Riprendiamo ancora una volta il nostro cammino sulle tracce dell’eredità degli antenati. Nel momento in cui mi accingo a stendere queste note, siamo nella terza decade di marzo, è passato da poco l’equinozio e siamo entrati nella primavera, almeno dal punto di vista astronomico anche se non del tutto da quello meteorologico, tuttavia la mia tabella di marcia mi avvisa che esse non potranno passare il collo di bottiglia della pubblicazione prima di luglio, e questo sebbene, come avete visto, io abbia deciso di dedicare principalmente a L’eredità degli antenati il mio spazio settimanale su “Ereticamente”. Non so quale fato abbia deciso questo, né quale significato gli si debba attribuire, ma il fatto è che dagli ultimi mesi dell’anno passato, le nuove informazioni sulla nostra eredità ancestrale hanno assunto un ritmo torrenziale.
Io non vorrei fare troppe eccezioni alla regola secondo la quale, di quello che fanno i gruppi facebook è meglio non occuparsi, tuttavia mi pare che, appunto, un’eccezione si possa fare per il gruppo “Hyperborea Veneta” gestito dal nostro amico Aurelio La Scala Marchesan, infatti quest’ultimo, invece di raccattare, come fa la maggior parte di loro, da internet, materiale di seconda o terza mano, ci riferisce di esplorazioni storico-archeologiche condotte sul territorio in prima persona.
Segnalo in particolare due articoli, uno del 16 marzo che ci parla del Monte Antares o Monte Altare, e uno del 18 marzo che ci parla delle Motte, antico castelliere del Veneto.
Il Monte Altare è un’altura la cui sommità è raggiungibile attraverso una scala di età druidica, che ospitava un’antica area oracolare, celtica e venetica. Si trova vicino a Ceneda (il nome della località deriverebbe dal celtico Kenet). E’ detto anche Col Maledicto secondo un costume nato certamente in età medioevale o comunque post-cristianizzazione, che induceva a vedere come diaboliche tutte le tracce dell’antica religione.
Le Motte, il plurale è giustificato perché ve ne sono almeno due, di Castello di Godego e di San Martino di Lupari, e forse una terza a Cittadella, forse il nostro Aurelio avrebbe dovuto scrivere antichi castellieri.
Il termine motta indicava nel medioevo un insediamento fortificato, e oggi si ritrova in vari toponimi sparsi in tutta Italia, dalla veneta Motta di Livenza alla siciliana Motta S. Anastasia, ma le motte cui fa riferimento questo articolo sono molto più antiche, risalgono infatti all’Età del Bronzo.
Si tratta di strutture a terrapieno di forma approssimativamente quadrangolare dagli spigoli arrotondati risalenti a 3.500 anni fa. Una terza potrebbe essere quella di Cittadella, ma è difficile dirlo, perché sopra il terrapieno è stata eretta una cinta muraria medioevale. Tuttavia, l’autore ci avvisa, potrebbero essercene molte altre, tutte nell’area venetica, tipiche di una peculiare cultura preromana.
Sarà forse il caso di aggiungere qui una precisazione importante: i castellieri sono una tipologia costruttiva (e verrebbe da dire urbanistica, perché spesso racchiudevano abitati consistenti) preistorica tipica dell’area triveneta, sono noti i castellieri del Friuli e quelli sulla sponda orientale dell’Adriatico, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, la stessa città di Trieste pare essersi sviluppata attorno a un castelliere che un tempo sorgeva sul colle di San Giusto.
Tuttavia, una cosa che pochi sembrano sapere, è che esistono castellieri anche in Veneto, soprattutto nell’area della Lessinia, a proposito della quale, nella mia conferenza tenuta nel 2020 al festival celtico triestino Triskell, in cui ho parlato del fenomeno megalitico nell’area triveneta, ho avuto modo di ricordare i castellieri delle Guàite, del Purga e di Sottosengia (quest’ultimo disgraziatamente distrutto nel 1973 per far posto a una cava).
Aggiungiamo a ciò la recente scoperta che il colle su cui sorge il castello di Udine, è in realtà una collina artificiale, un mound risalente all’Età del Bronzo, e probabilmente il più vasto d’Europa, aggiungiamoci le recenti scoperte documentate da “Hyperborea Veneta”, e dobbiamo per forza concludere che la preistoria del Triveneto è più complessa, articolata e interessante di quanto generalmente non si pensi.
