7 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centoquarantaquattresima parte – Fabio Calabrese

La mia tabella di marcia mi avverte implacabile che questo articolo non troverà spazio sulle pagine di “Ereticamente” prima della fine di gennaio del nuovo anno. Si tratta dunque di una “coda” del 2023, e non sarà l’ultima.

Come avete visto, io ho dedicato i miei articoli nell’anno che ora va a spirare principalmente a L’eredità degli antenati per ridurre un divario temporale, una “forbice” che si era creata fra gli eventi di cui vi andavo narrando e il momento della pubblicazione, che era arrivata a sfiorare i cinque mesi, troppo anche per la vostra pazienza. Ora questo divario si è considerevolmente ridotto, ma non ancora abbastanza.

Tuttavia, come avete già avuto modo di vedere, ho ripreso ad alternare a L’eredità degli antenati articoli di altro genere per evitare di offrirvi un panorama troppo monotono, e perché cose da dire ce ne sono tante.

Il fatto è semplice: non esistono soluzioni perfette e ideali.

A complicare le cose, c’è anche il fatto che, come abbiamo visto la volta scorsa, nella prima metà di dicembre, “Ancient Origins” ci ha presentato una massa di articoli così imponente da rendere necessario rimandare l’esame di ciò che hanno da offrirci gli altri siti, per non creare un testo troppo chilometrico.

Vediamo adesso ciò che è stato necessario omettere la volta scorsa, ricominciamo da “Ancient Pages”, e comincerei con un passo indietro, un articolo che ho omesso di citare le volte scorse, ma a ben pensarci, mi sembra importante.

Si tratta di un articolo di Eddie Gonzales jr. del 16 novembre. Noi tendiamo a pensare che l’Europa nella preistoria, prima dell’arrivo degli esseri umani, a disotto delle zone glaciali, fosse interamente coperta da fitte foreste, ebbene, non era così, vi abbondavano le savane aperte o semiaperte, e aveva di conseguenza una serie di ecosistemi molto differenziati, ricchi di una grande varietà di specie animali, e questo è stato molto importante per i nostri più lontani antenati.

Un articolo di Ellen Lloyd del 5 dicembre ci racconta che in Svezia, al Museo di Göteborg è stato per la prima volta esposto al pubblico lo scheletro della donna di Österöd. Si tratta dei più antichi resti umani ritrovati in Svezia e fra i più antichi di tutta la Penisola scandinava, risalenti a 10.000 anni fa, ma che dire?, noi in Italia abbiamo reperti di epoca ben anteriore.

Come “Ancient Origins”, anche “Ancient Pages” da spazio alla mitologia, e il 13 dicembre abbiamo un articolo di A. Sutherland sulla fenice, il mitico uccello che rinascerebbe dalle proprie ceneri, divenuto simbolo di immortalità, ma almeno per noi latini è una storia troppo nota perché ci sia bisogno di raccontarla.

Passiamo a vedere cosa ci offrono in questo periodo i siti generalisti e la stampa periodica.

Cominciamo con un articolo di Giacomo Mascellani del 1 dicembre su “Il Resto del Carlino” che ci racconta che a Cesenatico sono visitabili i reperti rinvenuti durante i lavori di scavo della SNAM per la posa di una conduttura del gas. Lo scavo ha portato alla luce “I resti di un insediamento con tracce di unassidua frequentazione dal I secolo avanti Cristo fino al V secolo dopo Cristo, contraddistinto da una vasta area produttiva con fornaci, strutture, edifici, manufatti di vario tipo e una necropoli con 26 tombe, di cui una con uno scheletro di un uomo in ottimo stato di conservazione… Fra gli oggetti rinvenuti ci sono materiali da costruzione, mattoni, vasi in ceramica e oggetti presenti allinterno delle sepolture, monete e perline”. 

Noi spesso ci dimentichiamo di quale ricco passato abbiamo, si può dire che in Italia basta scavare da qualsiasi parte perché emerga qualcosa.

“Scienze notizie” del 3 dicembre riporta la notizia della scoperta, anch’essa casuale da parte di un gruppo di operai, a Tainiaro in Lapponia, Finlandia settentrionale, poco sotto il circolo polare artico, di un vasto cimitero preistorico, risalente a 6.500 anni fa, e contenente almeno 200 sepolture.

