Ricominciamo il nostro cammino sulle tracce dell’eredità degli antenati dalla metà di febbraio 2024.
Riprendiamo il nostro discorso da “Ancient Origins”. Oltre all’archeologia e alla ricostruzione di fatti propriamente storici, l’abbiamo visto più volte, “Ancient Origins” dedica spazio alla mitologia, quella greca soprattutto, ma anche quella nordica. Il 15 febbraio abbiamo un articolo di Aleksa Vučković su di un noto mito greco, quello della centauromachia. La storia è nota: intervenuti senza essere stati invitati al banchetto di nozze di Piritoo re dei Lapiti, una popolazione della Tessaglia, i centauri ubriachi scatenarono una rissa che si trasformò in battaglia, nella quale furono sterminati.
Per gli antichi Greci, questo mito, che non a caso troviamo oggetto di un gran numero di raffigurazioni artistiche, simboleggiava la capacità dell’uomo di opporsi al caos, alle forze primordiali rappresentate dalla figura semi-animale del centauro. Tuttavia i ricercatori moderni non escludono che il mito possa avere una base storica, sarebbe il ricordo delle prime popolazioni che avrebbero montato il cavallo invece di aggiogarlo a un carro come si è fatto per lungo tempo anche per gli usi bellici. Un osservatore ingenuo avrebbe potuto credere che cavallo e cavaliere fossero un essere unico. Non a caso, il mito è ambientato in Tessaglia terra “madre di cavalli”.
Un articolo di Nathan Falde del 20 febbraio ci parla di un ritrovamento molto particolare avvenuto in Spagna, nella località basca di Inellugi, già facente parte dell’antica Navarra, è stata rinvenuta una lamina di bronzo a forma di mano appiattita risalente al I secolo avanti Cristo che contiene un’iscrizione in alfabeto e lingua basca antichi. Si tratta di un documento molto importante, anche perché estremamente raro, per la conoscenza dei linguaggi parlati nel nostro continente prima della diffusione delle lingue indoeuropee. Io sono sicuro di avervene già parlato a suo tempo, comunque, melius abundare…
Il 23 febbraio abbiamo un articolo di Joseph Green su quello che è stato forse uno dei personaggi più notevoli della filosofia greca del periodo presocratico, Pitagora. Tutti noi conosciamo il teorema che porta il suo nome, ma che del resto era già noto agli antichi Babilonesi, e abbiamo quanto meno sentito parlare del vero e proprio culto dei numeri praticato dalla scuola pitagorica, ma forse non tutti sanno che questo culto presentava numerose analogie con i culti misterici come ad esempio l’orfismo, condividendo ad esempio la credenza nella reincarnazione, passata poi anche a Platone e all’accademia platonica, che Pitagora stesso vi era venerato come un dio, che vi erano prescrizioni etiche come astenersi dal consumo di carne per non arrecare violenza ad altri esseri viventi.
E’ forse il caso di rilevare che, come è stato fatto osservare più volte da più di qualcuno, che platonismo e pitagorismo insieme rappresentano l’autentico pensiero metafisico europeo in contrapposizione alle religioni abramitiche venute dall’Asia, compreso il cristianesimo, il cui carattere non europeo, nonostante i due millenni intercorsi, appare evidente.
Vediamo ora quel che è possibile trovare in questo periodo nei siti minori e nei medi generalisti.
Penso ricorderete che la volta scorsa ho dovuto mettere un errata corrige rispetto a quella struttura preistorica ingegneristicamente ed architettonicamente straordinaria che è il dolmen iberico di Menga, di cui la sola lastra di pietra che ne costituisce la volta, pesa 150 tonnellate. Ho dovuto prendere nota del fatto che esso non si trova in Portogallo come precedentemente annunciato, bensì in Spagna. In realtà l’errore non era stato mio, ma di “Scienze Notizie” da cui avevo desunto l’informazione, tuttavia, non avendola verificata, me ne sono assunto la responsabilità, è la dura legge del Menga.
