17 Luglio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, quarantaquattresima parte – Fabio Calabrese

Ripartiamo dalla fine di ottobre. In questo momento, sembra che la grande esplosione di nuove informazioni sulla remota preistoria che ha caratterizzato un’estate “di fuoco” si sia calmata.

Per intanto ricominciamo da qualcosa di molto più vicino a noi. Ultimamente, è tornato a girare sui social un articolo di Helmut Leftbuster apparso su “Il populista” nel dicembre 2018, che ci invita a Finirla coi sensi di colpa dell’Occidente basati sui falsi storici. Un invito che in questi due anni non ha perso per nulla di attualità, ma la ha semmai drammaticamente accresciuta, vista la violenza dei “Black Lives Matter” contro tutto ciò che è europeo, occidentale, “bianco”, e le mistificazioni ricorrenti nei riguardi della nostra storia remota e recente. La pura e semplice verità è che, mentre si batte la grancassa sulle presunte colpe degli Europei, si ignorano le aggressioni provenienti dal mondo islamico e dall’Asia da cui l’Europa si è dovuta difendere per secoli. Ultima in ordine di tempo, ma sicuramente non la meno devastante, quella ottomana, per tacere della crudele tirannia cui gli Ottomani hanno sottoposto gli Europei caduti sotto i loro artigli, con infami “tributi” come la confisca dei figli per allevarli nell’islam più fanatico e farne guerrieri per la causa del Profeta, i famosi giannizzeri.

È chiarissimo che ci si racconta una storia falsificata per indurci a un’accoglienza verso la feccia del Terzo Mondo le cui conseguenze siamo destinati a pagare molto care.

“Live science” dell’8 ottobre con un articolo di Tom Metcalfe ci informa che in Norvegia, ad opera di S’ren Diinhoff del Museo Universitario di Bergen sono stati riportati alla luce i resti di un tempio vichingo dedicato a Thor e Odino risalente all’ottavo secolo dopo Cristo. Finora resti templari simili erano stati trovati in Svezia e in Danimarca ma non in Norvegia.

E’ bello sapere che anche in un periodo difficile come quello attuale, le radici ancestrali europee sono sempre lì, pronte a riemergere.

 In genere, per motivi che non occorrerà spiegare un’ennesima volta, preferisco non seguire l’attività dei gruppi facebook, specialmente se questa attività consiste in null’altro che nel mettere dei link ad articoli già comparsi altrove e datati, ma, dato che come sappiamo, internet è un mare magnum nel quale è difficile orizzontarsi e qualcosa di valore può sempre sfuggire, sono sempre disponibile a fare un’eccezione nel caso che si tratti di qualcosa di realmente importante. Bene, questo sembra proprio essere il caso attuale.

Il 13 ottobre su “MANvantara” è stato postato un link a un filmato su You Tube dell’ottimo “Survive the Jive” del nostro eccellente Tom Rowsell, che abbiamo visto varie volte occuparsi di sbugiardare le bufale sulle quali si fondano l’ideologia e l’interpretazione delle nostre origini “democratiche” e “politicamente corrette” nonché quella congerie di falsificazioni e ciarlatanerie che oggi passa per scienza. L’argomento e il titolo del filmato è: Real Hyperboreans – Ancient North Eurasians. Altrettanto interessanti sono le note esplicative che accompagnano il filmato e costituiscono un vero e proprio articolo.

Si comincia con il notare che a dispetto delle affermazioni africano-centriche della “scienza” ufficiale, la vox populi continua ad accreditare piuttosto il mito dell’origine nordica e iperborea degli Europei (interpretando il concetto di “mito” nel senso alto datogli da Platone). Bene, ciò trova una piena conferma nei dati della genetica. La maggior parte del genoma degli europei attuali è infatti riconducibile a quello della popolazione che ha espresso la cultura proto-indoeuropea nota come Yamna o Yamnaya. A sua volta, questo deriva da due gruppi di popolazioni di cacciatori paleolitici note come “Eurasiatico settentrionale” e “Caucasico”. Il genoma caucasico si ritrova in particolare nel fossile umano noto come “Ragazzo di Ma’lta” (MA-1) vissuto nell’odierna Russia circa 20.000 anni fa. Entrambi i genomi risalgono a quelli dei cacciatori siberiani che alcune decine di migliaia di anni fa vivevano cacciando una megafauna di mammut e rinoceronti lanosi in un ambiente certamente più adatto alla vita di queste grandi creature e a quella degli uomini, di quanto non lo sia oggi, e probabilmente è proprio il ricordo di questo periodo, una sorta di riminiscenza ancestrale europea, alla base di tutti i miti sul paradiso perduto.

