11 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, quarantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Ricominciamo la nostra analisi sulle ultime novità emerse dallo studio della nostra eredità ancestrale a partire dal mese di novembre 2020, anche se voi non leggerete queste righe prima dell’anno nuovo. La questione è facilmente spiegabile: il campo di cui ci stiamo occupando, l’archeostoria (confesso che mi piace da matti questo neologismo inventato dagli amici di “Ereticamente”) non è come la politica, lo sport o il gossip, dove si può contare su di un flusso costante e regolare di novità. Nel 2020 abbiamo avuto una vera esplosione di informazioni a questo riguardo, soprattutto nei mesi estivi, che io ho cercato di “smaltire” come ho potuto, considerando che i tempi tecnici delle nostra pubblicazione sono quelli che sono: come avrete notato, sono passato dalla formula dell’alternare un articolo de L’eredità degli antenati a uno di argomento vario, a una formula due a uno, e poi, negli ultimi due mesi del 2020, solo a L’eredità degli antenati, in modo da portarmi nell’anno nuovo meno “code” possibile di quello trascorso.

D’altra parte, avrete forse notato qualche segno di stanca. La quarantaquattresima parte, ad esempio, è dedicata quasi per intero a filmati apparsi su You Tube e ad altre fonti altrettanto irregolari, dove però spesso si trovano forse le cose più interessanti dal nostro punto di vista, voci che contrastano la falsissima interpretazione “ortodossa” delle nostre origini che ci si vuole “democraticamente” imporre, e a questo riguardo non si può fare a meno di evidenziare l’ottimo lavoro compiuto da “Survive the Jive” del nostro eccellente Tom Rowsell.

In ogni caso, voi non vi dovete preoccupare, se infatti dopo questa “piena” di notizie sulla nostra eredità ancestrale “le fonti” dovessero almeno per un po’ inaridirsi, questo non significa che abbandonerò il campo archeostorico. Fra le cose che ho dovuto forzatamente posporre, ce ne sono diverse che lo riguardano da vicino, a cominciare dalla serie di articoli Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, che conto di riprendere prima possibile.

Vediamo dunque cosa ci riserva questa parte ormai declinante del 2020.

“The Archaeology News Network” del 22 ottobre presenta un articolo firmato Università di Groeningen che ci dà conto dei risultati di una   ricerca condotta sui resti di insediamenti neolitici  nei Paesi Bassi, da cui risulta che l’agricoltura è comparsa in Olanda molto prima di quanto si pensasse. Gli archeologi Safoora Kamjan, Canan Ak’rlar, Daan Raemaekers (Università di Groningen) e Rosalind Gillis (Università di Algarve), in particolare hanno eseguito ricerche ed esaminato materiale osteologico nel sito di Schipluiden vicino all’Aia. Questi antichi olandesi erano contadini e allevatori dediti all’allevamento dei bovini. Stiamo parlando del neolitico medio (3600-3400 avanti Cristo).

Tutto ciò ci insinua sempre più il dubbio: e se l’agricoltura fosse comparsa prima in Europa che in Medio Oriente? Tutto quello che ci raccontano i libri di testo di ciò che è avvenuto anteriormente all’invenzione della scrittura, sarebbe da riscrivere!

 Sempre “The Archaeology News Network” il 30 ottobre presenta un articolo sull’uomo di Florisbad, un fossile ritrovato in Sudafrica nel 1932:

“Emiliano Bruner, un paleoneurologo del Centro Nacional de Investigacion sobre la Evolucion Humana (CENIEH), in collaborazione con Marlize Lombard, dell’Università di Johannesburg, ha appena pubblicato uno studio sul Journal of Anthropological Sciences che descrive i tratti della rete cerebrale di Florisbad, un fossile trovato in Sud Africa nel 1932, e le sue somiglianze con altre specie”.

Questo fossile presenta delle caratteristiche “strane”, un misto di Homo sapiens e umani più primitivi:

L’osso frontale di questo individuo, datato a circa 260.000 anni fa, ha una forma completamente moderna, che suggerisce una relazione spaziale tra viso e volta cranico molto simile a quella dell’Homo sapiens, (…). Tuttavia, l’osso parietale mostra un’anatomia molto simile a specie più arcaiche come H. heidelbergensis”.

Secondo l’articolo, che presenta la firma collettiva del CENIEH, questo fossile avvalorerebbe il concetto di un’evoluzione umana “a mosaico”, concetto davvero bizzarro se si pensa che gli esseri umani non sono batteri ma mammiferi superiori, e possono scambiarsi DNA solo in un modo, attraverso l’atto sessuale. Potremmo anche tralasciare il fatto che Homo heidelbergensis, definito sulla base di un solo ritrovamento, la mandibola di Maurer vicino a Hedelberg, gia peraltro classificata come erectus, e quindi vi sarebbero buone ragioni per considerarla una specie fittizia come l’“Homo abilis” di Luis Leakey, e al posto di heidelbergensis possiamo tranquillamente leggere erectus.