Tuttavia, questo “incidente” mi ha almeno reso consapevole del fatto che il megalitismo iberico è un argomento che conosco abbastanza poco, e questo mi ha spinto a fare qualche ricerca.
Come sapete, o potete facilmente immaginare, questo è proprio il genere di cose di cui i siti ufficiali non ci dicono nulla, infatti, informazioni sul megalitismo europeo metterebbero in crisi l’idea che si fanno un dovere di instillarci a tutti i costi, che la civiltà, nata nella Mezzaluna Fertile mediorientale, sarebbe arrivata da oriente, lo strabismo orientale di cui vi ho parlato tante volte.
Qualcosa si trova però nei siti eterodossi snobbati dagli archeologi “seri”, e uno di essi, lo spagnolo “Misterios sin Resolver y Actividades Paranormales” proprio il 17 febbraio ha pubblicato un articolo su di un altro dolmen spagnolo, il dolmen di Soto in Andalusia che presenta parecchie somiglianze con quello di Menga, a cominciare dal fatto che si tratta di una struttura che eccede di parecchio quelle che supponiamo essere le conoscenze ingegneristiche e i mezzi del tempo.
Vi riporto uno stralcio dell’articolo.
“Dolmen de Soto (Andalusia, Spagna). Scoperto nel 1922, il Dolmen de Soto si trova nel comune di Trigueros (Huelva), Iberia.
Si tratta di uno dei monumenti megalitici più importanti e meglio conservati della penisola. La costruzione deve aver avuto luogo tra il Neolitico e l’età del Bronzo (cioè 3000-2500 a. C.).
Questo magnifico complesso megalitico è coperto da una grande collina di terra con un diametro di circa 60 metri ed è circondato da un cerchio di pietre di 65 metri.
All’interno del Dolmen de Soto c’è una sala e un corridoio di 21 metri realizzati con grandi lastre di varie pietre: granito, pietra o scisto”.
Possiamo poi proseguire con un comunicato ANSA del 19 febbraio, che in questo caso è piuttosto un articolo, e mai come questa volta è un peccato che non vengano firmati, o siano firmati con sigle piuttosto improbabili, in questo caso, Y25-GU.
A quanto esso riferisce, uno studio dell’Università di Bordeaux condotta su un vasto numero di reperti, monili, ciondoli, strumenti di età paleolitica risalenti a 30.000 anni fa, ha portato a identificare all’interno della cultura europea nota come gravettiana almeno nove gruppi culturali distinti, rendendoci un’immagine della preistoria europea ben più complessa di quel che tendiamo a pensare.
Parliamo ancora di preistoria, ma nettamente più vicina a noi, con l’articolo di Laura Larcan su “Il Messaggero” del 20 febbraio. In provincia di Salerno, nella zona dei Monti Alburni che sono di natura carsica, esiste un vasto complesso di grotte note come grotte di Pertosa-Auletta. Fra di esse ce n’è una particolarmente vasta percorsa da un fiume sotterraneo, che è conosciuta come l’Antro di Polifemo (anche se sappiamo che la tradizione non localizza la residenza del ciclope lì, ma in Sicilia). Bene, recentemente sono stati individuati nella grotta i resti di un villaggio palafitticolo risalente all’Età del Bronzo medio, circa 3.500 anni fa, cui il limo fluviale nel quale sono immersi ha garantito uno stato eccezionale di conservazione. Per gli antichi abitatori di questo sito, l’enorme grotta deve aver costituito una protezione, come una fortificazione naturale.
“Quotidiano.net” del 21 febbraio riporta la notizia dei lavori che si stanno facendo a Venezia per risistemare piazza San Marco, in particolare per restaurare i “masegni“, le pietre in trachite di cui è fatta la pavimentazione della piazza. Questi lavori hanno portato a una singolare scoperta. In epoca altomedioevale essa doveva avere un aspetto ben diverso da quello di oggi, era infatti un cimitero. Sono stati rinvenuti tre scheletri e il teschio di un bambino.
