Riprendiamo il nostro cammino nell’esplorazione della nostra eredità ancestrale dal mese di ottobre.
Cominciamo con un articolo su focus.it del 7 ottobre che ci porta nella remota preistoria, nel paleolitico. Il pezzo di Chiara Guzzonato ci pone l’interrogativo su cosa mangiassero i nostri remoti antenati dell’Età della Pietra. È un luogo comune diffuso quello secondo il quale, proprio perché si trattava di cacciatori, che avessero una dieta prevalentemente carnea. Invece, le ricerche recenti e il confronto con lo stile di vita degli odierni popoli cacciatori-raccoglitori, suggeriscono che frutta, verdura, bacche e radici avessero una parte importante e probabilmente preponderante nella loro alimentazione.
Negli ultimi anni, una “moda alimentare” che si è diffusa negli ultimi anni (e le mode alimentari, come se le necessità dell’organismo umano fossero di per sé soggette alle fluttuazioni del mercato, sono un fenomeno deprecabile), è quella della cosiddetta “dieta paleolitica”, basata appunto su un prevalente consumo di carne. Bene, secondo l’articolista, ciò, oltre a non corrispondere affatto all’effettiva alimentazione dei nostri antenati preistorici, una dieta così sbilanciata è nociva per l’organismo.
Proseguiamo poi con il vedere cosa ha in serbo “Ancient Origins”. Vediamo che continua il suo lungo viaggio nella mitologia greca. Un articolo di Dhwty del 6 ottobre ci parla di Ecate, divinità dai tre corpi, dea della della magia e della stregoneria, che inizialmente non faceva parte del pantheon ellenico, ma era venerata in Tracia. Robbie Mitchell il 7 ottobre ci parla dei ciclopi: la leggenda di questi giganti monocoli fu probabilmente originata dal ritrovamento di teschi fossili di elefante che in tempi remoti anche per gli antichi Greci vivevano in tutta l’area mediterranea, scambiati per giganteschi teschi umani, l’attacco della proboscide poteva essere scambiato per l’orbita di un unico enorme occhio.
Perfino la maga Circe viene elevata a divinità sulle pagine di “Ancient Origins”, infatti, nell’articolo del 4 ottobre in cui ne parla, Natalia Klimczak recepisce la leggenda che la vede figlia di Helios, il dio del sole.
L’11 ottobre un articolo di Dhwty ci parla di Efesto, il dio greco del fuoco corrispondente al Vulcano dei Romani, e della sua “strana” relazione con Venere, la mitologia greca ha infatti accoppiato il più brutto degli dei (Efesto era raffigurato zoppo e deforme) con la più bella delle dee.
Sempre l’11 ottobre un articolo di Robbie Mitchell ci parla di Nike, la dea greca della vittoria e auriga di Zeus. Sebbene Nike come divinità in sé non sia particolarmente nota, sono note le sue raffigurazioni come la celeberrima Nike di Samotracia, oppure la Nike aptera di Atene, con la quale Fidia ruppe con una diffusa tradizione iconografica, scolpendo la statua della dea senza ali, come augurio che la vittoria non avesse a volare mai via da Atene.
Robbie Mitchell il 15 ottobre ci racconta del mostro marino Cariddi, con ogni probabilità personificazione dei vortici che prendevano e facevano naufragare le navi. Sempre restando nel tema degli incredibili esseri fantastici della mitologia greca, un altro articolo di Robbie Mitchell del 23 ottobre ci parla di Chirone, il più anziano e saggio dei centauri, che sarebbe stato allievo di Apollo e maestro di Achille.
Il 25 ottobre Dhwty ci parla nientemeno che di Zeus, il possente padre degli dei, nonché insaziabile donnaiolo, a cui è attribuita una numerosa prole, divina o semidivina.
Accanto a quella greca, non poteva mancare un riferimento alla mitologia nordica, infatti un articolo dell’8 ottobre di Molly Dowdeswall ci parla di Ymir, il gigante primordiale dallo smembramento del cui corpo gli dei avrebbero ricavato le varie parti del mondo.
Citiamo anche un articolo di Robbie Mitchell del 25 settembre dedicato a Jotunheim, ossia la terra degli Jotun, i giganti del pantheon norreno, che sarebbe stata ubicata non distante da Asgard.
Il 12 ottobre è di nuovo un articolo di Molly Dowdeswall a parlarci di Sol e Mani, le divinità norrene che fungevano da aurighi dei cocchi del sole e della luna. Come molti altri popoli, gli antichi scandinavi immaginavano che i due astri percorressero il cielo a bordo di carri (idea che ritroviamo anche nella mitologia greca dove il compito di auriga del cocchio solare è affidato ad Apollo), ma con un tocco di drammaticità in più, gli antichi norreni immaginavano che sole e luna nel loro percorso fossero inseguiti da una coppia di famelici lupi.
Il 24 ottobre un articolo di Sahir ci parla di Bifrost, il leggendario ponte arcobaleno che avrebbe collegato la terra degli uomini con Asgard, il regno degli dei, destinato a crollare nell’apocalittica battaglia finale del Ragnarok.
