Riprendiamo il nostro cammino di ricerca della nostra eredità ancestrale passata la metà di febbraio 2023. Notiamo subito una cosa: che l’interesse per il nostro passato da parte di siti generalisti che si era manifestato nelle ultime fasi dello scorso anno e in gennaio, sembra essersi di colpo molto affievolito.
In realtà, non c’è da stupirsene, questa improvvisa vampata di interesse era legata a ritrovamenti eccezionali, come i bronzetti emersi dal fango della vasca votiva di San Casciano dei Bagni (Siena), e i reperti ritrovati a Roma a seguito degli scavi per la linea C della metropolitana, fra cui ricordiamo una statua di Ercole e un’immagine dorata della dea Roma incisa sul frammento di una coppa di vetro, e soprattutto – io penso – dalla vicinanza temporale, quasi coincidenza fra queste due scoperte.
Non c’è nemmeno da rammaricarsene più di tanto: l’interesse e la passione per il passato, di più, la consapevolezza che noi stessi siamo il prodotto di una lunga storia, è destinata a essere una passione “di nicchia”, ma forse sarebbe meglio dire “di élite”.
A malapena si può forse menzionare il fatto che il canale televisivo “Focus” (canale 35) ha annunciato per lunedì 20 e lunedì 27 febbraio le due parti di un servizio sui Celti. Dalle anticipazioni, pare di capire che il servizio lega la fortuna e l’espansione di questo antico popolo o gruppo di popoli all’estrazione e al commercio del sale, infatti la più antica cultura celtica conosciuta, quella di Hallstatt (Austria) era dedita proprio a tale attività, ma a mio parere occorre non dimenticare che i Celti erano anche feroci e temuti guerrieri, come dimostrano ad esempio l’espugnazione e il saccheggio di Roma compiuti dai Galli di Brenno.
Un altro riferimento di un qualche interesse, forse un’eco degli articoli su Roma che sono seguiti ai ritrovamenti a seguito dello scavo per la metropolitana, è un articolo del 10 febbraio (non firmato) apparso su FunWeek che parla della colonna di Marco Aurelio che si trova nell’omonima piazza Colonna. La colonna che segue il modello di quella fatta edificare da Traiano, ha una particolarità: è cava all’interno e vi si trova una lunga serie di gradini (203 per l’esattezza) che permettono di salire fino alla sua sommità. L’interno della colonna era un tempo visitabile dal pubblico, ma da quando si scoprì che il custode chiedeva un obolo a chi volesse visitarlo, fu chiuso.
Sono sempre restio a menzionare eventi interni al nostro gruppo, sia per non creare doppioni, sia per il fatto che eventuali malintesi (chi si illude che Fabio Calabrese non possa sbagliare?) potrebbero creare frizioni fra di noi, ma in questo caso non è proprio possibile ignorare la cosa: Luca Valentini, nostro eccellente amico e collaboratore, nonché amministratore del gruppo FB “Pagine filosofali”, domenica 12 febbraio sui canali Facebook, Youtube e Telegram ha presentato una conversazione su un tema che ci sta molto a cuore, la Sopravvivenza e continuità delle religioni tradizionali in Occidente. È un fatto innegabile che ciò che si suole chiamare paganesimo, è sopravvissuto a lungo in Europa sotto il velo della cristianizzazione, e quando hanno cominciato a perdersene le tracce, è iniziato il fenomeno della secolarizzazione o laicizzazione, al punto che si può dubitare che l’Europa sia o sia mai stata veramente cristiana.
Dopo Luca Valentini, parliamo di un altro nostro eccellente amico: Aurelio La Scala Marchesan, anche presente su FB con il nom de plume di Auro Wild. Il 14 febbraio, Aurelio ha postato sul sito “Hyperborea veneta” (hyperboreaveneta.wordpress.com) il lungo articolo Iperborea, la patria dei primi europei, dei Veneti, dei Celti, degli Sciti, degli Arii e della civiltà vedica e avestica, articolo che è una sintesi del contenuto del suo recente libro Figli del sole iperboreo.
La tesi del libro e dell’articolo, molto sinteticamente, e come è facile intuire, è questa: l’esistenza di una primordiale civiltà iperborea, nordica alla base di tutte le successive civiltà europee dell’antichità, una tesi che si pone nettamente in controtendenza rispetto alla vulgata ufficiale oggi prevalente che vorrebbe collocare le nostre origini in Africa e in Medio Oriente.
Forse sarà un caso, ma quasi in contemporanea il nostro amico Michele Ruzzai ha riproposto sul suo gruppo FB “MANvantara” l’articolo, già postato nel 2016 Origini iperboree: breve nota sulle fonti antiche (che poi tanto breve non è), e Gianfranco Drioli (autore, ricordiamolo, del libro Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta) ha inviato ai suoi corrispondenti, fra cui ovviamente il sottoscritto, un articolo apparso nel 2019 sulla rivista spagnola “La vanguardia, historia y vida” un articolo sul mistero della nave vichinga di Oseberg.
