8 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centododicesima parte – Fabio Calabrese

Si tratta di un segnale di cui si potrebbero dare le più diverse interpretazioni, ma comunque il fatto c’è: mentre i siti specializzati in tematiche archeologiche sembrano aver ripreso alquanto a latitare, sembra, quanto meno agli inizi e nelle prime fasi del 2023, di trovare un inatteso interesse per il nostro passato in quelli di informazioni “generaliste”.

L’abbiamo visto la volta scorsa: dopo essersi concentrato a inizio d’anno sull’antichità romana, il 14 gennaio “MSN.com” ha puntato l’attenzione sui Vichinghi, sul fatto ormai accertato che questi navigatori nordici hanno raggiunto le coste del continente americano ben prima di Colombo.

Bene, l’interesse per il mondo nordico evidentemente continua, perché il 18 gennaio abbiamo la notizia ripresa da “La repubblica” on line, di quella che sembrerebbe essere la pietra runica più antica del mondo: si tratta di una lastra piatta di arenaria scoperta nell’autunno del 2021 durante uno scavo di una tomba vicino a Tyrifjord, a ovest di Oslo, datata tra l’1 e il 250 dopo Cristo, che presenta una serie di iscrizioni, non tutte delle quali sono state decifrate, e che sarà esposta al pubblico presso il Museo di Storia Culturale di Oslo a partire dal 21 gennaio.

Continuiamo a parlare di Vichinghi, perché il giorno successivo abbiamo un articolo ripreso da “Il giornale” (autore: Luigi Mascheroni) che ci racconta una storia davvero sorprendente. Se ve ne ricordate, io vi ho spiegato più volte la mia idea che, sebbene sia ormai innegabile che i Vichinghi abbiano raggiunto l’America prima di Colombo, nondimeno è il navigatore genovese che va considerato lo scopritore del Nuovo Mondo, perché fin allora la conoscenza del grande doppio continente oltre l’Atlantico non era entrata nel patrimonio delle conoscenze europee, ma era rimasta circoscritta a un gruppo degli stessi Vichinghi che non ne compresero verosimilmente l’importanza. Bene, ora devo ammettere che questa idea deve essere, almeno parzialmente rivista.

Mascheroni ci racconta che nel 1996 Paolo Chiesa, professore di Letteratura latina medievale e Filologia mediolatina all’Università Statale di Milano ha potuto visionare un manoscritto fin allora inedito, una Cronica universalis redatta da Galvano Fiamma (1283 – 1344), domenicano, cappellano di Giovanni Visconti e cronista. In essa si trova menzionata una terra della cui esistenza il Fiamma avrebbe saputo da fonti orali, probabilmente i marinai genovesi, posta a occidente della Groenlandia, ricca di alberi e animali, che costoro chiamavano Markalada.

Markalada pare essere una traslitterazione del norreno Markland, ossia “Terra dei boschi” (ma sappiamo che nelle lingue germaniche Mark ha anche il significato di confine, e in effetti le coste dell’America settentrionale sarebbero il confine più occidentale raggiunto dall’espansione vichinga).

Dopo i Romani e i Vichinghi, l’interesse si sposta sui Celti o, se vogliamo essere pignoli, sulle popolazioni pre-celtiche o proto-celtiche che hanno edificato i grandi complessi megalitici di Stonehenge e Newgrange.

Giovedì 19 un articolo ripreso da “Esquire” ci parla di Newgrange. Questa grande tomba neolitica che si trova in Irlanda nella valle del Boyne vicino a Slane e che fa parte del complesso archeologico noto come Bru Na Boyne, è l’edificio più antico al mondo giunto intatto fino a noi. Non è la più grande delle tombe a tumulo che si trovano nella valle del Boyne, ma è certamente la più bella. E’ sicuramente più antica di quasi un millennio delle piramidi egizie di Giza, e con ogni probabilità più antica di Stonehenge.

