8 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centosedicesima parte – Fabio Calabrese

Ricominciamo il nostro cammino dalla fine di febbraio, giusto in tempo per assistere a una recrudescenza dell’inverno.

Cominciamo con il dire che giovedì 23 MSN.com ha ripreso da Star Insider un articoletto sulla famosa specie – ora però declassata a popolazione – fantasma africana. È una scoperta che compare a tratti, per poi ricadere nell’oblio. Nel genoma delle popolazioni subsahariane sarebbe presente fino al 19% di DNA non sapiens. Se ne era già parlato nel 2019 quando la (ri)scoperta era stata fatta dai ricercatori dell’Università di Buffalo, ma in realtà era stata già fatta del 2011 dalla genetista Sarah Tishkoff.

Quello che MSN.com e Star Insider evitano di dire, è che questa scoperta costituisce una fortissima indicazione contro l’Out of Africa. Infatti, come hanno osservato a suo tempo i ricercatori dell’Università di Buffalo, se veramente Homo sapiens fosse davvero originario dell’Africa, noi dovremmo trovare tracce sia pure minime del DNA di questa “specie” o “popolazione” non sapiens anche nelle popolazioni non africane, invece questo è accertato che non succede. Al contrario, sono stati sapiens provenienti dall’Eurasia, che in Africa si sono incrociati con questi “fantasmi”.

Sospetto (chi pensa male fa peccato, ma di solito indovina) che ora la cosa sia ripresentata senza questa importante precisazione per produrre nei lettori meno smaliziati un’impressione esattamente contraria e andare a rafforzare lo stupidario africano-centrico.

Restringiamo il discorso su quel segmento dell’umanità che possiamo definire come caucasico o indoeuropeo. Quanto meno riguardo a esso, l’origine nordica non sembra poter essere messa in dubbio. Del nostro Gianfranco Drioli vi ho riparlato con una certa ampiezza la volta scorsa, e non poteva essere altrimenti, visto che – casualmente – ne è uscito un articolo prevalentemente incentrato sulla tematica iperborea, sembra avere un feeling particolare con il mondo iberico e latinoamericano. Il 23 febbraio ha inviato ai suoi corrispondenti un articolo-recensione del libro di Jesùs Sebastiàn-Lorente Los Vikingos de la Edad del Bronce. Origen y etnogénesis de los pueblos indoeuropeos de la Europa (I vichinghi dell’Età del Bronzo, origine ed etnogenesi dei popoli indoeuropei dell’Europa) (Editrice EAS, 2022), articolo che, a firma di Fernando José Vaquero Oroquieta è apparso l’11 febbraio sul giornale “La Tribuna del Paìs Vasco”.

Nell’articolo-recensione-intervista si spiega che l’accostamento fra gli Indoeuropei dell’Età del Bronzo e i Vichinghi della tarda Età del Ferro non va inteso come una semplice metafora. Come questi ultimi, il nucleo originario delle popolazioni indoeuropee, formatosi nel settentrione del nostro continente era composto da abili guerrieri e conquistatori che si sono espansi verso sud sottomettendo le popolazioni meridionali. Piaccia o no, la storia è stata sempre fatta dalla forza delle armi, non dai bei discorsi.

Come se tanto non bastasse, il libro è impreziosito da un’introduzione di Alain De Benoist.

Il 27 febbraio “Star Insider” pubblica e MSN.com riprende un articolo sui Fatti storici che sembrano troppo assurdi per essere veri. La maggior parte delle cose che contiene non rientrano nel nostro campo d’interesse, ma uno vale la pena di essere menzionato. I mammut sono vissuti fino a tempi molto più recenti di quanto non si pensi, pare che gli ultimi si siano estinti attorno al 1650 avanti Cristo, quando le piramidi di Giza esistevano già da un millennio (e questo l’articolo non lo dice, ma Newgrange, Stonehenge, Gosek, i grandi complessi megalitici europei da ancora prima), la causa della loro scomparsa non furono i cambiamenti climatici della fine dell’età glaciale, ma la caccia da parte dell’uomo.