E tanto per completare il quadro di questo Veneto che pare così profondamente interessato a mantenere il contatto con le proprie radici profonde, possiamo ricordare anche che il 30 marzo la dottoressa Elena Righetto ha tenuto in diretta su You Tube e sulle pagine facebook una conferenza di presentazione del suo ultimo libro, Folklore e magia popolare del Veneto.
Per il momento, rimaniamo in area triveneta, con una notizia del “Gazzettino” del 20 marzo: a Cordovado (Pordenone), durante gli scavi per la posa di un metanodotto, sono emersi, a una profondità di 1,7 metri, i resti di un insediamento romano risalente al periodo tra il II e il IV secolo dopo Cristo, aspettiamo per saperne di più.
Ci spostiamo invece in Sardegna per riferire una notizia riportata da “Sardegna Live” del 21 marzo. Come probabilmente saprete, come io stesso vi ho raccontato più volte, “I giganti” di Mont’e Prama, le grandi statue i cui frammenti sono stati ritrovati nell’omonima necropoli nuragica, costituiscono il più antico esempio di statuaria di grandi dimensioni noto in Europa e verosimilmente nel mondo.
Da questo materiale, rinvenuto negli anni ’70 e rimasto a giacere imballato per mezzo secolo, nel 2014 gli archeologi hanno potuto ricostruire 44 statue, oggi conservate parte nel Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras, e parte al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, tuttavia si è lavorato su meno di 2000 frammenti degli oltre 5000 rinvenuti, per il solito problema, la mancanza di fondi, ora invece dopo nove anni, è al via il lavoro di ricostruzione sugli altri frammenti, finora conservati i 24 grandi casse.
E’ un concetto che vi ho spiegato più volte: il passato permane tutto intorno a noi, e basta scavare un poco per vederlo riemergere. Nello stesso tempo MSN.com riferisce che in Romania, a Draguseni, in un antico cimitero da poco scoperto, è stato ritrovato uno scheletro preistorico che avrebbe più di 3.000 anni. Adesso si sta studiano la sepoltura per trovare informazioni sulle usanze funerarie, la cultura, la società del tempo.
Giovedì 22 marzo, sempre MSN.com riprende da “Stylemania” un articolo sui druidi, i sacerdoti dell’antica religione celtica. L’articolo (corredato tra l’altro di immagini di una moderna cerimonia neo-druidica inglese) contiene diverse inesattezze, ad esempio non è vero che gli antichi druidi celebrassero gli equinozi e i solstizi – questa è un idea del druidismo moderno – ma le principali festività celtiche cadevano nei momenti intermedi di questi eventi astronomici. Tuttavia, direi che la cosa importante non è questa, ma il fatto che si ricominci a destare nel grosso pubblico un interesse per il nostro passato maggiore di quel che abbiamo visto finora.
Un’altra notizia passata per la stessa trafila, “Stylemania” poi ripresa da MSN.com, di nuovo dalla Romania: io credo di avervi già parlato della sepoltura del guerriero i cui resti sono stati ritrovati nella località romena di Mizil, bene, ora la ricchezza del corredo funebre che ha accompagnato il defunto nel suo ultimo viaggio, ha spinto i ricercatori a ipotizzare che potrebbe trattarsi nientemeno che della sepoltura di Attila, il leggendario re degli Unni, che non si sa dove sia stato seppellito.
Un articolo firmato Zeleb su “The Daily Digest” del 24 marzo ci annuncia “una scoperta che potrebbe cambiare tutto ciò che sappiamo sui vichinghi”. Naturalmente, si tratta di un’esagerazione, la notizia è quella di cui vi ho già parlato, della brattea (disco dorato) conservata al Museo di Copenhagen, risalente al V secolo, dove è stato trovato, inciso in caratteri runici, il nome di Odino, e che appunto, fa risalire (almeno) a tale epoca il culto di questa divinità, e per conseguenza, del pantheon norreno.
Sempre nella stessa giornata abbiamo una notizia riportata da “L’Avvenire” che riguarda il sito megalitico di Stonehenge, sembra proprio che le discussioni riguardanti il più celebre monumento preistorico, non debbano finire mai.
