Non abbiamo ancora finito con il 2022. A fronte di un’estate piuttosto scarsa, abbiamo avuto in autunno e in inverno un’esplosione di notizie riguardanti l’eredità degli antenati, a cominciare da quella del ritrovamento dei bronzetti nella piscina votiva di San Casciano dei Bagni (Siena), che è stata accostata per importanza a quello dei bronzi di Riace.
Come avete visto, nell’intento di portarmi nell’anno nuovo meno “code” possibile di quello trascorso, a partire dalla metà di novembre ho dedicato interamente a L’eredità degli antenati il mio spazio settimanale su “Ereticamente”, eppure non è bastato. Anche e voi leggerete questo articolo presumibilmente in febbraio, nel momento in cui lo sto stendendo non è ancora passata la seconda decade di novembre. Cosa ci riserverà il futuro nel quasi mese e mezzo che ci separa dalla conclusione dell’anno, non è ovviamente dato di sapere.
Cominciamo parlando di Felice Vinci, l’autore di Omero nel Baltico, che in questo periodo ci ha comunicato di aver pubblicato assieme ad Arduino Maiuri un articolo in lingua inglese sulla rivista greca “Athens Journal of Mediterranean Studies” che ha per oggetto una nuova interpretazione dell’Odissea omerica. Il titolo, ve lo traduco, è: L’Ulisse protagonista dell’Odissea è lo stesso personaggio dell’Iliade?
Se ci pensiamo bene, la storia narrata nell’Odissea è un vero e proprio giallo, un “cold case” che Vinci e Maiuri si accingono a risolvere a quasi tre millenni di distanza. Così come è raccontata nel poema, la vicenda appare assurda: Ulisse ricompare ad Itaca vent’anni dopo la sua partenza per la guerra di Troia, ben dopo che tutti gli altri capi spedizione che hanno partecipato all’impresa hanno fatto ritorno, e la cosa è giustificata attraverso il racconto di una serie di vicende inverosimili che paiono un concentrato di tutte le storie fantasiose inventate dai marinai, con l’aiuto di Telemaco stermina i Proci pretendenti alla mano di Penelope, e a questo punto, invece di godersi il regno e la casa riconquistati, svanisce di nuovo nel nulla. Ma l’Ulisse dell’Odissea era davvero lo stesso Ulisse dell’Iliade?
Ci sono diverse cose che non tornano: ad esempio l’Ulisse dell’Odissea è un ottimo arciere, come dimostra la prova della freccia scagliata col grande arco attraverso gli anelli, ma l’abilità nel tiro con l’arco non è una delle qualità che l’Iliade attribuisce a Ulisse.
La spiegazione del mistero per Vinci e Maiuri è questa: Telemaco che era in fasce al momento della partenza di Ulisse per la guerra, vent’anni dopo è ormai un uomo fatto, sarebbe arrivato per lui il momento di assumere il regno di Itaca, ma non dimentichiamo che siamo in un’epoca arcaica in cui il potere si trasmette per via matrilineare. Se un pretendente sposasse Penelope, sarebbe quest’ultimo il nuovo re, ed egli rimarrebbe escluso dalla successione, ecco quindi il piano: trovare qualcuno che si spacci per Ulisse, probabilmente morto nella guerra di Troia, assieme al quale sterminare i Proci, quindi assumere il regno dopo averlo fatto sparire alla chetichella. Questo qualcuno, l’Ulisse dell’Odissea, Vinci e Maiuri lo individuano nella figura di Filottete, che nell’Iliade compare come il miglior arciere dell’esercito acheo. Un’interpretazione certo ardita, ma che dà un senso a una vicenda altrimenti inesplicabile.