Perché è importante questo? Perché per poter ospitare questi grandi animali, le condizioni climatiche e di vita delle latitudini boreali dovevano essere nel passato molto diverse da quelle di oggi, e questo riapre un discorso molto importante, non esclusa la possibile origine boreale della nostra specie.

Una cosa di cui vi ho già parlato, sono i ritrovamenti nella grotta Mandrin nel sud della Francia, che testimoniano la presenza dell’Homo sapiens sapiens in Europa già 54.000 anni fa, anche se sembra che uomini “anatomicamente moderni” e neanderthaliani vi abbiano convissuto. Bene, il 27 febbraio abbiamo un comunicato ANSA che ci informa del ritrovamento in questa grotta di alcune punte di freccia, il che retrodata l’invenzione di arco e frecce a quest’epoca remota.

Subito dopo, il comunicato aggiunge che i sapiens moderni sarebbero venuti dall’Africa, inutile dire che non vi è alcuna prova in tal senso e si tratta della solita esercitazione di conformismo ideologico.

Il 28 MSN.com presenta un articolo ripreso da Stylemania su Stonehenge. In realtà non aggiunge nulla di nuovo a quanto sapevamo già da un pezzo sul più iconico monumento preistorico delle Isole Britanniche, ma è importante il fatto che la comparsa di questi testi su siti generalisti documenta quello che sembrerebbe essere un crescente interesse del grosso pubblico verso la tematica delle origini, ce ne sarebbe bisogno!

Una cosa che penso voi capiate, è che tenere questa serie di articoli che ormai credo si possa considerare una rubrica fissa sulle pagine di “Ereticamente”, è un lavoro meno facile di quel che potrebbe sembrare a prima vista, in particolare è impegnativo riuscire a tenere d’occhio tutto quanto appare sul web.

Un sito che ultimamente ho un po’ troppo trascurato, è “Il fatto storico”. Andando ora a esaminarlo, si trovano, come è ovvio, notizie di cui vi ho già parlato riguardo ad altri siti, come quella – e ci mancherebbe – dei bronzetti rinvenuti nella vasca votiva di San Casciano dei Bagni, che è stata probabilmente la più importante scoperta archeologica del 2022, ma anche cose non reperibili altrove.

Fra queste – e mi devo veramente cospargere il capo di cenere – un paio di notizie che risalgono alla scorsa estate. Un articolo dello scorso giugno riferisce degli scavi effettuati presso le terme stabiane di Pompei che hanno portato alla luce i resti di una ricca domus, che è stata chiamata domus della tartaruga, a causa del rinvenimento del carapace di una testuggine marina. Sono riemersi alla luce “un prezioso mosaico, una maschera di terracotta, due frammenti di muro affrescato e addirittura l’offerta di fondazione”.

A luglio abbiamo invece un articolo che ci parla della fondazione greca di Selinunte, con una panoramica dei templi che sono arrivati fino a noi, e i risultati degli scavi più recenti:

L’ultimo scavo a Selinunte ha portato alla luce le più antiche fondazioni della polis greca. Sono dei muri d’argilla e cenere edificati quando i greci di Megara Iblea vi si installarono verso la metà del VII secolo a.C. «Per tecnica e condizione stratigrafica, sono le più antiche strutture nel grande santuario urbano e di Selinunte», spiega l’archeologo Clemente Marconi. «I muri vennero edificati sul terreno vergine e poi abbattuti per fare spazio alla costruzione del tempio R».”.

Negli scavi è emersa anche una statuetta d’avorio raffigurante una sirena (o forse un’arpia). Nella loro forma più antica, queste creature mitologiche non erano rappresentate come donne-pesce, ma come donne-uccello, ed è appunto così che è raffigurata questa sirena.