Ovviamente, ci si può solo augurare che “Survive the Jive” possa continuare il suo lavoro, una preziosa luce contro le tenebre delle mistificazioni “democratiche” e “politicamente corrette”.

Il 16 ottobre “La repubblica” on line ha riportato la notizia del ritrovamento nel Pulo di Molfetta (provincia di Bari), un sistema di grotte nonché un sito archeologico risalente al VI e V millennio avanti Cristo, di un idoletto preistorico, praticamente un grosso ciottolo su cui sono stati scolpiti i lineamenti schematici di una faccia umana, e sul retro un motivo a zigzag. Il ritrovamento è avvenuto a opera di un team di archeologi guidato da Annamaria Tunzi.

La sua importanza consiste nel fatto che le sculture in pietra di età neolitica sono molto rare, poiché all’epoca si preferiva lavorare materiali più teneri, come la terracotta o l’osso.

Si pensa che la figura fosse un oggetto di culto o facesse parte di un corredo funebre.

Proseguiamo con qualcosa di molto irrituale, non si tratta dell’articolo su una rivista, ma di un semplice post apparso su facebook firmato Gianni B. (non so se sia il caso di rendere pubblico il nome per esteso), datato 18 ottobre:

Ve lo riporto tale e quale.

Nella provincia pakistana di Khyber-Pakhtunkhwa risiede una Popolazione indo-europea che sostiene ancora la fede vedica e attraverso gli studi religiosi.

Si dice che adorino principalmente Indra.

Quando si pensa a questi continenti ora prevalentemente islamici, si deve ricordare che esistono sono ancora degli indigeni della terra in lotta per la loro fede ed etnia che adorano i vecchi dei come i loro e i nostri antenati”.

Se vi ricordate, mi sono occupato più volte di un’altra isola di resistenza all’islamizzazione, quella rappresentata dai Kalash dell’Afghanistan. Non si sarebbe molto lontani dalla verità attribuendo alle quattro religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo, islam, marxismo) la maggior parte dei mali del mondo. Fa sempre piacere scoprire che la loro vittoria è meno totale e definitiva di quello che credono i loro zelanti e intolleranti seguaci.

Viviamo purtroppo in un’epoca in cui l’ignoranza e la ciarlataneria “democratiche” sono assise sulle cattedre universitarie (ma anche ai livelli precedenti di ciò che chiamano istruzione, e da lì diffondono le loro mistificazioni “politicamente corrette”, mentre la verità, per potersi esprimere eludendo le maglie di una pesante censura, è costretta ad approfittare della relativa anarchia che per adesso vige ancora sui social media.

Non deve stupire quindi che spesso ci si debba affidare a niente di formalmente più autorevole dei filmati su You Tube che chiunque può postare, almeno fino a quando la “democratica” censura non avrà “democraticamente” chiuso anche questo canale.

Il 24 ottobre abbiamo un filmato postato da Bjorn Andreas Bull-Hansen  che ci illustra uno di quei concetti che a prima vista sembrerebbero essere chiari, semplici e banali fino a quando non ci rendiamo conto che si tratta di opporsi alla “democratica” cancellazione dell’identità storica dei popoli europei: la cultura scandinava e vichinga sono realmente esistite, sul che, considerata l’enorme quantità di reperti e di monumenti, dall’Età del Bronzo al medioevo, le costruzioni megalitiche, gli allineamenti di menhir e via dicendo, non potevamo nutrire il minimo dubbio.

Ma è evidente che oggi il mondo nordico è sotto attacco, e a darcene un’ulteriore riprova è un altro filmato di “Survive the Jive” del nostro infaticabile Tom Rowsell che è un’intervista con lo storico ed economista Sturla Ellingvåg che esprime un altro concetto apparentemente banale in risposta alle “democratiche” menzogne che oggi si stanno diffondendo: i popoli nordici esistono e hanno una precisa identità genetica e storica.

Io penso che abbiamo un preciso dovere di non abbassare la guardia: dopo il nord, si cercherà di distruggere il ricordo e l’eredità delle civiltà dell’Europa mediterranea, l’Ellade e Roma, alla fine vorranno persuaderci che tutto è venuto dall’Africa, non soltanto le lontane ascendenze biologiche della nostra specie, ma la civiltà, da coloro che nella realtà dei fatti, più che capanne di paglia e fango, non hanno mai saputo costruire altro.