Una notizia che può aver sorpreso i ricercatori più ortodossi, ma non noi, sappiamo infatti che la presenza umana nell’artico è molto più antica di quanto ritenga la scienza ufficiale e che le dottrine tradizionali indicano le regioni boreali, in epoche in cui godevano di un clima decisamente migliore di quello attuale, come sede originaria dell’umanità, in opposizione alle teorie africano-centriche.

Probabilmente lo sapete, i siti megalitici non si trovano solo nelle Isole britanniche, ma un po’ in tutta Europa, prevalentemente concentrati lungo le coste atlantiche ma non ne mancano nemmeno in Italia. E’ di nuovo “Scienze notizie” del 5 dicembre a parlarci di uno dei siti megalitici più impressionanti d’Europa, il dolmen di Menga in Portogallo, risalente a 5.700 anni fa. Impressionante perché la sua erezione deve aver richiesto capacità ingegneristiche eccezionali. E’ infatti di dimensioni enormi, e la sola lastra di copertura pesa 150 tonnellate.

“Oltre le cento tonnellate”, è stato commentato, “non è più un masso da spostare, ma una collina”.

Non abbiamo ancora finito con il Portogallo. Il sito “La consapevolezza”, laconsapevolezza.wordpress.com del 6 dicembre riporta la notizia che la marina portoghese avrebbe individuato alle isole Azzorre, tra le isole di São Miguel e Terceira un’imponente piramide sommersa. Si suppone che essa dovesse trovarsi allo scoperto durante l’età glaciale, quando il livello dei mari era considerevolmente più basso di oggi. Si tratta forse dell’ennesima pagina strappata della nostra storia.

Sempre il 6 dicembre, “Il Messaggero” da notizia del convegno previsto per domenica 10 all’AMAT di Tenaglie (Terni) che ha per oggetto “Conoscenze acquisite, nuove indagini e prospettive future per una rilettura della necropoli umbro-etrusca del Vallone di San Lorenzo a Montecchio”, cioè i risultati degli scavi condotti nella necropoli nell’estate 2023.

Vi ho già parlato in riferimento all’articolo su “Ancient Origins” del panificio-prigione basato sul lavoro degli schiavi recentemente venuto alla luce a Pompei. Ne parla anche Laura Larcan in un articolo dell’8 dicembre su “Il Gazzettino”.

Passiamo a una notizia riportata da “StileArte” del 9 dicembre. Oggi è la cittadina turca di Eskihisar, nel distretto di Yatagan, nella provincia di Mugla, ma nell’antichità era la greca Stratonikeia nell’allora regione della Caria. Qui gli archeologi turchi hanno rinvenuto una statua femminile acefala di età ellenistica che dovrebbe far parte del gruppo delle Muse Danzanti dello scultore greco Filisco, di cui sono pervenute fino a noi numerose copie di età romana.

Dagli amici di “Ereticamente” ho avuto il consiglio di ignorare l’attività dei gruppi facebook, e non sto ora a rispiegarvene le ragioni, consiglio che io ho accettato con riserva, nel senso che sono disponibile a fare un’eccezione quando su uno di questi gruppi che pure toccano una fetta ristrettissima di pubblico, compare qualcosa che mi da l’occasione di approfondire un argomento di grande rilevanza o significato. Quando poi, come in questo caso, il gruppo di cui parliamo è “MANvantara” del nostro Michele Ruzzai, si può stare tranquilli.

Il 10 dicembre “MANvantara” ha riportato un breve filmato di una conferenza del filosofo, antropologo, tuttologo, Dio-sa-cos’altro Thelmo Pievani che dovrebbe essere una presentazione del suo libro Imperfezione, una storia naturale.

Pievani sostiene che “per fortuna” non esistono razze pure, che se andiamo ad esempio a esaminare il DNA europeo, troviamo tracce di commistioni antiche e recenti con popolazioni africane e mediorientali. Si tratta in poche parole del solito panegirico immigrazionista inteso ad anestetizzarci riguardo alla massiccia immigrazione clandestina e alla sostituzione etnica di cui siamo vittime.

