Dopo aver raggiunto con Una Ahnenerbe casalinga la non disprezzabile quota di cento numeri, ripartiamo di slancio con un nuovo titolo e una nuova numerazione. “L’eredità degli antenati” mi sembra francamente più diretto e più esplicito. L’intento di questa serie di articoli rimane in ogni caso quello della precedente, cioè esplorare, chiarire, seguire il dibattito scientifico per tutto quanto riguarda le tematiche della nostra eredità ancestrale.
Prima di procedere a un nuovo esame delle novità emerse circa la tematica delle origini in questo periodo (alla metà del 2019, ve lo segnalo, perché c’è sempre una sfasatura temporale fra la raccolta di queste informazioni e il momento in cui è possibile farle comparire in forma di articolo su “Ereticamente”), c’è una premessa che occorre fare: la “rete”, lo sapete, è un mare magnum dove si trova di tutto e di più, e proprio la massa sterminata dei materiali rende impossibile una consultazione ordinata, e capita di frequente di trovare cose importanti che non ci sarebbero dovute sfuggire, a mesi o anche anni di distanza.
La parte terminale del 2018, da questo punto di vista è stata particolarmente significativa, e spero che mi concederete venia se vi parlo adesso di un paio di notizie di grande importanza che vi avrei dovuto dare allora.
Risale al 17 ottobre 2018, ma questa è davvero una “chicca” troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, una dimostrazione davvero da manuale del fatto che “la scienza” democratica non è affatto tale, ma è invece ciarlataneria al servizio di una precisa impostazione ideologica che ci vogliono imporre a tutti i costi.
In questa data, “Survive the Jive” ha pubblicato un articolo davvero illuminante sulla questione dell’uomo di Cheddar. Come probabilmente saprete, la ricostruzione di questo “primo inglese” è stata presentata al grosso pubblico come quella di un uomo di colore. Ora questo, ci spiega l’articolista, non è altro che un falso.
“I media mainstream distorcono i fatti scientifici per un’agenda ovvia. Si prega di essere consapevoli del fatto che tutta la scienza è pesantemente politicizzata in questi giorni. La squadra dietro lo studio, che include Tom Booth, un uomo impegnato a impedire al popolo britannico di provare un senso di radicamento nel comprendere la storia genetica delle isole… Il team di Booth ha creato una gamma di potenziali carnagioni e i ragazzi dietro la ricostruzione hanno scelto di andare con il più oscuro di questi. Poi i media hanno fotografato la ricostruzione e l’hanno resa ancora più oscura, e alla fine i giornalisti hanno usato i titoli dicendo che era (un uomo di colore)”.
Su questo poi ha lavorato un professionista della disinformazione democratica, tale Afua Hirsch, di origine in parte ghanese e in parte ebraica, e che, pur senza avere alcuna competenza specifica in materia, è stato ospitato a raccontare la favola dell’uomo di Cheddar di colore su Channel 4 ed ha addirittura pubblicato su “National Geographic” un articolo sull’argomento, di cui questo è un piccolissimo estratto:
“C’erano persone di colore qui migliaia di anni fa e per sapere che i bianchi non erano sempre bianchi. Sappiamo che c’erano africani qui prima che ci fossero gli inglesi qui”.
Tutto falso, completamente falso, una mistificazione creata allo scopo di promuovere l’immigrazione extracomunitaria, perché, notizia che i media di regime si sono guardati bene dal diffondere né in Inghilterra né da noi, come ci racconta “Survive the Jive”, le successive analisi del DNA hanno dimostrato che il genoma dell’uomo di Cheddar non aveva nulla di africano o di meno che europeo, e i suoi parenti più stretti attualmente viventi sono le popolazioni baltiche, in particolare quella dell’Estonia.
Le due armi della democrazia sono la mistificazione con la creazione di favole “scientifiche” come in questo caso, e la repressione del dissenso, che può assumere la forma della censura o all’occorrenza della semplice, spiccia, brutale violenza, come si vede bene nel caso dell’uomo di Petralona, di cui “Ancient Origins” ha raccontato la storia il 31 dicembre 2018.
L’articolo, postato da John Black alla fine dello scorso anno s’intitola (tradotto in italiano): Il teschio umano che sfida la teoria dell’Africa (cioè, s’intende, dell’Out of Africa, della presunta origine africana della nostra specie).
Di che si tratta? In realtà non è una scoperta nuova, ma una scoperta che avrebbe potuto cambiare da tempo la visione che ci viene imposta sulle nostre origini se non fosse stata pesantemente censurata. Nel 1959 nella località di Petralona, nella penisola Calcidica, Grecia settentrionale, un pastore trovò l’ingresso di una grotta e, dentro di essa, incastrato in una parete, un teschio umano. Un’ulteriore esplorazione della stessa ha rivelato la presenza di numerose ossa di animali e umane, pietre scheggiate e tutte le tracce di un antichissimo insediamento preistorico.