Vediamo ora cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins”, e tanto per cominciare, vediamo che continua la rassegna sulla mitologia greca di cui vi ho parlato nei numeri scorsi. Il 10 novembre abbiamo un articolo di Dhwty dedicato a Pegaso, il mitico cavallo alato che sarebbe nato dal sangue di Medusa decapitata da Perseo, il 15 novembre invece Riley Winters si occupa di Selene, la dea greca della luna. Nel suo insieme, questa serie di articoli sulla mitologia greca sta assumendo una completezza davvero ammirevole, ma, come vi ho già spiegato, noi non possiamo non lamentarci del fatto che il mondo romano è posto in ben scarso rilievo. Ricordiamo che “Ancient Origins” ha citato la leggenda di Romolo e Remo come parte della mitologia greca, quando invece si tratta del mito fondante della romanità, e che in un articolo sulla rinascita del paganesimo ha menzionato la nascita di comunità gentili elleniche, celtiche, germaniche, slave, vichinghe, tutte meno che la comunità gentile romana in Italia, cosa sulla quale penso l’Associazione Pietas e il nostro amico Giuseppe Barbera avrebbero parecchio da ridire.
Tuttavia, non mancano gli articoli propriamente archeologici. Ad esempio il 15 novembre Ashley Cowie ci dà la notizia che è stata decifrata l’iscrizione incisa su una misteriosa mano di bronzo rinvenuta nel 2021 nei resti di una fortificazione dell’Età del Ferro a Inelugi a sud di Pamplona in Spagna, risalente a 2.100 anni fa. Si tratterebbe di un’iscrizione in lingua basca, ed è la più antica al mondo conosciuta.
Il 17 novembre un articolo di Robbie Mitchell ci parla di uno dei capolavori della statuaria etrusca, il sarcofago degli sposi, rinvenuto nella Tomba dei Rilievi nella necropoli della Banditaccia a Cere e oggi conservato al Museo Nazionale Etrusco di Roma, sarcofago che raffigura una coppia di sposi sdraiati su un triclinio. Al di là dell’aspetto propriamente artistico, si deve notare, spiega Mitchell, che esso ci fa notare una condizione di parità fra l’uomo e la donna, cosa che avveniva nella società etrusca, ma era assai rara fra le altre culture del tempo.
Il 18 novembre Sahir ci aggiorna sui nuovi scavi compiuti nell’acropoli di Falasarna (o Phalasarna) all’estremità occidentale dell’isola di Creta (Grecia), dove sono stati ritrovati i resti di un tempio dedicato a Demetra risalente a un periodo fra l’800 e il 480 avanti Cristo. Scavi che avrebbero fruttato un’abbondanza di nuovi reperti:
“Una miriade di figurine femminili di argilla, divinità in trono, teste con copricapi simili alla dea Demetra, vasi d’acqua in miniatura e portatori d’acqua femminili, tutti tipici dei santuari di Demetra”.
In questi tempi, come sapete, si parla molto di Ucraina, soprattutto in relazione a eventi politici e bellici che nessuno di noi avrebbe voluto vedere. Ebbene, parrà strano, ma il 19 novembre un articolo di Ashley Cowie ci parla di una singolare scoperta archeologica avvenuta non solo in territorio ucraino, ma proprio nel centro di Kiev. Qui infatti tra le fondamenta di un’abitazione demolita, si è scoperto l’accesso a una serie di grotte le cui pareti sono coperte da misteriose iscrizioni che gli archeologi hanno per il momento definito “geroglifici”, ma che sembrano risalire all’epoca dei Variaghi, tra il IX e il XIII secolo.
Facciamo ora un salto nella preistoria più remota sulla scorta di un articolo di Sahir del 15 settembre. Archeologi israeliani avrebbero individuato nel sito Gesher Benot Ya’aqov nel nord di Israele tracce di cottura del pesce risalenti a 780.000 anni fa. Sahir parla di ominidi, ma al riguardo permettetemi di essere scettico: creature in grado di controllare il fuoco e di usarlo per cucinare non possono essere che uomini a tutti gli effetti, e faccio notare che questa scoperta indebolisce ulteriormente la “teoria” dell’Out of Africa, che non presuppone solo un’origine africana ma anche recente della nostra specie (da un minimo di 50.000 a un massimo di 200.000 anni), una “cronologia corta” che ha precisamente lo scopo di non darle il tempo di differenziarsi in razze, la negazione della cui esistenza è precisamente lo scopo (ideologico e non scientifico) dell’Out of Africa.