Ma le cose non finiscono qui, perché il 20 febbraio Drioli ha fatto pervenire ai suoi corrispondenti, fra cui ovviamente il sottoscritto, un testo di circa 200 pagine in PDF che occorrerà leggere e analizzare con calma: Atlantide, Iperborea e Thule di Marco Enrico De Graya, che è un’ampia carrellata su cosa ci dicono le fonti riguardo a questi temi, farsi da Omero fino ad arrivare all’età moderna.
E vediamo come, una volta di più, il tema iperboreo in questo periodo sembra emergere potentemente.
Luca Valentini, Aurelio La Scala Marchesan, Michele Ruzzai, Gianfranco Drioli: quattro amici, quattro sodali che nel loro insieme, sia pure in modi diversi, costituiscono qualcosa di estremamente prezioso, senza i quali la battaglia culturale che sto cercando di condurre sulle pagine di “Ereticamente” potrebbe sembrare una vox clamantis in deserto.
Visto che siamo in argomento, sarà forse il caso di menzionare un post non recentissimo apparso su un sito che di solito non seguo, “Egitto misterioso” (lungi da me voler incentivare l’egittomania), che però in questo caso si è occupato di qualcosa di molto distante dalla terra del Nilo: i Guanci, l’antico popolo delle Canarie scoperto e portato all’estinzione dagli Spagnoli 700 anni fa.
Il fatto importante è che i Guanci, come ricorda il post, erano “di pelle bianchissima, occhi celesti e capelli rossicci”, perché erano fra le popolazioni europee, la più simile agli uomini di Cro Magnon, i primi uomini “anatomicamente moderni”, e costituiscono quindi, per il fatto stesso di essere esistiti, una prova nettamente in contrario alla presunta origine africana della nostra specie, il dogma che la “scienza” ufficiale ci vuole a tutti i costi rifilare.
Il 15 febbraio, il sito CroniStoria (cronistoria.altervista.org) presenta un ampio articolo di Germana Orabona dedicato ai lupercalia, antico rito di purificazione romano, che si celebrava appunto il 15 febbraio, e dava corpo a una tradizione risalente ai tempi più arcaici della romanità, esso era gestito da due collegi sacerdotali i cui membri appartenevano alle gentes dei Quintilii e dei Fabii, poi all’epoca di Cesare se ne aggiunse un terzo formato dalla gens degli Iulii, che rendeva onore al Lupercale, la grotta alle pendici del Palatino dove il pastore Faustolo avrebbe trovato i gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa.
Prima di passare ad esaminare cosa hanno da dirci sul nostro passato i siti di archeologia “ufficiali” (in particolare, come vedremo “Ancient Origins” e “The Archaeology Magazine”, c’è una considerazione che vorrei premettere: il 17 febbraio cade l’anniversario del brutale assassinio (che non si può definire in nessun altro modo) di Giordano Bruno da parte dell’inquisizione cattolica in quella che fu un’orrenda parodia di giustizia.
“La colpa”, “l’eresia” di Giordano Bruno fu soprattutto quella di sostenere che l’universo non poteva limitarsi al sistema solare ma doveva essere infinito. Inutile dire che la scienza moderna gli ha dato ampiamente ragione, se non è infinito, l’universo è perlomeno immenso. Ma anche se fosse, perseguitare qualcuno per aver espresso un’opinione quale che sia, è sempre un deprecabile atto di chiusura mentale.
Scorrendo il web in questi giorni, si vede che molti hanno ricordato il sacrificio di Giordano Bruno, ma c’è anche qualcuno, di evidente ispirazione cattolica, che ha cercato di giustificare l’inquisizione attribuendogli colpe immaginarie. Costoro hanno perso una splendida occasione per tacere. È una vecchia tecnica di disinformazione, quella di cercare di scambiare i ruoli di carnefici e vittime.
Ma quello di Giordano Bruno non è stato certo un caso isolato. Farsi dall’assassinio di Ipazia, passando per le campagne carolinge contro i Sassoni colpevoli di non volersi convertire, per quelle dell’Ordine Teutonico contro gli Slavi, la crociata contro gli Albigesi, per arrivare ai roghi degli eretici e delle presunte streghe, vediamo che la storia della dottrina del Discorso della Montagna, quella che oggi cerca di presentarsi come la quintessenza della bontà e della mitezza, è una lunga storia di orrori.
Vediamo cosa ha da offrirci in questo periodo “Ancient Origins”. Abbiamo visto le volte scorse l’ampio spazio che questo sito ha dedicato alle mitologie greca e norrena, ma pare che il discorso non sia finito qui, infatti il 15 febbraio abbiamo un articolo di Ashley Cowie che ci parla delle divinità liminali. Di che si tratta? Si può notare ancora oggi che all’incrocio tra le vie principali di quasi ogni villaggio europeo troviamo una statua, una fontana, una chiesa. Questa radicata disposizione riflette una concezione molto antica, secondo la quale gli incroci sarebbero luoghi nei quali la divisione tra il mondo fisico e quello spirituale diventa più sottile, qui dunque si erigevano statue o monumenti alle divinità preposte al limes, al confine fra i due mondi.