È ovvio che su “MANvantara” Michele Ruzzai gli abbia già risposto per le rime, ma ora vorrei dire anche la mia al riguardo, anche approfittando del fatto che “Ereticamente” ha una cassa di risonanza molto maggiore rispetto a un gruppo facebook.

Per prima cosa, non si può non notare la sfacciataggine di questi corifei di regime, e Pievani non è certo il solo, che ci presentano una concezione così ortodossa da essere esattamente quello che il potere, un potere ovviamente malevolo nei nostri confronti vorrebbe che pensassimo in modo da trasformare la nostra eliminazione in un suicidio, come se fosse invece chissà che di rivoluzionario.

“Per fortuna”, tuttavia, un cervello in grado di pensare ce l’abbiamo ancora, e non è così difficile capire come stanno le cose.

Che un certo interscambio genetico tra i gruppi umani sia sempre avvenuto, questo è innegabile, come dimostra il fatto che tutti sono mutuamente interfecondi. Ma è una questione di proporzioni, di quantità come la differenza tra bere e annegare, o scaldarsi al fuoco ed essere bruciati sul rogo. Paragonare il sottile filo di scambio genetico avvenuto nelle epoche passate con la sostituzione etnica cui stiamo assistendo oggi, è come considerare la stessa cosa bere un bicchiere d’acqua e annegare o scaldarsi al fuoco ed essere arsi sul rogo.

La nostra morte come etnie attraverso la sostituzione etnica è precisamente il fine a cui tendono questi falsi anticonformisti che non sono altro che gli altoparlanti di un sistema che mira a cloroformizzarci per distruggerci, il cosiddetto “bene” uscito per disgrazia vincitore dalla seconda guerra mondiale.

Poiché siamo in argomento, sarà anche il caso di citare un articolo di Michele Ruzzai apparso sempre su “MANvantara” che è una recensione del libro Allalba dellUomo. Viaggio nelle origini della nostra specie di Nicholas Wade. Wade, come c’era da aspettarsi, aderisce in pieno alla tesi africano-centrica sulle nostre origini, ma un recensore attento e puntiglioso come Ruzzai sa essere, ha colto nel suo discorso diverse contraddizioni.

Ad esempio, cita Nina Jablonski, esperta di evoluzione della pigmentazione della cute umana, secondo la quale i nostri progenitori avevano una pelle chiara. Ma non basta, perché abbiamo ritrovamenti fossili di Homo sapiens risalenti a 50.000 anni fa, cioè all’epoca della supposta migrazione dall’Africa dei nostri antenati, sia in Australia sia in Siberia nel sito di Sapochnaia Charga. Quindi delle due l’una, o i nostri antenati si sono spostati a razzo in ogni parte del pianeta, oppure l’Out of Africa è una bufala.

Michele Ruzzai, che – ricordiamo – ha appena concluso su “Ereticamente” la serie di articoli Strade del nord, è una risorsa preziosa per il nostro ambiente umano. Si desidererebbe solo che i suoi interventi su “Ereticamente” fossero più frequenti.

L’11 dicembre “Il Mattino” riporta la notizia che la mostra “Gli dei ritornano”, allestita con i bronzi rinvenuti a San Casciano dei Bagni (Siena), dopo essere stata esposta a Roma, al Quirinale, sarà trasferita a Napoli presso il MANN (Museo Archeologico Nazionale Napoli) che sarà probabilmente la sua sede definitiva.

Ricordiamo che i bronzetti rinvenuti nel fango del fondo della piscina votiva del santuario di San Casciano dei Bagni, che documentano una sostanziale continuità fra la cultura etrusca e quella romana, rappresentano una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni.

Sempre il giorno 11 un comunicato ANSA ci informa che a Firenze, agli Uffizi sta per essere inaugurata la mostra “’Divina Simulacra. Capolavori di scultura classica della Galleria”, che comprende sculture classiche provenienti dalla collezione medicea, fra cui la celebre Venere dei Medici. La mostra sarà visitabile fino al 30 giugno 2024.

Il 12 dicembre un articolo di Roberto Canali su “Il Giorno” ci informa che proseguono le ricerche a Piuro (Sondrio) in quella che è stata definita “la Pompei delle Alpi” tuttavia, a quel che pare di capire, in questo caso non si tratta di reperti di età antica, ma medioevale e rinascimentale. La zona era un fondamentale punto di transito fra la Valle padana e l’area elvetica.