È in qualche modo analoga la notizia che ci viene da Firenze riportata da “Il Messaggero” del 22 febbraio. Qui i lavori per la costruzione del Viola Park della Fiorentina hanno portato alla scoperta di un vasto sepolcreto di ben 170 tombe, ma le sepolture scoperte sono molto più antiche di quelle veneziane, risalgono infatti alla civiltà villanoviana, che ha preceduto quella degli Etruschi. Non c’è che dire, l’Italia è terra di antichissima civiltà e dove è vissuta ed è morta moltissima gente per molto tempo.
Sempre il 22 febbraio abbiamo un nuovo comunicato ANSA, che stavolta viene dall’ANSA di Trieste. Nel greto del fiume Torre, nella zona di San Vito al Torre in provincia di Udine, è stato rinvenuto, e liberato dalla ghiaia del greto un monumento funerario della prima età imperiale romana. Non si tratta di una semplice lapide, ma di un’urna del peso di 6,26 tonnellate. Il ritrovamento ha indotto i ricercatori a scavare la ghiaia del greto a caccia di altri reperti, e sono saltati fuori:
“Un’urna funeraria in pietra senza coperchio, due basi in calcare, alcuni mattoni e pezzi di tegole e un volto maschile in calcare”.
Noto con piacere che la mia regione sta diventando un luogo di scoperte archeologiche sempre più interessanti. A parte quelle che avvengono periodicamente ad Aquileia, la scoperta che il colle del castello di Udine è in realtà un mound, una collina artificiale, il recentissimo ritrovamento di un disco di pietra riportante una mappa stellare nel castelliere di Rupinpiccolo, e adesso questi ritrovamenti di San Vito al Torre.
Ancora il 22 un comunicato ANSA ci porta nella preistoria profonda. Gli archeologi tedeschi dell’Università di Tubinga hanno riesaminato la collezione di reperti paleolitici neanderthaliani rinvenuti negli anni ’60 dello scorso secolo a Le Moustier in Francia risalenti a un arco temporale fra 120 e 40 mila anni fa (sono stati questi ultimi a dare il nome al musteriano, la cultura materiale più tipica degli uomini di Neanderthal). I ricercatori hanno scoperto tracce dell’uso del bitume per far aderire le punte di pietra ai manici degli attrezzi e alle aste delle lance, ma attenzione, hanno scoperto anche che il bitume veniva mescolato con ocra, per evitare che fosse troppo adesivo e non restasse incollato alle mani. Tutto ciò rivela abilità cognitive notevoli, senz’altro superiori a quelle che sono attribuite di solito a questi nostri antichi parenti (non solo cugini, ma anche antenati, come le ricerche di paleogenetica hanno dimostrato).
Io veramente non so cosa abbia di speciale questa giornata del 22 febbraio che del resto presenta una concentrazione davvero notevole di eventi, ma sicuramente non è il caso di mancare di segnalarne uno indubbiamente “nostro”. Sempre in questo giorno, il nostro Luca Valentini, eccellente direttore del gruppo “Pagine filosofali” ha tenuto in diretta sui canali Youtube, Facebook e Telegram, una conversazione con Andrea Anselmo e Alberto Brandi sul tema “Mitra – Varuna. Georges Dumezil e la sovranità indoeuropea”.
Per contrasto, a parte l’articolo dedicato a Pitagora di “Ancient Origins”, il giorno 23 appare quasi vuoto. L’unica cosa da segnalare è l’articolo di Giorgio Agnisola su “L’Avvenire” riguardante la mostra pompeiana “L’altra Pompei, vite comuni all’ombra del Vesuvio” della quale vi ho già parlato e su cui ora non torno.