Ultimamente due ricercatori, un italiano e uno spagnolo, Giulio Magli. docente al Politecnico di Milano, e Juan Antonio Belmonte. dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e Universidad de La Laguna di Tenerife, hanno sottoposto il celebre sito archeologico inglese a una lunga serie di test per verificare dal punto di vista astronomico le famose correlazioni astronomiche con solstizi, equinozi ed eclissi che secondo molti caratterizzerebbero il monumento, e sembra non ne abbiano riscontrate di così precise come generalmente si suppone.
Caduta, a loro avviso, l’ipotesi astronomica rimane sempre quella del monumento come enorme cenotafio, come “macchina” per mettere i viventi in comunicazione con l’aldilà.
Oltre a parlare del passato, è giocoforza occuparci del rapporto che hanno con esso i nostri contemporanei, e allora è impossibile non menzionare una notizia riportata da RAI news venerdì 24 marzo: un’insegnante di storia dell’arte di Tallahassee in Florida è stata licenziata in tronco perché durante una lezione sul rinascimento ha mostrato agli allievi foto del David e degli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo. I nudi michelangioleschi sono stati giudicati “pornografia” dai genitori degli allievi che hanno ottenuto il licenziamento in tronco della docente.
E’ facile, a questo riguardo, menzionare l’estremo puritanesimo che continua ad affliggere certi strati della società statunitense, ma a mio parere c’è dell’altro, la “cultura” statunitense, ce l’ha spiegato ottimamente Sergio Gozzoli nel saggio L’incolmabile fossato (che tutti dovrebbero leggere, compresa una certa Giorgia), è una cultura “di risulta” formata dagli scarti di quella europea, e questa a cui assistiamo oggi, non è che un’ennesima manifestazione del Cancel Culture che non significa altro se non – letteralmente – cancellare la cultura, e, a mio parere, non è assolutamente un caso, e non occorre essere un genio per accorgersene, che questo avviene in preciso parallelo con l’affievolirsi negli USA della componente etnica di origine europea, ormai sommersa dai “colorati” un tempo minoranze.
E’ inutile farsi illusioni, soprattutto voi cari centrodestri che confondete l’atlantismo, il servilismo verso il dominatore americano con il patriottismo, più vi dimostrate europeisti e atlantisti, specialmente ora che siete al governo, più pesci in faccia siamo destinati a ricevere da parte di questi cosiddetti “amici” e “alleati” (in realtà padroni) che non perdono occasione per denigrarci e vantare la loro presunta superiorità.
Vediamo ora cosa ha da offrirci in questo periodo “Ancient Origins”. Un articolo del 20 marzo di Ashley Cowie ci segnala che in Francia, nella storica Reims, nella cui cattedrale venivano incoronati i re di Francia, sono stati individuati i resti di un vasto complesso monumentale romano da parte dei ricercatori dell’INRAP, al momento non si è in grado di stabilire se si trattasse di una grande villa patrizia o di un complesso termale.
Sempre il 20 marzo, un articolo di Martini Fisher ci parla di un episodio poco noto della storia greca. Come è noto, nel IV secolo avanti Cristo, il re Filippo di Macedonia sconfisse la lega delle città greche nella battaglia di Cheronea, imponendo la sua egemonia sulle recalcitranti polis. Ebbene, nel corso di questa battaglia, Filippo rimase impressionato dal valore dimostrato, in particolare dal “battaglione sacro” tebano, da decidere di erigere un monumento a ricordo di quegli sfortunati combattenti, il famoso e ancora oggi esistente leone di Cheronea. Questo era lo spirito del mondo ellenico, in cui si rendeva onore al nemico sconfitto, estremamente lontano da quello di oggi, dove la memoria dei vinti si ingiuria, si offende, si demonizza in ogni modo. Davanti al leone di Cheronea ci rendiamo conto in quale misura la mentalità yankee, quella stessa che considera Michelangelo pornografia, ha avvelenato l’animo dell’Europa.