Per fortuna, riguardo all’articolo successivo, non è passato così tanto tempo, infatti risale a gennaio. Questa volta ci spostiamo in Grecia: Vicino a Samikon, sulla costa occidentale del Peloponneso, nella piana sottostante a una collina che ospita un’antica fortezza, sono state rinvenute le fondamenta di una struttura larga 9,4 metri e con pareti dello spessore di O,8 metri. Si pensa che potrebbe trattarsi dei resti del tempio di Poseidone, di cui ci parla il geografo Strabone.

Un altro sito che merita di tenere d’occhio è “Ancient Pages”. Il 21 gennaio un articolo firmato A. Sutherland ci parla della Dwarfie Stane, una singolare sepoltura risalente a 5.000 anni fa che si trova nell’isola di Hoy in Scozia. L’aspetto singolare è che non è scavata nel terreno, è infatti una “cappella”, un grande blocco di roccia all’interno del quale qualcuno sia pure con gli inadeguati strumenti dell’epoca neolitica, con enorme impegno ed enorme pazienza, ha scavato una camera sepolcrale.

Un articolo di Ellen Lloyd del 27 febbraio ci porta invece nell’area vichinga, ci parla infatti di una saga, da noi senz’altro poco conosciuta, quella di Orvar-Oddr, che presenta interessanti punti di contatto con il poema Beowulf.

Il 28, un altro articolo di A. Sutherland ci porta a Timgad in nord Africa, esattamente in Algeria, qui, per volere di Traiano fu edificata la più grande colonia romana dell’Africa settentrionale, un complesso di rovine imponenti che oggi gli archeologi stanno riportando alla luce.

Vediamo ora cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins”. Abbiamo visto le volte precedenti che questo sito ha dedicato grande spazio sia alla mitologia greca sia a quella norrena. Stavolta, a quanto pare, andiamo ancora più in là, infatti un articolo di Riley Winters del 25 febbraio è dedicato a una figura centrale sia della mitologia, sia del folclore slavo: Baba Yaga. Si tratta di una figura ambigua, o meglio polivalente, che può assumere di volta in volta sia il ruolo di protettiva dea madre, sia quello di strega malvagia, rapitrice di bambini e cannibale.

Sempre il 25 febbraio un articolo di Johanna Gillian ci parla di un monumento megalitico che in effetti è uno dei più noti della preistoria europea, il gigantesco allineamento di megaliti di Carnac in Bretagna, ne prendiamo nota, ma si tratta di un monumento talmente conosciuto, e del quale io stesso vi ho parlato più volte su queste pagine, che non è il caso di soffermarsi oltre.

Il 26 febbraio un articolo di Sahir ci dà la notizia del rinvenimento nel permafrost siberiano della carcassa congelata di un orso bruno risalente a 3.500 anni fa. Lo abbiamo visto altre volte, ma è il caso di riparlarne: il progressivo scioglimento del permafrost siberiano dovuto all’innalzamento delle temperature, sta portando alla luce un gran numero di carcasse di grandi animali risalenti a epoche remote, il che è un chiaro indizio del fatto che in epoche lontane, quella che oggi è una delle aree più inospitali del nostro pianeta, dovesse godere di un clima ben più favorevole.

Sempre il 26 febbraio un articolo di Lex Leigh ci parla di vichinghi: noi ci immaginiamo perlopiù questi antichi guerrieri come feroci predoni e razziatori. Quello che ignoriamo, è che le loro imprese erano regolate da un vero e proprio codice d’onore (un po’ come il Bushido dei samurai), il codice Drengr. Del codice Drengr non ci è giunta una diretta testimonianza scritta, ma lo conosciamo attraverso le allusioni a esso contenute nelle saghe vichinghe del XIII e XIV secolo. Esso prescriveva come doveri imprescindibili l’onore, il coraggio ma anche la generosità, in particolare l’ospitalità era un dovere cui non ci si poteva sottrarre.