L’ipotesi  più logica è proprio che si tratti di un incrocio fra sapiens ed erectus, tra i sapiens venuti dall’Eurasia e il vecchio erectus africano destinato a essere la “specie fantasma” di cui hanno parlato i ricercatori dell’università di Buffalo nel 2017 e “L’uomo super-arcaico” ipotizzato dai ricercatori della Cornell e della Cold Spring Harbor nel 2020, sempre per spiegare la componente non sapiens degli odierni subsahariani che in alcuni casi arriva a sfiorare il 20% del patrimonio genetico. Oltre tutto si vede che sono chiaramente rispettate le leggi di Mendel che prevedono per i primi incroci una variabilità maggiore rispetto alle generazioni successive.

Tutto diventa molto chiaro solo che ci si liberi dalla palla al piede intellettuale dell’Out of Africa.

Il 6 novembre è “Il fatto quotidiano” a occuparsi di preistoria con un articolo di Valerio Turrini dedicato alla “Signora di Bietikow”, si tratta di uno scheletro femminile risalente a un periodo fra il 3.300 e il 3.400 avanti Cristo, dunque all’incirca contemporaneo di Oetzi, l’uomo del Similaun, che è stato casualmente ritrovato durante lavori di scavo in questa località nella Germania orientale vicino al confine con la Polonia.

I resti della “signora” devono essere ancora esaminati a fondo. Per ora, la dentatura molto rovinata suggerisce un’alimentazione prevalentemente a base di cereali duri, tipica del periodo neolitico.

Il 6 novembre sembra proprio essere la giornata delle donne della preistoria. Un sito che finora non conoscevo, “Appesi a un philum” riporta, citando il “National Geographic” come fonte, un team di ricercatori dell’Università della California avrebbero individuato e studiato nelle Ande peruviane un giaciglio che sarebbe stato scavato 9.000 anni fa, dove sarebbero stati trovati numerosi strumenti per la caccia e una mano umana (scheletrica? Mummificata?, l’articolo non lo dice). I ricercatori hanno dedotto che questi strumenti dovevano appartenere a una donna (forse dalle ossa della mano), e che di consguenza l’attività di caccia non dovesse essere una prerogativa esclusivamente maschile.

Ancora il 6 novembre si può segnalare sul sito dell’associazione Honebu un articolo del professor Luigi Montalbano, sul sito sardo di Monte D’Accoddi. Apprendiamo che la struttura è pre-nuragica, risale al quarto millennio avanti Cristo, e deve essere stata un luogo di culto per secoli, nel corso dei quali è stata oggetto di vari ampliamenti e rimaneggiamenti.

Sempre il 6 novembre, una giornata fruttuosa evidentemente, c’è da segnalare un nuovo articolo di Ashley Cowie su “Ancient Origins” dedicato ad un altro dei molti circoli megalitici inglesi, Mount Pleasant vicino a Dorchester, risalente a 4.500 anni fa, che è stato riportato alla luce nel 1970, si tratterebbe di un circolo molto vasto, l’autrice lo definisce un “mega henge” e, insieme agli altri più noti reperti dell’epoca, testimonierebbe un vero e proprio boom edilizio preistorico di queste strutture cerimoniali nell’Inghilterra meridionale.

Il giorno 7 è sempre Ashley Cowie su “Ancient Origins” a occuparsi della “Signora di Bietikow” con un articolo che ci fornisce qualche dettaglio in più rispetto a quello del “Primato nazionale”. Pare che la donna sia morta a un’età compresa fra i 30 e i 45 anni, e che la causa della morte sia stata proprio un’infezione dentale.

Facciamo, come si dice nei romanzi, un passo indietro. Come ricorderete, vi ho già accennato alla teoria secondo la quale una maggiore ascendenza neanderthaliana sarebbe correlata a una maggiore fragilità al covid19, manifestando un certo scetticismo in proposito. Bene, a quanto pare avevo torto in proposito. Michele Bettini, una delle persone che seguono con più attenzione i miei articoli su “Ereticamente” e i cui commenti si sono spesso rivelati preziosi, mi ha segnalato un articolo apparso il 25 ottobre sul sito inglese vdare.com e firmato Lance Walton, Genetic Differences in Coronavirus Mortality, che spiega esaurientemente la questione.

In Gran Bretagna c’è una popolazione di origine sud-asiatica (India, Pakistan, Bangla Desh) pari all’8% degli abitanti. A quanto pare essa ha una probabilità di essere colpita dal covid19 superiore del 30% rispetto alla restante popolazione dell’isola, soprattutto fra coloro che provengono dal Bangla Desh. Questi ultimi sono il gruppo umano con una maggiore concentrazione di geni di origine neanderthaliana. Fra questi la vulnerabilità al covid19 è correlata a un aplogruppo (gruppo di geni collegati) del cromosoma 3. Questo è stato accertato da ricercatori di indubbia serietà, lo svedese Svante Paabo, padre della paleogenetica e l’istituto Max Planck di Lipsia.