Il 21 marzo, Ashley Cowie ci racconta un’altra vicenda davvero singolare: pare incredibile, ma l’ubicazione di una grotta spagnola con incisioni rupestri paleolitiche scoperta nel 1940, è andata poi letteralmente perduta. Ebbene, è precisamente quanto è successo con la grotta di Cova de Villa nei pressi di Tarragona in Catalogna, ora, i ricercatori dell’Istituto Catalano di Paleoecologia umana ed Evoluzione Sociale (IPHES) che l’hanno riscoperta, vi hanno trovato una parete di otto metri ricoperta da un centinaio di incisioni e pitture preistoriche.
Continua l’interesse di “Ancient Origins” per la mitologia. Un articolo di Micki Pistorius del 24 marzo ci porta a Rhamnous sulla costa orientale dell’Attica. In questa località sorgeva il santuario delle due dee Nemesis e Themis, le divinità che presiedevano al destino. In particolare Nemesis era la dea della giusta vendetta che, secondo l’antica concezione greca, colpiva inevitabilmente i malfattori.
Un articolo di Johanna Gillian sempre del 24 marzo ci parla del discorso tenuto da Alessandro Magno nella località babilonese di Opis, con il quale placò un ammutinamento delle truppe Non sappiamo se fu davvero, come dice l’autrice, “il più grande discorso della storia”, ma certo fu uno dei più efficaci.
Il 25 marzo un articolo di Robbie Mitchell ci parla degli Spartani, “i più feroci guerrieri della storia”, e certamente i combattenti più valorosi (pensiamo per tutti all’episodio delle Termopili), un “miracolo” permesso dal continuo addestramento e dalla severa disciplina.
Sempre il 25 marzo un articolo di Dhwty affronta un’annosa questione storica. Davvero l’imperatore Nerone fu responsabile dell’incendio di Roma del 64 dopo Cristo? I sospetti popolari sulla causa dell’incendio verosimilmente fortuito si indirizzarono subito verso i cristiani notoriamente ostili verso l’Urbe e l’impero, e dopo di esso, subirono una dura persecuzione. Una volta preso il potere, rivoltarono la frittata accusando Nerone, e la leggenda dura ancora oggi, ma è in aperto contrasto con le testimonianze storiche, in particolare quella di Tacito. Quando l’incendio scoppiò, Nerone non si trovava neppure in città, e appena ne ebbe notizia, accorse subito a organizzare i soccorsi.
Per non fare un articolo troppo chilometrico, stavolta ci fermiamo qui. Come avrete avuto modo di notare, nella stesura di questi articoli, seguo una prassi ormai consolidata: per prima cosa, le notizie che compaiono sui siti generalisti, poi “Ancient Origins”, che dei siti che si occupano del nostro passato (non solo archeologia, ma abbiamo visto ad esempio lo spazio dedicato alle tematiche mitologiche), poi svariati siti comunque di rilievo, “The Archaeology News Network”, “The Archaeology Magazine”, “ArcheoMedia” (quest’ultimo dedicato soprattutto all’archeologia italiana), eccetera. Bene, stavolta il discorso sugli “altri siti” lo rimando a una Eredità degli antenati di cui inizierò la stesura subito dopo questa. Il motivo lo potete facilmente intuire, dato lo spazio che la notizia che gli yankee hanno deciso di considerare Michelangelo come pornografia, ha occupato su tutti i media.
Più di una volta, sono solito ricordarvi che la finalità di questi articoli, ricordando la grandezza del nostro passato e l’antichità della nostra civiltà, è politica, riscoprire l’orgoglio di ciò che realmente siamo. Bene, stavolta credo che non ce ne sia davvero bisogno, non solo perché sono molto chiari il disprezzo e l’ostilità nei nostri confronti degli “amici” e “alleati” yankee, non solo verso Michelangelo, ma anche verso la nostra tradizione gastronomica. E poi ringraziamo “Ancient Origins” che ci ha messi di fronte al monumento di Cheronea, fatto erigere da Filippo II come omaggio al valore della legione tebana sconfitta. Questa era la nobiltà di un uomo ellenico. Oggi invece sono ottant’anni che si continuano a vilipendere e demonizzare i vinti, cosa che d’altronde è l’unico modo per dare ai vincitori una pseudo-legittimità. Ma stiano attenti: i ruoli di vincitore e vinto non sono fissati in eterno.
NOTA: Nell’illustrazione, il David di Michelangelo, questa, per gli yankee, è pornografia.
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