7 Aprile 2025
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centosessantasettesima parte – Fabio Calabrese

Io adesso non sto a ripetervi i motivi per i quali ho deciso di apportare a questa serie di articoli un cambiamento sostanziale, oltre a diradare la frequenza con la quale essi compaiono nello spazio settimanale che “Ereticamente” mi mette a disposizione. Come avete visto la volta scorsa, ho cessato di prendere nota di tutte le novità che compaiono sui siti di archeologia a partire da ottobre 2024, di interrompere cioè un lavoro che si è rivelato faticoso e dispersivo nell’esatta misura in cui, come vi ho detto, ha perso di significato perché l’operazione di “colorizzazione” e falsificazione della nostra storia ancestrale pare essersi acquietata, almeno per il momento.

In attesa degli eventi e per non perdere del tutto il filo del nostro discorso, lo riprenderò servendomi come traccia dei post che compaiono su di un gruppo facebook.

Vedo già gli amici di “Ereticamente” scambiarsi occhiate sgomente, poiché è esattamente quello che mi hanno raccomandato più volte di non fare, dal momento che questi gruppi che il più delle volte si rivolgono a un pubblico scheletrico, in passato si sono dimostrati litigiosi all’eccesso e per nulla grati della cassa di risonanza loro offerta da “Ereticamente”, ma niente paura, il gruppo facebook a cui farò riferimento sarà soltanto “MANvantara” del nostro Michele Ruzzai, e di cui sono anche co-amministratore, che di certo non dà luogo a simili problemi, oltre a raggiungere una quota di oltre 2000 iscritti, che per un gruppo FB, decisamente non è male.

Sul gruppo sono postati anche vari articoli tratti da “Ereticamente”, oltre ai miei – tutta la serie de L’eredità degli antenati e anche altri – quelli di Rita Remagnino e altri ancora, ma per non creare doppioni sostanzialmente inutili, qui non ne parlerò.

Una cosa che si nota subito, esaminando il gruppo a volo d’uccello, è il gran numero di foto d’epoca che ritraggono membri di popolazioni native, Sami, quelli che noi conosciamo come Lapponi, poi Mansi e altre popolazioni siberiane, ma anche della Russia e dell’Ucraina.

Tutto ciò induce a riflettere. L’omologazione culturale che ha provocato e sta provocando la scomparsa delle popolazioni native nel nostro continente e altrove, imponendo un unico stile di vita standardizzato, è probabilmente un fenomeno storicamente più recente di quello che penseremmo, che non inizia a diffondersi come la conosciamo oggi, prima della metà del XX secolo, e quello che oggi ci appare come il modo di vivere “naturale” della nostra specie, è in realtà qualcosa di profondamente innaturale.

L’autore di questi post “etnografici” è soprattutto il bravo Raffaele Giordano.

Un caso a parte è quello dei nativi americani, i cosiddetti pellirosse, che non furono assimilati a quella che era destinata a diventare una “cultura” globale, ma furono massacrati per lasciare il posto alla pseudo-nazione yankee, un genocidio di cui oggi si parla poco, ma che fece certamente nel corso di tutto il XIX secolo decine di milioni di vittime, anche se a tutt’oggi non esistono stime precise.

Di tutto questo si parla in vari post. Il più emblematico è forse quello del 26 gennaio che riporta la foto dell’attrice e attivista Q’Orianka Kilcher fotografata su di uno sfondo che rappresenta un tipico tepee e la scritta “We are still here”, “Siamo ancora qui”. I nativi americani sopravvissuti non mollano e difendono con fierezza la loro identità. Un esempio di forza e resilienza da cui tutti noi dovremmo trarre insegnamento.