Quanto meno, possiamo constatare che la razza non è, come sostengono i democratici, un mero costrutto sociale, ma una precisa realtà biologica.

Sempre di Neanderthal si occupa “Le scienze” di novembre con un articolo di Giorgio Manzi che sembra essere specializzato in argomenti neanderthaliani, Il racconto di un Y. È una storia che abbiamo già visto: la progressiva sparizione nel DNA degli uomini di Neanderthal a partire da 300.000 anni fa, del cromosoma Y (quello che determina il sesso maschile) sostituito da quello dei sapiens anatomicamente moderni, fa supporre un’antica ibridazione, e conseguentemente una presenza di Homo sapiens in Eurasia molto più antica di quanto finora non si pensasse. Naturalmente, Manzi non rileva che questo è totalmente incompatibile con l’Out of Africa.

Sappiamo che la pandemia di covid19 ha modificato grandemente le nostre abitudini, costringendoci a sostituire quanto più possibile le interazioni fisiche con il virtuale o, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo essere grati all’esistenza di internet che ci permette di avere interazioni sociali anche in assenza di contatti fisici. In questa ottica, riprendo la segnalazione da “Archeologia, storia e misteri” circa due corsi on line tenuti dal professor Adriano Gaspani (adriano.gaspani.astro@gmail.com) domenica 22 e 29 novembre circa l’archeoastronomia del mondo celtico, I siti sacri celtici e I nemeton celtici.

Poiché siamo venuti in discorso sui Celti, si può segnalare che recentemente “Vanilla Magazine” ha dedicato un articolo alla tomba di Hochdorf. Quest’ultima è una sepoltura celtica che è stata ritrovata a Hochdorf am Enz a nord di Stoccarda, si tratta di una sepoltura principesca risalente alla prima Età del Ferro. L’uomo inumato, certamente un personaggio di alto rango, era accompagnato da uno dei più ricchi corredi funebri conosciuti, e la sua sepoltura é considerata l’equivalente europeo della tomba di Tutankhamon, anche se stranamente molto meno nota sui media, ma non ce ne stupiamo, sappiamo quanto sia diffuso il pregiudizio che induce a ingigantire tutto quanto è orientale, e a minimizzare tutto quanto è europeo.

Vi ho parlato varie volte delle piramidi altare, una tipologia di monumento megalitico etrusca o pre-etrusca che, a conti fatti, non sembra essere così rara, sebbene pare che i più conoscano soltanto la “piramide etrusca di Bomarzo, e su cui non mi risulta siano mai stati compiuti studi sistematici. Bene, l’8 novembre “Il messaggero” ospita un articolo di Maria Serena Patriarca che ce ne segnala un’altra, l’altare di Casole, o “piramide segreta” che si trova nella Tuscia viterbese, nascosta nei boschi vicino a Bassano in Teverina (Vt). Che cosa dire, se non che l’Italia ha un grande patrimonio archeologico, futto di un grande retaggio storico, ma ancora adesso in gran parte sconosciuto?

Un nuovo articolo di Ashley Cowie del 9 novembre su “Ancient Origins” ci dà una notizia allarmante: le autorità inglesi avrebbero deciso la creazione di un nuovo tunnel autostradale, denominato A303, che dovrebbe passare proprio accanto al circolo megalitico di Stonehenge, con prevedibili danni all’importante complesso preistorico. Archeologi, attivisti, druidi, persone comuni, si sono mobilitati contro questo progetto, con l’ntenzione di formare anche una barriera umana per fermare le ruspe. Secondo il professor Mike Parker Pearson, il ricercatore che nel 2005 ha dato il via alla serie di scavi e ricerche che hanno portato nuova luce sul monumento e sull’antica cultura del Wessex, nei campi attorno a Stonehenge potrebbero trovarsi sepolti ancora centinaia di reperti che potrebbero andare distrutti.

En passant, potremmo ricordare che non troppi anni fa, il clan Wallace in Scozia lanciò una petizione internazionale per impedire che fosse demolita la storica stalla dove fu catturato William Wallace “Braveheart”, l’eroe nazionale scozzese, per fare posto a un supermercato. Nulla da fare invece vi fu per la piramide di Nizza demolita negli anni ’60 del XX secolo per fare spazio a uno svincolo autostradale.

Al di là di tutto, noi non possiamo non rilevare che queste vicende hanno anche un forte valore simbolico: gli sfacciati simboli della modernità, l’autostrada e il supermercato contro, o come pretesti per la distruzione dei monumenti del passato, delle testimonianze fisiche della memoria storica e quindi in definitiva della nostra identità.

 

NOTA: Questa suggestiva rappresentazione di Stonehenge al tramonto, è precisamente quella che correda l’articolo di Ashley Cowie del 9 novembre su “Ancient Origins”. Caso singolare, l’autore della stessa è un italiano, Luca Oleastri che, caso ancora più singolare, è stato l’autore delle copertine di diversi miei libri di narrativa fantastica.

 

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