jebel Irhoud. A parte la colorazione scura della pelle che gli si è voluta attribuire in ragione del ritrovamento sul suolo africano (ma, premesso che i pigmenti della pelle non si fossilizzano, non mi risulta che né Mosè, né Cleopatra, né John Tolkien, sebbene nati in Africa fossero neri, per non menzionare il fatto della bufala dell’inglese uomo di Cheddar, a cui per motivi ideologici, contro ogni evidenza si è voluta attribuire una colorazione scura), resta il fatto dell’antichità di questo antico Homo sapiens ben al di là di quanto concesso alla nostra specie dall’ortodossia, ideologica e non scientifica, corrente.

Da segnalare ancora che “Quotidiano.net” del 22 ci segnala la scoperta di un relitto risalente a 3.300 anni fa, forse il più antico del Mediterraneo, rinvenuto a una profondità di 1.800 metri davanti alle coste di Israele.

Naturalmente, il rinvenimento a Pompei della stanza sacrario dalle pareti azzurre di cui vi ho parlato all’inizio in riferimento all’articolo su “Ancient Origins”, non è passato inosservato nemmeno in Italia; infatti, lo troviamo menzionato in un articolo di Luana Rosato e Tim Newcomb su “Esquire Italia” del 25 giugno.

Analogamente, la versione italiana di “Storical National Geographic” riporta il 26 giugno la notizia della struttura labirintica circolare scoperta nell’isola di Creta di cui vi ho detto più sopra.

Come sapete. Prima di chiudere questi articoli non manco mai di evidenziare le cose rilevanti dal nostro punto di vista che sono emerse, ebbene, questa volta ne abbiamo un bel po’.

Per prima cosa, una volta di più, vediamo che quando si parla di antichità, Roma è una realtà storica assolutamente centrale, ma il guaio è che sono soprattutto gli stranieri a dircelo, e i nostri connazionali sembrano perlopiù beatamente ignari di essere gli eredi non solo di un grande impero, ma di una civiltà che ha plasmato il mondo per sempre.

Il ritrovamento nel permafrost artico della carcassa del lupo siberiano non è che l’ultima di tantissimi reperti di questo genere, che ci mostrano chiaramente che qualche decina di migliaia di anni fa, l’artico ospitava una megafauna che comprendeva mammut, rinoceronti lanosi, leoni delle caverne, animali che non potrebbero assolutamente vivervi nelle condizioni attuali, non tanto per il freddo, quanto per la mancanza di vegetazione e quindi di cibo. All’epoca le regioni artiche dovevano godere di un clima molto più mite, e questo rende del tutto plausibile l’idea sostenuta dal pensiero tradizionale, che qui, e non in Africa, debba aver avuto origine la nostra specie.

Prendiamo poi atto della protesta del professor Hawass contro la tendenza woke oggi imperante a trasformare quella egizia in una civiltà “nera” perché africana. Non so e lo potrebbe consolare, ma analoghi mistificanti tentativi di colorizzazione sono stati fatti riguardo a Etruschi, Romani, Inglesi, persino Vichinghi. È la logica liberticida della democrazia che somiglia sempre più al Grande Fratello orwelliano, non è vero quello che è vero, ma quello che si riesce a far credere alla gente che lo sia.

Stesso discorso per la ricostruzione del volto dell’uomo di Jebel Irhoud, a cui è stata attribuita una carnagione molto più subsahariana di quella degli attuali abitanti del Marocco.

Tuttavia, la sua ragguardevole età, 315.000 anni, e soprattutto i 600.000 anni proposti da Jonathan Paige e Charles Perreault per la nascita di una tecnologia umana smentiscono l’idea democraticamente imposta di una genealogia breve (massimo 100.000 anni) per l’origine della nostra specie, e il motivo è chiaro: non si vorrebbe lasciarle il tempo di essersi differenziata in razze.

“Gli scienziati hanno dimostrato l’inesistenza delle razze”, quante volte l’abbiamo sentito dire, eppure, dal mostro di Loch Ness, allo Yeti, ai fantasmi, agli UFO, si può negare che esistano sufficienti elementi a sostegno di qualcosa, ma non si può dimostrarne l’inesistenza.

In poche parole, la questione delle origini è tornata a essere un campo di battaglia, ammesso che abbia mai cessato di esserlo, ma noi non abbiamo nessuna paura di combattere.

NOTA: Nell’illustrazione, la stanza-sacrario dalle pareti affrescate in azzurro, ritrovata a Pompei.

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