Proprio a Stonehenge è dedicato l’articolo successivo, sempre ripreso da “Esquire” e pubblicato sempre giovedì 19. L’autore del pezzo (non firmato) si chiede, ed è il titolo dell’articolo: Riusciremo mai a risolvere i misteri legati a Stonehenge? Quali sono i misteri che avvolgono questo antico e notissimo cromlech? (questo è tecnicamente il nome di queste costruzioni megalitiche di forma circolare). Innanzi tutto, chi lo ha costruito, sappiamo che da tempo esiste una vexata questio sul fatto se i costruttori di questo monumento e degli altri siti megalitici che costellano le Isole Britanniche fossero gli antenati dei Celti che conosciamo in età storica, oppure una popolazione neolitica preesistente che l’invasione celtica avrebbe sommerso. Poi lo scopo di questo monumento: religioso, funerario, astronomico (i famosi allineamenti con i solstizi), o un po’ le tre cose insieme. Infine, pare assodato che il monumento ha attraversato varie fasi di costruzione attraverso un lunghissimo arco di tempo. La sua edificazione sarebbe iniziata attorno al 3.100 avanti Cristo, ma sarebbe stata portata a termine soltanto nel 1.600 a. C., un millennio e mezzo più tardi. Come si può fare a sapere se la sua forma definitiva rispecchia il progetto originario dei costruttori?

Un articolo ripreso da Stylemania del 23 gennaio ci parla della scoperta della tomba di un guerriero unno che è stata ritrovata durante la costruzione di un’autostrada a Mizil nel sud-est della Romania, da essa sono emersi più di cento manufatti, tra cui armi, oggetti intarsiati d’oro, gioielli d’oro con incastonate pietre preziose. Si tratta certamente della sepoltura di un guerriero di altro rango.

Tutto ciò ha insinuato nella mente degli archeologi un dubbio. Che si tratti forse della sepoltura di Attila? Secondo quanto tradizionalmente si narra, il leggendario re degli Unni fu deposto in un sepolcro di cui si cancellò intenzionalmente l’ubicazione. La stessa cosa, si ricorderà, è avvenuta per le spoglie mortali di Alarico, di Gengis Khan, di diversi imperatori cinesi, dei faraoni egizi sepolti nella Valle dei Re. Questo avveniva non soltanto per scoraggiare i razziatori di tombe, ma per avvolgere la scomparsa del defunto, di solito un personaggio di rilievo, in un’aura di mistero e di sacralità.

Il 24 gennaio abbiamo una notizia ripresa da “La repubblica” on line. Tornano in Italia oltre 60 reperti archeologici trafugati illegalmente nel nostro Paese, esportati clandestinamente negli USA, qui venduti nel ricco “mercato nero” dei reperti, e infine intercettati dalla polizia statunitense. Il valore complessivo della “merce” recuperata supera i 20 milioni di dollari.

Si resta basiti nell’apprendere che tra i reperti che i tombaroli sono riusciti a trafugare, c’è addirittura un affresco pompeiano risalente al primo secolo dopo Cristo (cioè all’epoca dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei), l’Ercole fanciullo con serpente, e questo ci pone davvero la domanda su quante volte i tombaroli sono riusciti a precedere la ricerca ufficiale e a devastare il nostro patrimonio archeologico.

Passiamo ora a una notizia di tipo completamente diverso: Aurelio La Scala Marchesan ci comunica per il 3 febbraio, presso il “bar al campiello – non solo un bar” la “serata con l’autore” di presentazione del suo nuovo libro Figli del sole iperboreo. Come ci racconta lui stesso nel comunicato di presentazione dell’evento, questo libro è “Una raccolta di studi personali sulla terra mitica degli antichi europei, in chiave contro storica e fuori dagli schemi classici della narrazione ufficiale”.

Bravissimo Aurelio, di questi tempi, di voci controcorrente che si oppongano all’ortodossia che vogliono imporci con ogni mezzo, c’è proprio un gran bisogno.

Andiamo ora a vedere cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins”, e diciamolo pure, in contrasto con una certa penuria di informazioni che si poteva constatare nella prima parte del mese, abbiamo un bottino abbastanza ricco. Il 18 e il 19 gennaio, l’interesse sembra appuntarsi sulla presenza romana in Britannia, rispettivamente con un articolo di Ashley Cowie e uno di Sahir.