Ma, come vi dicevo, partiamo dal mese di novembre. Proprio il 2, troviamo due post dei qual vi ho già parlato e che ora non accenno se non per sommi capi, poiché riguardano entrambi il nostro Felice Vinci, il primo si riferisce a Il significato originario di Tizio e Prometeo pubblicato sulla rivista scientifica americana “Journal of Anthropological and Archaeological Sciences”, il secondo alla conferenza Razza Schiava: Come ci manipolano con il cambiamento climatico tenuta a Bologna il 18 giugno 2023. che dire? Felice Vinci è un uomo che ha il coraggio di proporre idee originali in contrasto con quelle dell’establishment dominante, e proprio per questo, è per tutti noi una risorsa preziosa.

Il 3 novembre abbiamo non un post, ma un vero e proprio articolo firmato da Darius A. Kamaly sui rapporti tra Pitagora e la Persia. Il filosofo avrebbe soggiornato nel Paese iranico, dove avrebbe avuto contatti con i sacerdoti del culto zoroastriano. Al riguardo, mi sia consentito di esprimere scetticismo.

E’ un fatto che la filosofia sia nata prima agli estremi del mondo greco, Ionia anatolica e Magna Grecia, cioè Italia meridionale, per approdare solo in un secondo momento nella Grecia vera e propria. Questo ha spinto i soliti affetti da strabismo mediorientale a ipotizzare una derivazione di essa dal pensiero orientale – degli Italici, chissà perché, non ci si ricorda mai, ma a mio parere, le cose non sono andate affatto così. Semplicemente, il contatto con culture straniere le cui idee sul mondo sembravano loro assurde, e rendendosi conto che le proprie idee sembravano altrettanto assurde a questi ultimi, deve aver spinto i pensatori greci a cercare una via alla conoscenza diversa dal semplice sentito dire. E già questo era un passo intellettuale più notevole di qualsiasi presunta “luce da oriente”.

Un post dell’8 novembre firmato Peter K. Burian porta la nostra attenzione sui Pitti, il popolo della Scozia non sottomesso dai Romani, per prevenire le cui incursioni fu eretto il Vallo di Adriano. Sebbene per molti le origini dei Pitti siano misteriose e risalgano a una popolazione pre-celtica, le evidenze linguistiche suggeriscono che fossero semplicemente Celti non sottomessi da Roma. Il loro nome, ricordo, viene dal latino picti, cioè dipinti, ma quella di dipingersi il corpo e apparire più minacciosi, era un’usanza comune ai Britanni preromani.

Il 19 abbiamo un link a un articolo di “Science Daily” che tratta una tematica molto interessante, alla quale ho accennato più volte. Secondo recenti studi, 6-7.000 anni fa l’artico era sgombro da ghiacci, le terre boreali godevano di un clima molto più favorevole e propizio all’insediamento umano. Guarda caso, proprio come hanno sempre sostenuto le dottrine tradizionali che indicano lì e non in Africa la nostra origine.

Il 22 un breve articolo ci parla di Graham Hancock, un altro ricercatore le cui idee sulla nostra storia più remota, come quelle del nostro Felice Vinci, sfidano il conservatorismo dell‘establishment culturale, e presentano interessanti punti di contatto con queste ultime. L’articolo è accompagnato da un link a un documentario su Hancock vedibile su Netflix.

Un breve post del 27 dà la notizia della scomparsa e rende omaggio a Colin Renfrew, unanimemente considerato il più eminente archeologo della nostra epoca. Di quest’uomo e della sua opera, dell’importanza che ha per noi, ho parlato anch’io nell’articolo Un nuovo passaggio di testimone sulla nostra “Ereticamente”.

L’8 dicembre troviamo l’annuncio del simposio organizzato il giorno 11 da “Pagine Filosofali” in collaborazione con “Il cervo bianco” sui culti solari connessi al solstizio d’inverno nelle diverse tradizioni, cui hanno partecipato Stefano Arcella, Umberto Bianchi, Daniele Laganà e Luca Valentini. Chi è interessato, lo può rintracciare sui canali on line Youtube, Facebook e Telegram.