Questi reperti sono stati studiati da un team dell’Università di Salonicco e datati a 700.000 anni fa. A questo punto, la faccenda ha cominciato a tingersi di giallo, perché sono intervenute le autorità con la proibizione di ulteriori ricerche, compreso al team che per primo si era occupato del ritrovamento. Successivamente, senza né ulteriori prove né verifiche di qualsiasi specie, all’uomo di Petralona sono state attribuite varie età, da un massimo di 300.000 a 50.000 anni e (ça va sans dire) un’origine africana. Tipica procedura democratica – si noti – censura, soppressione delle prove e imposizione di una “verità” prefabbricata.
La questione però non finisce qui, perché anni fa il governo greco ha commesso l’errore di richiamare in patria il professor Aris Poulianos, già fondatore dell’Associazione Antropologica Greca e autore del libro Le origini dei Greci, che lavorava presso l’Università di Mosca (in Russia, è noto, che non è dominata dalla democrazia “made in USA” imposta dal NWO, esiste una libertà di ricerca sui temi paleoantropologici, sconosciuta nell’Occidente democratico, e i ricercatori russi hanno varie volte denunciato l’Out of Africa per la bufala che è).
Pessima idea, perché il professor Poulianos si è messo a studiare il teschio e la grotta di Petralona, che è calcarea e presenta quindi una stratigrafia ben definita, arrivando alla conclusione che l’età di questo reperto può variare da un minimo di 600.000 a un massimo di 750.000 anni. Secondo Poulianos, il teschio, sebbene molto primitivo, presenta dei tratti che già si possono definire europidi, e sarebbe la prova quanto meno di un’evoluzione verso sapiens nel nostro continente separata da quella africana.
Risultato? Non solo la faccenda è stata avvolta da un muro di gomma, il solito impenetrabile coverage, ma nel 2012 Poulianos e la moglie hanno subito nella loro casa un attentato i cui responsabili sono rimasti – ovviamente – ignoti, e anche questo è tipico della democrazia come abbiamo imparato a conoscerla dal 1945 in poi: si rafforza l’effetto della censura mediante la violenza e l’intimidazione.
Bisogna capire però l’importanza che ha l’Out of Africa per la democrazia. Indipendentemente dal fatto che essa sia totalmente falsa, essa è la validazione “scientifica” del dogma dell’inesistenza delle razze umane, a sua volta premessa dell’imposizione dovunque di società multietniche e multirazziali.
I primi mesi di quest’anno sono stati contrassegnati da una serie di eventi di cui vi ho parlato le volte scorse, i più importanti dei quali sono forse stati il convegno di paleoantropologia di Cleveland nel quale si è cercato di mettere a fuoco l’uomo di Denisova, questo ramo ancora poco conosciuto della famiglia umana, e la scoperta nelle Filippine dei fossili risalenti a 50.000 anni fa di un homo finora ignoto che è stato almeno provvisoriamente battezzato Homo luzonensis. Data l’area del ritrovamento e la sua collocazione temporale, io avanzerei l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una variante locale dell’uomo di Denisova, una sottospecie umana che il poco che conosciamo di essa ci induce a supporre dotata di un alto grado di variabilità. D’altra parte, lo abbiamo visto altre volte sappiamo anche che i paleoantropologi sono inclini ad attribuire con facilità nuovi nomi di specie o addirittura di genere ai fossili da loro scoperti, è un modo per mettersi in mostra.
Nel mese di maggio pare di intravedere l’emergere di una tendenza piuttosto preoccupante. “Le scienze” on line del 16 maggio riferisce di uno studio condotto da Aida Gomez-Robles dello University College di Londra su un gruppo di denti fossili attribuiti agli uomini di Neanderthal rinvenuti nel sito spagnolo di Sima de los Huesos. Quest’ultimo indicherebbe una separazione dalla linea degli umani moderni risalente a 800.000 anni fa. Al riguardo mi pare si possano avanzare molti dubbi poiché la genetica indica una separazione tra neanderthaliani e sapiens moderni attorno ai 300.000 anni fa, e quindi di mezzo milione di anni più recente. Ricordiamo poi che la forma dei denti è quel che presenta il tasso di mutazione più elevato fra i mammiferi, e gli uomini di Sima de los Huesos sarebbero potuti appartenere a una popolazione isolata.