Sempre il 12 dicembre abbiamo anche un comunicato dell’agenzia ADN-Kronos sulla finora sconosciuta domus recentemente scoperta a Roma tra Foro Romano e Palatino, ma poiché ve ne ho già parlato la volta scorsa in riferimento all’articolo apparso al riguardo su “Ancient Origins”, ora non mi ci soffermo, non dimentichiamo però il fatto che le scoperte archeologiche che avvengono in questa nostra bistrattata Italia hanno spesso un’eco internazionale maggiore di quello che penseremmo.

“Il Resto del Carlino” del 16 dicembre ci informa che gli scavi del 2023, effettuati nel campo di San Pietro per i lavori di realizzazione della bretella di San Giovanni in Compito nella provincia di Forlì-Ravenna hanno portato alla scoperta di numerosi reperti del neolitico e dell’Età del Rame, datati a fra il 3.000 e il 4.000 avanti Cristo. È un peccato però che l’articolo non sia più dettagliato in proposito.

A volte ho il timore, soprattutto quando mi capita di stendere un articolo come questo, basato sulle notizie riportate da siti minori o da periodici, che esso si possa ridurre a un’arida elencazione di fatti archeologici da cui gli aspetti rilevanti per la nostra visione del mondo non emergono o stentano a emergere. Direi che, almeno per questa volta, il pericolo è ampiamente scongiurato.

Prima di tutto il ritrovamento di Tainiaro in Lapponia. È ovvio che dove c’è un cimitero, non distante da lì dovesse esserci una comunità di persone viventi, perché è difficile che si facciano miglia e miglia di strada per seppellire un defunto. Non è il primo indizio che troviamo del fatto che in età preistorica le regioni artiche dovevano essere ben altrimenti popolate di oggi, ricordiamo l’insediamento neolitico di Deltaterrassene all’estremità settentrionale della Groenlandia, una zona oggi del tutto inabitabile, e le tuttora misteriose e nulla affatto indagate piramidi della penisola di Kola, tutti elementi che vanno a suffragare una nostra remota origine boreale, in contrasto con le teorie africano-centriche correnti, e, guarda caso, in accordo, al riguardo, con la dottrina tradizionale.

Poi, voi sapete che su queste pagine vi ho parlato spesso di megaliti, e no a caso, si tratta di un argomento largamente censurato dai libri di storia, ma ci sono, e stanno a dimostrare l’antichità della civiltà europea rispetto all’Egitto e al Medio Oriente. Nel caso del dolmen portoghese di Menga non si tratta di “semplici” pietre erette (anche se per la verità nello spostare per chilometri e mettere in posa monoliti del peso di svariate tonnellate come quelli che costituiscono Stonehenge, non c’è nulla di semplice), ma di un’opera ingegneristicamente notevole che nulla ha da invidiare alle piramidi di Giza, e non parliamo della piramide sommersa appena scoperta alle Azzorre, un bello schiaffo in faccia ai sostenitori dell’ex oriente lux e di tutti quanti ci raccontano una versione immiserita della storia europea.

E’ quasi superfluo poi, ricordare l’ottimo lavoro del nostro Michele Ruzzai sia nello sbugiardare i panegirici immigrazionisti di Thelmo Pievani, sia nell’analizzare le contraddizioni in cui è caduto James Wade, e che una volta di più rendono l’Out of Africa sempre più difficile da credere.

Una battaglia politica che non può prescindere dalla conoscenza della storia che abbiamo alle spalle e di ciò che effettivamente siamo.

 

NOTA: Nell’illustrazione, il dolmen di Menga, Portogallo.

 

2 Comments

  • Roberto 7 Febbraio 2024

    Interessante, ma il dolmen menga è in Spagna , zona malaga.

  • Fabio Calabrese 16 Marzo 2024

    Signor Roberto, grazie della correzione, ma l’errore è di ”Scienze Notizie”, di cui mi sono fidato a riportare il testo. Nella prossima ”Eredità degli antenati”, ho inserito un errata corrige al riguardo. Grazie, invito tutti a segnalarmi sempre eventuali errori. Nessuno è perfetto, e tanto meno io.

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