Vediamo ora cosa ci offre di nuovo in questo periodo “The Archaeology News Network”, e non può non colpire, sempre in tema di preistoria remota, un articolo del 31 ottobre che cita come fonte il CENIEH (Centro Nacional de Investigaciòn sobre la Evoluciòn Humana) di Madrid.
Lo studio dei ricercatori (si tratta di un team franco-spagnolo) si è concentrato sui resti umani risalenti al pleistocene medio rinvenuti nel sito di Biache-Saint Vaas nel nord-est della Francia, e in particolare sulle dentature. È emerso che i denti degli uomini dell’epoca presentano chiare affinità sia con quelli di Atapuerca (Spagna), più vicini al sapiens moderno, sia con quelli di Mountmarin (Francia) e Visogliano (Italia) più vicini all’uomo di Neanderthal. Si trattava, dunque, di una popolazione mista.
Questo conferma una volta di più quanto ho ripetutamente sostenuto al riguardo: se i sapiens moderni si sono ripetutamente accoppiati con gli uomini di Neanderthal dando luogo a una discendenza fertile, questo significa che questi ultimi appartenevano alla nostra stessa specie, ma allora, che senso ha voler sostenere che essa sia “uscita dall’Africa” poche decine di migliaia di anni fa, quando già popolava l’Eurasia da centinaia di migliaia di anni? Nessuno, a parte quello di voler sostenere ad ogni costo un dogma creato per motivi ideologici e non scientifici.
Rimaniamo per il momento in quella che si potrebbe definire la preistoria profonda, per segnalare, sempre su “The Archaeology News Network” un articolo molto interessante. Noi abbiamo la pretesa di essere padroni del nostro destino, come individui e come specie. In particolare, si ritiene che con la comparsa di Homo sapiens sia apparsa una specie che non ha la necessità di adattarsi all’ambiente, perché capace di adattare l’ambiente a sé stessa e alle proprie necessità. Bene, una recente ricerca dell’Università di Adelaide, di cui ci parla l’articolo di “The Archaeology News Network” del 1 novembre (fonte: Università di Adelaide) ci dimostra che ciò è meno vero di quanto pensiamo.
Gli antropologi australiani hanno concentrato il loro studio sul DNA antico degli Europei, da 40-45.000 anni fa fino all’epoca storica, partendo dal presupposto che se questo fosse vero, le mutazioni “moderne” più vantaggiose in termini ambientali, non essendo favorite da una pressione selettiva, avrebbero impiegato molto tempo a diffondersi fra le popolazioni. Si è invece visto che questo non è vero, e che esse hanno avuto un tasso di diffusione piuttosto rapido.
Indirettamente, questa ricerca ha anche il merito di mettere in luce il fatto che l’Europa e non l’Africa, ha avuto un ruolo cruciale nella comparsa e nello sviluppo di Homo sapiens così come lo conosciamo. A questo riguardo, vale forse la pena di menzionare il fatto che proprio in questo periodo un gruppo FB ha rimesso in circolazione un vecchio articolo già apparso su “Saturnia Tellus” nel 2016, che però ora, come suol dirsi, “capita a fagiolo”.
In esso, si racconta che un team di ricercatori dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo guidato dal paleontologo Vladimir V. Pilutko ha ritrovato nella località di Sopochnaia Karga nella Siberia artica, a 72 gradi nord, le carcasse di un mammut e di un lupo che presentano ferite inferte da armi da punta e da taglio, e l’analisi al radiocarbonio ha permesso di datare i loro resti a 45.000 anni fa. Prove inequivocabili della presenza umana non distante dal polo artico in piena età glaciale, e questa è una chiara conferma del fatto, più volte prospettato, che all’epoca, mentre l’Europa centrale era stretta dalla morsa dei ghiacci, le regioni polari, oggi di fatto inabitabili, godevano di un clima compatibile con la presenza umana. Questo rafforza ovviamente la prospettiva di chi vede per la nostra specie un’origine non africana, ma boreale.