“Il fatto quotidiano” del 29 maggio e “Attività solare” (“Solar Activity”) del 30 maggio pubblicano due articoli dal medesimo contenuto, che a loro volta riprendono un articolo già apparso su “Reviews of Geophisics”. Secondo una ricerca condotta da Luigi Vigliotti del CNR-ISMAR di Bologna, circa 41.000 anni fa vi sarebbe stato un crollo del campo magnetico terrestre che protegge la Terra dalle radiazioni solari, e questo avrebbe portato all’estinzione di diverse specie viventi, compreso l’uomo di Neanderthal, geneticamente più fragile dell’uomo moderno.
Sono dati da accogliere con prudenza, per non dire con diffidenza. Non è alquanto strano? E’ occorsa una lotta secolare per riconoscere nell’uomo di Neanderthal non un bruto scimmiesco ma una creatura simile a noi, ora pare che la tendenza si inverta, al punto che l’articolo di “Attività solare” arriva a scrivere che il crollo del campo magnetico avrebbe provocato l’estinzione “dell’uomo di Neanderthal e di altri mammiferi”.
Cosa c’è sotto? Io avanzerei un’ipotesi. La paleogenetica e le tracce nel nostro DNA degli uomini di Neanderthal e Denisova smentiscono in maniera netta l’Out of Africa. Specie affini ma diverse generano ibridi sterili come i muli o i frutti dell’accoppiamento fra grandi felini che talvolta avvengono in cattività (tigre-leone o leone-leopardo), non una discendenza feconda, come invece è avvenuto con gli uomini di Cro Magnon, Neanderthal e Denisova. Se troviamo le tracce di questi accoppiamenti nel nostro DNA, questo significa che questi tre gruppi di uomini facevano parte di un’unica specie, la nostra, che ha iniziato il suo cammino molto prima e in forme molto diverse dalla presunta uscita dall’Africa.
Per salvare in qualche modo l’Out of Africa di cui IL POTERE sedicente democratico ha comunque bisogno per far stare in piedi le sue fole antirazziste, ecco allora “contrordine, compagni”, cercare di mettere la massima distanza possibile fra l’uomo di neanderthal e noi, anche approfittando del fatto che l’ancora poco conosciuto uomo di Denisova rimane una figura indistinta sullo sfondo e arreca poco fastidio.
Strano, molto strano. Finora, tutte le prove archeologiche e paleoantropologiche raccolte da, diciamo dieci anni a questa parte a voler essere generosi, hanno dimostrato una sempre maggiore difficoltà a conciliarsi con l’Out of Africa, questa “teoria” alla prova dei fatti si è dimostrata del tutto inconsistente. Bene, ultimamente lo scenario sembra cambiare di colpo con una subitaneità repentina.
Il 4 giugno Sky TG 24 ha mandato in onda un servizio per la rubrica “Scienze della Terra” nel quale si parla del ritrovamento a Bokol Dora in Etiopia nella regione del triangolo dell’Afar, la stessa da cui sono emerse le ossa della famosa Lucy, di attrezzi di pietra che risalirebbero a due milioni e mezzo di anni fa.
Naturalmente, un servizio su Sky non ha la stessa autorevolezza di un articolo su di una pubblicazione scientifica ma, come si dice, “tutto fa brodo”.
E’ una notizia che non si può non accogliere con diffidenza. Ricordiamo che questi “utensili”, i famosi “chopper” sono semplicemente dei ciottoli con un lato scheggiato, scheggiatura che potrebbe essere intenzionale, ma anche casuale. Due milioni e mezzo di anni fa non c’erano esseri umani in Etiopia, e forse nemmeno altrove, ma di certo non in Africa e, come ha ricordato proprio Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, (di lui e delle sue scoperte vi ho parlato con una certa ampiezza nella novantasettesima parte di Una Ahnenerbe casalinga) “Nessun utensile è mai stato trovato in associazione certa con un qualsiasi fossile di australopiteco”. Ma quando si cerca con sufficiente accanimento, si finisce sempre per trovare, anche quello che non c’è.
Insomma, sembra proprio che negli ultimi tempi sia passato nella comunità scientifica uno di quei “contrordine, compagni” che Giovanni Guareschi si divertiva a ridicolizzare: “Salvate l’Out of Africa a ogni costo”.
Il 16 giugno “Today.it” riferisce una notizia davvero sorprendente: la proporzione di geni neanderthaliani nelle diverse popolazioni dell’Europa e del mondo non è uniforme, c’era da aspettarsi. Sapete dove si trova, nel DNA di quale popolazione, la maggiore concentrazione di geni di Neanderthal? Secondo una ricerca condotta da John Hawks dell’università americana del Wisconsin-Madison, in Italia e precisamente in Toscana.