Passiamo alle tematiche propriamente archeologiche, e qui ci imbattiamo in una di quelle notizie che fanno sobbalzare: Secondo quanto riferisce Sahir in un articolo del 9 ottobre, in Polonia, nella foresta di Bialowieza (che, ricordiamolo, è l’ultima foresta primaria, che cioè non ha risentito dell’intervento umano, d’Europa, e dove è stato reintrodotto il bisonte europeo), una scansione LIDAR effettuata da un team di ricercatori dell’Università di Varsavia guidati dal professor Przemysław Urbańczy avrebbe rivelato la presenza di qualcosa come 800 strutture di interesse archeologico, tumuli funerari, eccetera, alcune medievali e moderne, altre con ogni probabilità antiche e preistoriche.
Che i Vichinghi avessero raggiunto le coste del Nord America molto prima di Colombo, oramai lo sapevamo da un pezzo, ma una recente scoperta di cui ci parla un articolo di Kerry Sullivan fa pensare che essi si siano spinti all’interno del continente americano molto più di quanto si fosse pensato finora, infatti si parla di un ferro di lancia vichingo risalente approssimativamente al X secolo, è stato ritrovato a Charles Point, nella parte canadese della regione dei Grandi Laghi. In realtà non si tratta di un rinvenimento nuovo, la scoperta risale al 1929, ma solo recentemente se n’è stabilita l’origine vichinga.
Difficile considerarlo un ritrovamento archeologico, perché è ben visibile agli occhi di chiunque giunga a Roma, si tratta di uno dei monumenti più imponenti che ci ha trasmesso l’antichità, comunque il 16 ottobre Robbie Mitchell dedica un articolo al Colosseo, e ai molti segreti ingegneristici ancora non chiariti che hanno permesso l’erezione dell’Anfiteatro Flavio.
Passiamo a vedere cosa ci offre in questo periodo “The Archaeology Magazine”, e non potevamo non trovare qualcosa che riguarda l’Italia, infatti sul numero di settembre/ottobre troviamo un articolo di Benjamin Leonard che fa riferimento a uno dei più importanti ma nello stesso tempo meno conosciuti popoli dell’Italia preromana, i Sanniti. Ciò che rende difficile trovare le loro tracce, è il fatto che questi antichi montanari e temuti guerrieri che dettero a Roma parecchio filo da torcere, non vivessero in città, ma in isolati insediamenti montani. Recentemente Giacomo Fontana, ricercatore dell’University College di Londra (probabilmente una delle tante eccellenze che per potersi realizzare professionalmente sono costrette a fuggire dal Bel Paese), analizzando immagini LIDAR del Sannio su un’area di 5.900 miglia quadrate, avrebbe identificato 150 insediamenti sannitici fra cui 95 fortificazioni collinari finora sconosciute. Non c’è che dire, in effetti conosciamo il nostro passato molto meno bene di quel che crediamo.
Continuiamo a rimanere in Italia, dove l’archeologia continua a rivelare cose importanti quanto sconosciute al grosso pubblico. Da Archeomedia apprendiamo le ultime novità: il ritrovamento a Pompei, dove il sito è ancora in buona parte sepolto sotto la lava, dei resti dell’intelaiatura di ferro di un letto, e il ritrovamento di due relitti di età romana nelle acque antistanti Grado (Gorizia). A Taranto, poi, è stata ritrovata intatta una sepoltura greca del VI secolo avanti Cristo. La persona inumata doveva essere una donna di alto rango, una nobildonna o una sacerdotessa.
Forse non sono scoperte eclatanti, ma ci mostrano che l’archeologia italiana è sempre in attività, un lavoro continuo fatto perlopiù lontano dai riflettori dei media.
Che dopo due millenni di silenzio forzato, di bavaglio impostoci per essere espliciti, la religione gentile stia lentamente riprendendo quota anche in Italia come del resto in tutta Europa, lo sapevamo, conosciamo ad esempio da tempo l’attività dell’Associazione Pietas volta a ridare corpo alla religione gentile romana, ma che qualcuno si proponesse di ridare vita addirittura al culto di Iside, confesso che almeno io proprio non me l’aspettavo, eppure è proprio quanto viene da pensare leggendo questa notizia: domenica 9 ottobre si è tenuto al Macellum Tempio di Serapide dei Campi Flegrei lo spettacolo teatrale Iside e la luna. Solo uno spettacolo rievocativo? Forse no, notiamo che sulla locandina spicca il simbolo wiccano delle tre lune.
Se ve ne ricordate, ve ne avevo già parlato in una delle scorse Eredità degli antenati, ma in Ucraina pochi anni fa, precisamente a Novoalexandovsk sulle rive del Dnieper, è stato scoperto un imponente circolo megalitico, si tratta di una struttura del tipo cromlech, cioè un circolo di dolmen, in questo caso disposti a fare da sostegno a un vasto tumulo funerario. Questa struttura è stata ribattezzata “La Stonehenge del Dnieper e la sua età è stata valutata in circa 5.500 anni.