Tutto questo non ci deve stupire: noi sappiamo che i ricercatori russi sono liberi di lasciar parlare i fatti, mentre quelli americani ed europei occidentali sono costretti a piegarsi alla tirannia democratica del “politicamente corretto”, e in essa l’Out of Africa ha il valore di un dogma indiscutibile, non in base a evidenze scientifiche ma all’esigenza ideologica di “antirazzismo”.
Se non altro, in questo periodo, l’archeologia europea sembra essersi rimessa in moto, difatti “The Archaeology Magazine” ci dà la notizia di una necropoli di età romana risalente al primo e secondo secolo dopo Cristo rinvenuta nel sud della Spagna, dove sarebbero state individuate 24 cremazioni e 30 sepolture, accompagnate da un discreto corredo di oggetti.
Tuttavia, dopo la scoperta dei bronzetti di San Casciano dei Bagni, sembra che sia proprio l’Italia ad essere al centro di un rinnovato interesse archeologico. Infatti, sempre “The Archaeology Magazine” ci informa che Mariachiara Franceschini dell’Università di Friburgo e Paul P. Pasieka dell’Università di Magonza avrebbero individuato nell’area dell’antica città etrusca di Vulci mediante l’impiego del georadar, a ovest del Tempio Grande, un altro tempio delle stesse dimensioni, ossia 150 piedi di lunghezza per 115 piedi di larghezza. Un primo scavo parziale del sito ha permesso di datarlo alla fine del VI secolo o all’inizio del V secolo avanti Cristo.
Non basta. Come ricorderete, ve ne ho già parlato altre volte, uno dei misteri più intriganti dell’archeologia italiana è la presenza di mura ciclopiche molto antiche in svariate località del centro e del sud della nostra Penisola. Ebbene, un articolo di “ArcheoMedia” del 15 novembre ci informa che a Manduria (Taranto) nel corso di uno scavo sono state trovate rovine di mura ciclopiche finora sconosciute. E’ stato rinvenuto anche uno scheletro che pare coevo alle mura stesse. Si spera che l’analisi al carbonio 14 permetterà di stabilire l’epoca in cui visse l’individuo a cui apparteneva, e per conseguenza l’età delle mura stesse che almeno per il momento si ipotizzano erette dall’antico popolo dei Messapi.
Chiuderei questo articolo con alcune considerazioni: nonostante gli sforzi per “chiudere” il 2022 entro l’anno corrente, questo articolo apparirà sulle pagine di “Ereticamente” con ogni probabilità, a febbraio 2023, e probabilmente non è ancora l’ultima “coda” dell’anno, non sappiamo cosa ci riserveranno la decina di giorni di novembre e tutto il mese di dicembre che ancora rimangono.
Tuttavia, questa è una situazione da non considerare troppo svantaggiosa, infatti sappiamo che il flusso di nuove informazioni sulla nostra eredità ancestrale non può avere, per ovvi motivi, la stessa regolarità degli eventi sportivi, della politica spicciola o del gossip, e a un periodo intenso come questo autunno-inverno, potrebbe benissimo succedere un periodo di stanca e di vuoto.
Noi in ogni caso siamo qui, finché ci sarà possibile, a rendere conto dell’antichità e della grandezza del nostro passato.
NOTA: Nell’illustrazione: Ulisse (o forse è Filottete) che stermina i Proci. Non mi è stato possibile trovare la fonte di questa immagine, ma ritengo si tratti di un’illustrazione moderna fatta a imitazione della pittura vascolare greca.
6 Comments