Il 14 troviamo la notizia dell’altro simposio indetto dalle stesse associazioni il giorno 18, che fa il punto sulle iniziative per ricordare Julius Evola nel cinquantennale della scomparsa del Maestro. Vi hanno partecipato Leonardo Petrocelli, Umberto Bianchi, Dalmazio Frau, Cristian Guzzo, Daniele Laganà e Luca Valentini, ed è anch’esso rintracciabile sui canali on line.

Abbiamo poi in data 27 il link a un’altra conferenza reperibile su Youtube, Giuseppe Barbera dell’Associazione Pietas parla dell’Odissea, e il particolare dei segreti della tela di Penelope.

Il 29 è Michele Ruzzai, con un link a un reel de “La repubblica” del 23, a informarci del ritrovamento nel permafrost siberiano, del corpo di un cucciolo di mammut vissuto oltre 50.000 anni fa. Come vi ho già spiegato, il ritrovamento nell’artico dei resti di una megafauna comprendente mammut, rinoceronti lanosi, predatori come leoni e orsi delle caverne, testimonia che nella preistoria queste regioni godevano di un clima ben più mite di quello attuale, poiché quest’ultima non avrebbe certo potuto sostentarsi con i licheni che oggi offrono uno scarso nutrimento alle renne.

A questo punto chiudiamo l’ultima “coda” del 2024, un anno il cui, soprattutto nella seconda parte, questa serie di articoli è andata incontro a una trasformazione dei cui motivi vi ho edotti, e certamente avrete notato che gli articoli e i link su “MANvantara” utilizzabili per le nostre finalità sono più scarni di quelli che avrei raccolto nei miei appunti, ma va bene così, a fronte di un discorso che stava diventando ipertrofico.

Ma proseguiamo vedendo cosa troviamo agli inizi del 2025.

Proprio il 1° gennaio troviamo un post, quasi un articolo che ci parla degli elefanti che un tempo popolavano l’Europa, gli elefanti a zanna dritta della specie Palaeoloxodon antiquus esistiti sul nostro continente attorno ai 125.000 anni fa, di dimensioni circa doppie di un attuale elefante africano. Pare che gli uomini di Neanderthal li cacciassero, ma anche che li considerassero una sorta di divinità.

Un post del 4 gennaio ci racconta del ritrovamento di una delle più antiche tracce di presenza umana nell’artico. In una remota isola siberiana è stato ritrovato lo scheletro di un mammut, completo circa per due terzi, le cui ossa presentano segni di tagli e incisioni che fanno supporre che l’animale sia stato macellato. Va da sé che se il clima dell’artico era all’epoca molto diverso da quello di oggi, gli uomini potevano benissimo esservi insediati, e cacciare.

Una tematica che si ritrova in vari punti di “MANvantara” è quella dei giganti. Già il 2 novembre un post parlava dei giganti che gli Spagnoli avrebbero incontrato in Patagonia. Il 9 e il 12 gennaio Raffaele Giordano è tornato sull’argomento con due post. Il primo è un link al sito guatemalteco “Question Antiquity” che riporta la leggenda secondo la quale l’America centrale sarebbe stata un tempo abitata da una razza di giganti, i Quinametzin, poi sterminati dagli Aztechi e riproduce, da un codice azteco l’uccisione dell’ultimo di essi. L’altro post è un link al sito “Silasteriac.blogspot.com”, di cui non è chiara la nazionalità, ma anch’esso di lingua spagnola, che presenta un riassunto dei miti e delle leggende sui giganti che compaiono un po’ in tutte le culture. A questo punto viene davvero il dubbio, veramente sono esistite, non singoli individui, ma intere popolazioni di una scala dimensionale maggiore di quella dei comuni esseri umani?