Il 9 ottobre “L’arazzo del tempo” ha dedicato un articolo (firmato semplicemente “redazione”) precisamente a questa struttura, precisando che sebbene le ricerche siano ben lontane dall’essere complete, sono al momento sospese (per la guerra in corso, ça va sans dire).
Questo impone alcune considerazioni: abbiamo già visto le volte scorse che, sebbene noi tendiamo ad associare la cultura megalitica all’occidente, alle Isole britanniche e alle coste dell’Atlantico dove sorgono i monumenti più noti, indizi che si fanno sempre più numerosi fanno pensare che essa possa aver avuto origine nell’Europa orientale e che il suo sviluppo verso ovest sia strettamente legato all’espansione dei popoli indoeuropei (il tumulo-cromlech di Novoalexandrovsk, ad esempio, è più antico di Stonehenge).
L’altra riflessione, purtroppo, è molto più spiacevole: il fatto che la guerra attualmente in corso, oltre a tutte le conseguenze dolorose che conosciamo, minaccia di devastare quei luoghi e di distruggere quei monumenti e reperti sui quali gli archeologi hanno appena cominciato a indagare, che ci permetterebbero di fare luce sul nostro passato più remoto, è infatti proprio qui (cultura Yamna o Yamnaia), che in base alle ricerche più recenti, le ipotesi più accreditate situano le origini dei popoli indoeuropei.
Torniamo per il momento indietro alla nostra preistoria più remota. Il 17 ottobre un team di ricercatori dell’Università di Leida guidato da Igor Djakovic ha reso noto di aver effettuato un confronto fra i manufatti sapiens sapiens e neanderthaliani rinvenuti in Francia e nella Spagna settentrionale datati tra 45.000 e 39.800 anni fa. A quanto pare, non solo uomini di Cro Magnon e di Neanderthal hanno convissuto per quasi tremila anni, ben più a lungo di quanto finora si pensasse, ma i manufatti degli uni e degli altri testimoniano influenze culturali reciproche, senza dubbio fra gli uni e gli altri, vi sono stati ripetuti contatti. Questa è una conferma piuttosto evidente del concetto che vi ho più volte esposto, che i neanderthaliani non fossero un’altra specie, ma semplicemente un’altra varietà (osiamo usare la parola “razza”?) della nostra stessa famiglia umana, d’altra parte, se consideriamo anche solo la traccia del 2/3% di DNA neanderthaliano presente nel nostro genoma, vediamo che c’è più DNA neanderthaliano vivente oggi di quanto ne esistesse nella preistoria sulla faccia di questo pianeta.
Io non so quanto sia corretto citare come fonte una conversazione privata, ma trattandosi di una voce autorevole come quella di Felice Vinci, penso che la cosa sia legittima. Ultimamente, in una conversazione privata, l’autore di Omero nel Baltico ha richiamato la mia attenzione su una questione oggi al centro di tante angosce, quella del riscaldamento globale, facendomi notare che la temperatura del nostro pianeta è sempre stata oggetto di oscillazioni che hanno variamente influenzato l’ambiente naturale e la storia umana. Oggi le temperature stanno salendo, ma è verosimile che le attività umane non vi incidano se non in modo trascurabile, e soprattutto siamo ancora lontani da quell’optimum climatico medioevale nel quale la Groenlandia, oggi coperta quasi interamente da un’enorme cappa di ghiaccio, era, almeno nelle regioni costiere, una terra verde (da qui il nome che le fu dato dai vichinghi).
Il peggioramento climatico, l’abbassamento delle temperature verificatosi a partire dal 1300 è stato causa di carestie con la perdita dei raccolti, migrazioni, invasioni che hanno sconvolto l’assetto etnico-politico dell’Europa, epidemie (la causa delle epidemie sono perlopiù le migrazioni che portano i germi endemici di una popolazione a contatto con altra gente che non ha i necessari anticorpi), un quadro che è stato ben delineato, ad esempio da Alessandro Barbero nella conferenza postata su You Tube La crisi del trecento, e Alessandro Barbero, lo sappiamo, rappresenta l’ortodossia storico-scientifica che più ortodossa di così non potrebbe essere.
Una conclusione rimane difficile da tracciare, possiamo forse dire di aver visto in questo mese di ottobre un certo risveglio d’interesse per la nostra eredità ancestrale, legato, bisogna dirlo, soprattutto ad “Ancient Origins” e all’imponente lavoro che sta compiendo sulla mitologia classica e anche su quella norrena. Cosa riserverà il futuro, è ancor più difficile da dire, ma noi saremo qui a testimoniare la grandezza di un passato che non va dimenticato se vogliamo avere un avvenire.
NOTA: nell’illustrazione. La maga Circe come è presentata nell’articolo del 4 ottobre di Natalia Klimczak su “Ancient Origins”, un’immagine inconsueta, ci aspetteremmo piuttosto di vederla attorniata da maiali che non da leoni e lupi.
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