Certamente avrete sentito nominare l’espressione panem et circenses, ma pochi sanno che essa è del poeta Giovenale che la coniò per disapprovare la politica di Cesare per ingraziarsi le masse romane, con distribuzioni di grano e spettacoli nel circo. Tuttavia, la demagogia e la corruzione, come non sono cose nate oggi, probabilmente non lo erano neppure allora, ma esistono da quando l’umanità ha creato società organizzate. Ce lo ricorda Scott Williams in un articolo del 13 febbraio.
Il 18 febbraio ci spostiamo in Norvegia, dove un articolo di Sahir ci presenta Vistegutten. Chi è (o meglio era)? Un ragazzo di età mesolitica vissuto 8.300 anni fa e morto in età adolescenziale (attorno ai 15 anni), i cui resti furono trovati nel 1907 in una grotta vicino a Rasberg, ed è uno degli scheletri completi più antichi mai trovati in Norvegia. Oggi, grazie all’uso dell’Intelligenza Artificiale, assistiamo a una ricostruzione del suo volto, anche se non è la sola persona vissuta in età remote che “riprende vita” in questo modo.
Vediamo ora cosa ci offre in questo periodo “The Archaeology Magazine”, prescindendo, ovviamente, dalle notizie che abbiamo già trovato su “Ancient Origins”.
Abbiamo la segnalazione di uno scheletro vecchio di 3.000 anni ritrovato in Romania. I resti sono stati ritrovati in un tumulo dell’Età del Bronzo attribuito alla cultura proto-indoeuropea Yamnaya. Il corpo era stato disposto in posizione fetale, e sulla testa e le gambe sono state trovate tracce di ocra rossa. Secondo Adela Kovacs dei Museo di Botosani, sia l’ocra rossa che ricorda il sangue, sia la posizione fetale del defunto sarebbero parte di un rituale di rinascita, di un cammino da percorrere per rientrare nella vita.
Parliamo poi, sebbene mi sembri di averne già accennato le volte scorse, della nuova tecnologia LIDAR che promette di rivoluzionare la ricerca archeologica, perché permette di vedere cosa c’è al disotto della copertura arborea delle zone boscose senza abbattere nemmeno un albero (e sappiamo quanto spesso la natura si è ripresa, tornando a coprirli di un manto boschivo, spazi che l’uomo aveva fatto propri).
Un’indagine LIDAR condotta da ricercatori dell’University College di Londra e dell’Università di Santiago de Compostela, ha rivelato sotto la copertura arborea di una collina boscosa spagnola nota come Castro Valente, i resti di una fortificazione altomedioevale risalente con ogni probabilità ai Visigoti. La struttura, datata al V secolo dopo Cristo, doveva essere alquanto imponente, aveva 30 torri, occupava circa 25 acri, ed era circondata da un muro difensivo.
A volte mi è capitato di aver voglia di interrompere questa serie di articoli, soprattutto quando vi era assai poco da registrare oltre ai dati dell’archeologia ufficiale, e la connessione con la nostra visione del mondo diventava poco visibile. Ebbene, forse mai come questa volta posso dire che le cose non stanno così, infatti, sia un caso o qualcos’altro, come si può vedere, mai come questa volta è capitato di dare spazio al mito iperboreo (è quasi superfluo ricordare che in questo caso il concetto di mito va inteso in senso platonico di paradigma esplicativo, e non di narrazione fittizia), è evidente come esso sia in totale contrasto con la narrazione che ci si vuole imporre “ufficialmente” sulle nostre origini, africano-centrica (e mediorientale riguardo alle origini della civiltà), in un’ottica di auto-sottostima da parte di noi europei che ha lo scopo nemmeno tanto nascosto di favorire la sostituzione etnica. Per questo, appunto, il mito iperboreo, cercare le nostre origini “a nord” invece che nella direzione opposta che cercano di imporci, ha una precisa valenza politica.
Su queste pagine, ma anche nel libro Ma davvero veniamo dall’Africa, vi ho ripetutamente illustrato “i buchi” e le contraddizioni dell’ipotesi africana sulle nostre origini, ma oltre a ciò, bisogna ricordare che esistono elementi a sostegno della concezione iperborea che la “scienza” ufficiale non si degna di prendere in considerazione: le misteriose piramidi che sorgono nella russa penisola di Kola vicino al lago Sadeosero, e l’insediamento preistorico di Deltaterrasserne nell’estremità settentrionale della Groenlandia, un’area dove oggi la vita umana, senza attrezzature ad alta tecnologia, è di fatto impossibile.
Ma questo non è un semplice confronto di opinioni, questa è una battaglia politica.
NOTA: Nell’illustrazione: i menhir di Kensaleyre sull’isola scozzese di Skye, immagine che correda l’articolo Iperborea, la patria dei primi europei di Aurelio La Sala Marchesan pubblicato sul sito “Hyperborea veneta”.
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