Sempre il 12 gennaio abbiamo un link a un filmato su Youtube di “Aperistoria” che ci parla di uno di quegli episodi storici che tutti vorrebbero dimenticare. Lo sterminio, avvenuto in Nuova Zelanda prima dell’arrivo degli Europei, della pacifica popolazione dei Moriori da parte degli aggressivi Maori. Vorrei aggiungere che questo non è stato un episodio isolato, ma, ad esempio nei Caraibi gli aggressivi Caribe (dal cui nome deriva la parola cannibali) sterminarono i pacifici Arawak.

Tutto ciò ci insegna due cose fondamentali: PRIMO, contrariamente a quanto predica il presunto antirazzismo, in realtà profondamente razzista verso di noi, non è affatto vero che il razzismo, l’odio etnico, la propensione allo sterminio dei rivali siano peculiarità esclusive delle popolazioni bianche. SECONDO, Maori e Caribe esistono ancora, mentre Moriori e Arawak sono estinti, è sempre chi è pacifico e accogliente che è destinato a soccombere.

Troviamo poi una bella immagine del corpo di un cucciolo di leone delle caverne ritrovato intatto nel permafrost siberiano, ennesimo ritrovamento che rafforza il discorso già fatto sulla megafauna preistorica e il clima di allora delle regioni artiche.

Il 17 abbiamo un nuovo link a una conferenza di Giuseppe Barbera per l’associazione Pietas, sempre sul tema dell’Odissea, che attraverso le figure di Mentore e Telemaco illustra la concezione tradizionale di maestro e discepolo.

Abbiamo poi un link a un articolo pubblicato in lingua inglese dal Centro Studi La Runa: Common Ground of European Celts & Indian Vedic Hindus, che è ripreso dal sito indiano “Hinduism Today”. Come ricorderete, ho altre volte espresso la mia opinione contraria a ritenere che quella indiana vedica sia stata la prima cultura indoeuropea, ma questo non toglie che i legami ancestrali tra Europa e India, connessi appunto alla comune origine indoeuropea, siano profondi.

Il 20 abbiamo un link a “Historical World” e a un articolo che tratta di una questione di cui ci siamo occupati più di una volta, le mummie di Cherchen, mummie naturali ritrovate in questa zona che fa parte del deserto del Takla Makan nello Xinjang regione oggi politicamente cinese, che presentano caratteristiche europee tanto accentuate che qualcuno li ha definiti Celti. Verosimilmente queste persone facevano parte dell’antico popolo dei Tocari, che parlava una lingua indoeuropea del tipo occidentale, “centum”, probabile frutto di un’antica migrazione da occidente.

Il 24 abbiamo un link a un articolo di “Ethnopedia” che mostra come varia la parola “fratello” nelle varie lingue indoeuropee, ma la cosa veramente interessante è la cartina che mostra la distribuzione dei vari linguaggi, e quindi delle popolazioni del nostro ceppo. Appare molto chiaro che il suo centro di irradiazione si trova in Europa orientale, all’incirca sulle sponde del mare di Azov, non in India né in Asia centrale, proprio come ho sempre sostenuto.

Sempre il 24 troviamo un link a un filmato su Youtube opera di “Fabbrica della comunicazione”, che espone le teorie di Grahan Hancock di cui vi ho già detto.

Il 26 un link a “Quel che non sapevi” si collega a un post che parla di un’altra questione che in realtà sappiamo benissimo, l’uso dei vichinghi di sfruttare la proprietà dei cristalli di calcite di polarizzare la luce, per osservare la posizione del sole in qualsiasi condizione atmosferica, la famosa “pietra di sole” che usavano per orientarsi nella navigazione.

Per il momento chiudiamo qui, alla fine di gennaio. Ancora non so dirvi se questa serie di articoli proseguirà, e in che forma. Ciò di cui vi posso dare assicurazione, è la continuità del mio impegno a elucidarvi il nostro passato e la nostra identità europea, di cui possiamo solo essere fieri.

NOTA: Nell’illustrazione, da “MANvantara”, un esempio di una delle molte popolazioni native di cui si parla nel gruppo, ragazze basche nel costume tradizionale.

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