Il 18 gennaio Ashley Cowie ci parla dei Resti di strade romane e fortezze in Scozia. E’ un fatto non molto conosciuto, ma, prima di rinunciare a sottomettere i riottosi Pitti ed erigere il vallo di Adriano per difendere dalle loro incursioni la Britannia conquistata, i Romani si spinsero nella Scozia fino al fiume Tay a nord, sotto la guida del generale Agricola, lasciandovi le tracce dei loro accampamenti, e costruendo anche un sistema viario rimasto poi in efficienza fino al medioevo, e i cui resti sono visibili ancora oggi.

L’articolo di Sahir del 19 gennaio si occupa di quello che per gli archeologi è per il momento un interrogativo senza risposta: il nessglifo. Di che si tratta? E’ in sostanza un strano glifo che è stato ritrovato inciso su una lastra di arenaria rossa durante uno scavo nel sito di Nessclife Hill nello Shropshire. Sembrerebbe una figura umana molto stilizzata dalla testa cornuta. Dato che il sito, nell’epoca della conquista romana è stato sede di un accampamento militare, si suppone che la figura rappresentasse qualche divinità cornuta adorata dai legionari (forse Cerumno, venerato da legionari di origine gallica), ma non si escludono ipotesi diverse e origini più antiche, potrebbe trattarsi dell’immagine di una divinità locale, risalente forse all’Età del Bronzo.

Una tematica nella quale la ricerca del nostro passato e la mitologia si sfiorano, è quella delle isole fantasma, cioè quelle isole che sono state varie volte segnalate da navigatori o la cui esistenza era un tempo un’idea comunemente accettata, ma a cui le esplorazioni moderne e la cartografia attuale non hanno trovato riscontro. Alle isole fantasma è dedicato l’articolo di Robbie Mitchell del 23 gennaio. Mitchell ne menziona sette: Thule, le Cassiteridi, o Isole dello Stagno, il Monte Penglai o Horai (quest’ultimo appare nei resoconti dei navigatori cinesi e giapponesi), l’isola di San Brandano, Frisland, l’Isola della California (in questo caso, non si tratta di una terra inesistente, ma della penisola della Bassa California che all’inizio fu erroneamente identificata come un’isola), e Hi-Brasil.

Devo dire che di questo articolo ho apprezzato molto la conclusione di Mitchell: Queste isole leggendarie, frutto di errori di identificazione, solo l’espressione di un’epoca in cui i navigatori hanno dato un grande sviluppo all’istinto di andare oltre, di svelare l’ignoto, che è forse una delle più nobili passioni dell’essere umano. Oggi che il nostro mondo, grazie alle immagini satellitari è praticamente conosciuto in ogni anfratto, le cose sono diverse, ma fino a un certo punto: se la superficie terrestre non ci riserva più sorprese, ci sono gli abissi oceanici, e c’è soprattutto l’immensità dello spazio che continuano ad attrarre il nostro desiderio di andare sempre oltre, di superare i limiti.

Ancora Robbie Mitchell e sempre il 23 gennaio ci porta stavolta decisamente nella mitologia, nella mitologia norrena per la precisione, parlandoci delle saghe norrene e della più importante ed ampia di esse, la saga dei Volsungs, che racconta la storia dell’ascesa e della caduta di questo clan dai suoi più remoti antenati, fino a quello che ne è il rappresentante più significativo, l’eroe Sigurd che altri non sarebbe che Sigfrido. Questa saga pare adombrare una serie di reali avvenimenti storici, il più importante dei quali sarebbe stato la distruzione del regno dei Burgundi ad opera degli Unni.

Torniamo finalmente in Italia, perché il 24 gennaio abbiamo un articolo di Dhwty che si occupa di Venezia. Come è stata costruita in età altomedioevale la città lagunare? Molti presumono che i suoi edifici siano stati eretti su isolotti affioranti dalle acque della laguna, ma questo è vero solo per una piccola parte di essi, la maggior parte poggia su un grandioso e ingegnoso sistema di palafitte, e il guaio è che esso non potrà resistere indefinitamente nel tempo, i pali che ne costituiscono la base sprofondano lentamente nel fango che costituisce il fondo della laguna. E’ una triste realtà, questo nostro gioiello architettonico che attira visitatori da ogni parte del mondo, MOSE o no, è destinato ad andare perduto. Dhwty osserva che purtroppo Venezia, più che città galleggiante si dovrebbe definire città affondante.