Adesso parliamo di una di quelle cose che di solito evito come la peste, infatti il sito “Egitto misterioso” in data 26 febbraio ha riportato qualcosa che va proprio in senso contrario allo strabismo mediorientale e all’egittomania, parlandoci di quelle civiltà europee più antiche di tutto ciò che si trova in Egitto e in Medio Oriente, e che di solito costoro bellamente ignorano, la civiltà di Varna. Si tratta, per la verità, di un capitolo del libro di Carlos Alberto Bisceglia Homo reloaded, ma vale la pena di riportarne uno stralcio:
“Fino a non molto tempo fa, la scienza si era convinta che gli uomini che vivevano in Europa circa 7.000 anni fa erano poco più che dei cavernicoli, che vivevano in capanne. Ora sappiamo che non potevamo essere più lontani dalla realtà. È solo da alcuni decenni che, infatti, in maniera del tutto casuale, venne scoperta una necropoli a Varna, una cittadina portuale e balneare bulgara sul Mar Nero, che conta oggi circa 330.000 abitanti. In quella zona sono state ritrovate circa 294 tombe, risalenti ad almeno 6.600 anni fa. Vale a dire che queste tombe sono almeno 1.400 anni più antiche della datazione comunemente affibbiata alle piramidi di Giza. È difatti la più antica necropoli d’Europa”.
Noi sappiamo da tempo che Roma è in pratica un grande museo a cielo aperto, e che basta scavare in un qualsiasi punto della capitale, perché saltino fuori nuove scoperte archeologiche, e l’ultima notizia di fine febbraio da questo punto di vista non fa proprio eccezione. La troviamo riportata in un comunicato AGI.com del 27 febbraio, poi da “Idealista.it” e da Italpress entrambe del 29.
Nell’area che va da piazza Argentina a Palazzo Venezia sorgeva l’antico Campo Marzio cuore della Roma repubblicana. Qui si trova il palazzo Lares Permarini, chiamato Lares perché adiacente a un antico tempio dedicato ai Lari o alle Ninfe. Recenti lavori di ristrutturazione allo scopo di trasformare il palazzo in un albergo a cinque stelle, hanno portato al ritrovamento di una parte dell’antico quadriportico di età repubblicana noto come Porticus Minucia, una scoperta che aiuterà a comprendere la planimetria della città nei due secoli a cavallo della nascita di Cristo.
Sempre il 29, un altro comunicato Italpress ci porta in Sicilia. Ad Agrigento, sorretto da una struttura in acciaio di 12 metri, è stato nuovamente eretto dopo essere stato riassemblato nei vari pezzi che lo compongono, un telamone, cioè una statua alta 8 metri che era una diquelle che fungevano da colonne per sorreggere l’architrave del tempio di Zeus Olimpio, l’Olimpeion nella Valle dei Templi (i telamoni sono l’equivalente con sembianze maschili delle cariatidi).
L’inaugurazione del monumento restaurato è avvenuta alla presenza del presidente della regione Sicilia Schifani. Tuttavia, sembra che questo restauro, giudicato da molti troppo invasivo, stia scatenando una ridda di polemiche.
Cosa è emerso questa volta di rilevante dal nostro punto di vista? Io direi soprattutto il fatto che, contrariamente alle semplificazioni progressiste, dovremmo avere maggiore considerazione e rispetto per i nostri antenati. Lo testimoniano l’abilità dei nostri predecessori neanderthaliani nella fabbricazione di strumenti e nell’uso di materiali, la complessità della cultura gravettiana di 30.000 anni fa, già articolata in un’ampia serie di sottogruppi, e soprattutto le imponenti strutture megalitiche iberiche di Menga e di Soto, che rappresentano una sfida ingegneristica che anche oggi, con i mezzi moderni che abbiamo a disposizione, avremmo parecchie difficoltà a raccogliere.
NOTA: Nell’illustrazione, veduta aerea del sito spagnolo di Inellugi, dove è stata rinvenuta la lamina di bronzo a forma di mano contenente l’iscrizione in antica lingua basca.