E’ una notizia che tutto sommato non sorprende. Se voi ricordate, vi ho già spiegato il fatto che l’eredità neanderthaliana si trova in vario grado fra i popoli caucasici e asiatici, mentre è del tutto assente nei neri subsahariani, e del fatto che ciò spinge a ipotizzare che in qualche modo essa sia connessa a quel “guizzo” in più, a quella creatività che ha spinto i primi e i secondi, ma non questi ultimi sulla via della civiltà.
Da questo punto di vista, la Toscana appare tutt’altro che sfornita: figure come Dante Alighieri, Petrarca, Boccaccio, Lorenzo il Magnifico, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, potrebbero essere il vanto non di una regione, ma di una nazione intera. Certo, è toscano anche Matteo Renzi, ma ogni regola ha le sue eccezioni.
Quanto a me, non preoccupatevi, sono messo piuttosto bene, è da lì che viene la metà materna del mio genoma.
Quello che sembra profilarsi ultimamente, è un tentativo di rilanciare le credenziali “scientifiche” dell’Out of Africa, da un lato postulando l’uso di strumenti da parte degli ominidi africani, cosa che li renderebbe più credibili come precursori dell’umanità, dall’altro “prendere le distanze” dall’uomo di Neanderthal (e implicitamente anche da quello di Denisova), quindi, anche senza ammetterlo esplicitamente, accantonare i risultati accumulati in questi anni dalla paleogenetica, da Svante Paabo in poi, si tratta di una tendenza esattamente opposta a tutto quello che abbiamo visto emergere negli ultimi anni riguardo all’eredità dei nostri più remoti antenati. Non vi pare che ve ne sia abbastanza per sospettare un’operazione squisitamente politica?
Tuttavia la notizia che sembra destinata a tenere banco nel luglio 2019 è un’altra, che si trova riportata contemporaneamente su diversi siti: “BBC News” del 10 luglio, “Natural History Museum” della stessa data (anche questo inglese), “Nature.com”, e “Le scienze.it” dell’11, quindi un’esposizione mediatica davvero insolita per un evento paleoantropologico. Di che si tratta?
La fonte è un articolo pubblicato su “Nature” da Eric Delson della City University di New York, e non si tratta di una scoperta assolutamente nuova quanto del riesame di materiale già conosciuto. In Grecia, nella grotta di Apidima negli anni ’50 furono ritrovati due teschi umani fossili che giacevano l’uno accanto all’altro. Ora, un riesame di questi resti ha prodotto un risultato del tutto inaspettato. Apidima 2, il più completo, presenta sostanzialmente le caratteristiche dell’uomo di Neanderthal ed è vecchio di 150.000 anni, ma la vera sorpresa è rappresentata da Apidima 1, che è risultato avere caratteristiche sapiens moderne ed un’età di 210.000 anni, che ne fa in assoluto il più antico fossile sapiens moderno conosciuto in Europa con un’età quattro-cinque volte superiore a quella finora accertata per la presenza di uomini anatomicamente moderni sul nostro continente.
A questo punto sono possibili e opportune diverse considerazioni: prima di tutto,vediamo che la sostituzione uomini di Neanderthal-uomini anatomicamente moderni non è stata affatto un processo evolutivo lineare come forse saremmo tentati di pensare, e anche questa in realtà non è una novità assoluta, perché avevamo già in Medio Oriente alcuni siti dove l’occupazione da parte dei neanderthaliani subentra a quella di sapiens anatomicamente moderni, fu un processo lungo e tortuoso il cui esito non era affatto scontato in partenza.
In secondo luogo, soprattutto per “Le scienze” che rappresenta come sempre la voce dell’ortodossia “scientifica” ufficiale, si tratta “semplicemente” di anticipare l’uscita dell’homo sapiens anatomicamente moderno dall’Africa, senza ovviamente valutare il fatto che questa uscita e questa supposta origine diventano sempre meno credibili.
Noi in questa area balcanica-ellenica abbiamo uno dei più antichi ominidi conosciuti, Graecopithecus Freibergi, “El Greco”, un homo primitivo vecchio di 700.000 anni, l’uomo di Petralona, il più antico homo anatomicamente moderno conosciuto in Europa e forse al mondo, Apidima 1. Come se non bastasse, è sempre in quest’area che abbiamo quelle che sembrano essere le più antiche civiltà al mondo: la cultura di Cucuteni sulle sponde del Mar Nero e la cultura del Danubio cui va attribuita l’invenzione della scrittura (tavolette di Tartaria). Ve n’è forse abbastanza perché si cominci a parlare piuttosto di Out of Balcans.
Out of Africa, si certo, e le razze umane non esistono, i migranti sono risorse e gli asini volano.
NOTA: Nell’illustrazione, la grotta e il teschio di Petralona
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