Continuiamo a rimanere nel nostro Paese. Passando da “Ancient Origins” ad “ArcheoMedia”, possiamo vedere che, anche in assenza di scoperte eclatanti, e mancando quasi del tutto di un’importante copertura mediatica, la ricerca archeologica italiana è nondimeno molto attiva. Tra varie scoperte “minori”, si segnala (fonte: ANSA.it del 17 gennaio) quella di un finora sconosciuto sepolcreto di età etrusca in località Poggio Valli non distante da Castiglion della Pescaia (Grosseto) che pare inserirsi nel complesso della necropoli di Vetulonia.

Talvolta è il caso a dare una mano, ad esempio nella zona di Porto Cesareo, in località Torre Chianca (Lecce) una mareggiata ha portato allo scoperto un sepolcreto di età romana, con ogni verosimiglianza realizzato all’asciutto quando il livello del mare era più basso di oggi. Il Salento è ancora oggi una zona non sufficientemente esplorata dal punto di vista archeologico.

“The Archaeology Magazine” di gennaio/febbraio 2023 ci da la notizia del ritrovamento di una tomba etrusca contenente i resti cremati di due persone, ceramiche, oggetti in bronzo, rinvenuta a Podere Cannicci vicino al fiume Ombrone (Grosseto) nell’ambito della ricerca denominata IMPERO.

La cosa sorprendente e interessante, è che la sepoltura risale al II secolo avanti Cristo, in un’epoca cioè in cui la zona era dominio romano da circa un secolo, tuttavia da esse appare chiaro che gli abitanti della zona avessero fin allora mantenuto una fisionomia culturale etrusca.

Una notizia dell’ultima ora ci viene da “Roma Today” del 24 gennaio: pare sia stato individuato il primo miglio perduto della via Appia. In età antica, infatti, la “regina viarum” partiva da poco oltre le terme di Caracalla. Nello scavo che ha evidenziato il tracciato dell’antica via, sono stati inoltre ritrovati una testa di statua, una colonna con iscrizione beneaugurale, pedine da gioco e monete.

La notizia è stata poi riportata da “Il messaggero” del 25 gennaio in un ampio articolo di Laura Larcan.

Cercando di riunire tutto quanto in uno sguardo di sintesi, possiamo notare che forse mai come questa volta le novità riguardano tre realtà distinte: il mondo etrusco-romano, quello celtico, e quello norreno-germanico. E’ probabilmente una coincidenza che stavolta non sia emerso nulla riguardante la grecità, ma voi sapete bene che mi sono occupato spesso del mondo ellenico su queste pagine, se non altro per segnalarvi lo spazio veramente ampio che “Ancient Origins” ha dedicato alla mitologia greca.

Mondo ellenico, romano, celtico, germanico. Le radici, quelle autentiche, della civiltà europea sono là, non in una religione venuta dal Medio Oriente.

NOTA: Nell’illustrazione, una suggestiva immagine di Stonehenge, una foto probabilmente scattata durante un solstizio quando è possibile traguardare il sorgere del sole tra i monoliti, ripresa dal servizio su MNS.com/Esquire del 19 gennaio.

 

2 Comments

  • Nebel 22 Maggio 2023

    Le potrebbe interessare sicuramente la notizia di aprile scorso:

    Scoperte statue di 2.500 anni fa associabili alla misteriosa civiltà di Tartesso paragonata ad Atlantide

    Emblematiche le fattezze delle statue: lineamenti delicati, quasi rinascimentali….

  • Fabio Calabrese 23 Maggio 2023

    Caro Nebel: la ringrazio per la segnalazione, ne avevo comunque già preso nota e ne parlo in una delle prossime “Eredità degli antenati”. Il problema col quale sto combattendo è la distanza temporale fra il momento in cui compaiono le notizie e quello in cui riesco a parlarne. Proprio per accorciare questa distanza temporale, ultimamente sto pubblicando solo “Eredità degli antenati”.

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