Sempre il 26 febbraio e sempre Lex Leigh ci parla di quella che si può dire sia stata la prima arma di distruzione di massa inventata nella storia umana, il fuoco greco, una potente miscela incendiaria comparsa nell’impero bizantino nel VII secolo, attribuita all’ingegnere bizantino Kallinikos, si rivelò cruciale nelle battaglie navali, e fu determinante nel consentire a Bisanzio di respingere l’assalto dell’impero califfale islamico. Non si conosce la composizione precisa del fuoco greco, ma si suppone che fosse una mistura di zolfo, petrolio e calce viva, che veniva sparsa tramite quelli che possiamo considerare rudimentali (ma efficienti) lanciafiamme.

Torniamo in casa nostra e vediamo cosa ci ha da offrire a questo riguardo “ArcheoMedia”. Voi certamente ricorderete che non molto tempo fa vi ho parlato dell’apertura al pubblico della domus di Tito Macro ad Aquileia (Udine), ebbene, adesso il Friuli-Venezia Giulia torna ancora più potentemente sulla scena. Il 27 febbraio “ArcheoMedia”, riprendendo un articolo già apparso il 25 su “StileArte” ci segnala che scavi per lavori pubblici nel comune di Rivignano – Teor hanno riportato alla luce una necropoli romana probabilmente di età tardo – imperiale, ma non basta, perché il 1 marzo un comunicato del Museo Archeologico di Cividale del Friuli ci segnala che a cura dello stesso, il 28 marzo si terrà il convegno “Intorno al XII secolo”, e a Udine la Società Friulana di Archeologia organizza per l’8 marzo il convegno “Archeologia in rosa, la donna protagonista nello scorrere dei secoli”, che sarà disponibile anche on line.

Se dunque in questo momento il Friuli-Venezia Giulia sembra avere un ruolo da protagonista nell’archeologia italiana, bisogna però ammettere che all’altra estremità dell’Italia non si dorme.

Troviamo del pari, infatti l’annuncio di un convegno internazionale di studi su “Il Mediterraneo e il megalitismo nel III e II millennio avanti Cristo” che si terrà in Sicilia, precisamente a Palermo, a Villa Riso ai Colli dal 27 al 30 settembre.

Se ricordate, avevo concluso la centoquindicesima parte che (circostanza fortuita?) è venuta a essere particolarmente “Iperborea”, osservando che la tematica delle origini è tornata a essere più che mai terreno di uno scontro politico, da una parte chi vuole imporci una visione africano-centrica nell’intento nemmeno tanto velato di creare un clima favorevole all’invasione-immigrazione con cui oggi dobbiamo fare i conti, dall’altra i sostenitori, appunto di una visione iperborea o nordica di chi, al contrario, rivendica le nostre radici europee. Se vedete bene, oggi ci muoviamo sulla stessa linea, è presente la stessa dicotomia: da una parte c’è chi, come gli estensori del comunicato ANSA del 27 febbraio, che approfitta dei ritrovamenti nella grotta Mandrin per ribadire surrettiziamente la tesi dell’origine africana (che è poi la versione ufficiale), e chi, all’opposto, come Jesùs Sebastiàn-Lorente col suo libro sui Vichinghi dell’Età del Bronzo che ha l’autorevole introduzione di Alain De Benoist, rivendica le nostre origini europee e nordiche.

Si tratta di una battaglia culturale e politica. Bene, noi non abbiamo nessuna paura di combattere.

 

NOTA: Nell’illustrazione: A sinistra il libro di Jesùs Sebastiàn-Lorente sui Vichinghi dell’età del bronzo, al centro la “sirena” (donna-uccello, non donna-pesce) rinvenuta a Selinunte, a destra spade vichinghe conservate al museo di Bergen (Norvegia), immagine che correda l’articolo di Lex Leigh del 26 febbraio sul codice Drengr su “Ancient Origins”.

 

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