Il 28 ottobre “The Archaeology News Network” ci annuncia che (ed è questo il titolo dell’articolo) Le incisioni di bisonti nelle grotte spagnole rivelano una cultura dell’arte comune in tutta l’Europa antica.

In sostanza si tratta di questo: la cultura gravettiana è una cultura del paleolitico superiore diffusa in gran parte dell’Europa tra 29.000 e 20.000 anni fa, tuttavia finora era sconosciuta nella Penisola iberica. Ebbene, secondo quanto riferisce “The Archaeology News Network”, riprendendo un articolo pubblicato da “Plos One”, recentemente un team di archeologi guidato da Diego Garate dell’Instituto Internacional de Investigaciones Prehistoricas de Cantabria ha scoperto nella Spagna settentrionale, precisamente in tre grotte nella regione basca di Aitzbitarte delle incisioni zoomorfe, bisonti ma anche cavalli e altri animali nello stile raffigurativo gravettiano.

L’importanza di questa scoperta consiste nel fatto che uno stile artistico omogeneo diffuso su di un’ampia area presuppone contatti fra le diverse popolazioni (chi di noi disegnerebbe in stile manga se non conoscessimo il Giappone?). Quanto meglio conosciamo questi uomini preistorici, tanto meno ci appaiono rozzi e primitivi.

Sempre nella stessa giornata del 28 ottobre (sarà che per noi questa data ha un significato speciale), “The Archaeology Magazine” riferisce del ritrovamento di un insediamento composto da 23 strutture risalenti all’Età del Ferro, all’800 avanti Cristo in Scozia, nella regione dell’Aberdeenshire, ad opera dell’archeologo Ali Cameron. Forse il rinvenimento di per sé non aggiunge tantissimo a quanto già sapevamo degli antichi scozzesi (si pensi a quella meraviglia che è il “Cuore neolitico delle Orcadi”), ma certo dimostra il costante interesse per il loro passato degli abitanti delle Isole Britanniche. Vorremmo poter dire altrettanto per l’Italia.

Una varietà umana (non si è trattato di una specie diversa dalla nostra, come dimostra il fatto che, esattamente come l’uomo di Neanderthal, si è incrociata con gli uomini “anatomicamente moderni” dando luogo a una discendenza fertile, ma una varietà, o per usare un termine oggi “politicamente scorretto” ma più chiaro, una razza) estinta e che solo oggi cominciamo a conoscere, è quella dell’uomo di Denisova.

A questo nostro misconosciuto parente “Science News” ha dedicato un articolo apparso il 29 ottobre e firmato Bruce Bower.

L’articolo ci parla dei denisoviani vissuti al di fuori della Siberia (Essi prendono il nome dalla grotta di Denisova in Siberia dove fu rinvenuto il primo fossile di questo gruppo), in particolare nella grotta di Baishiya sull’altopiano tibetano dove sono stati trovati loro resti.

Bower riassume i risultati del lavoro di diversi team di ricerca, dell’università cinese di Lanzhou, dell’Istituto di Biologia Evolutiva di Barcellona, dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva di Lipsia.

A quanto pare, i denisoviani avrebbero vissuto sull’altopiano tibetano per un lungo periodo, da 160.000 fino a 30.000 anni fa fino a incontrarsi e accoppiarsi con gli esseri umani “moderni”, e proprio da loro gli odierni tibetani avrebbero ereditato i geni per la resistenza al freddo e all’altitudine.

Che le popolazioni attuali dell’Asia e dell’Oceania abbiano una componente denisoviana nel loro patrimonio genetico, è confermato anche da un articolo apparso sempre in data 29 ottobre su “The Archaeology News Network”, e che indica come fonte Max Planck Gesellshaft (probabilmente un’emanazione dell’istituto di Lipsia).

I ricercatori tedeschi si sono concentrati sullo studio del DNA proveniente da due crani: uno ritrovato nella valle di Salkhit nella Mongolia orientale, appartenente a una donna vissuta 34.000 anni fa, e l’altro di un uomo ritrovato nella grotta cinese di Tianyuan non distante da Pechino, vissuto 40.000 anni fa. Nel DNA di entrambi è stata rilevata una componente denisoviana, con la differenza che mentre il cranio cinese è tipicamente mongolico, quello della donna di Salkhit ha rivelato anche una componente europide, e qui dovremmo ampliare il discorso all’antica presenza europide nell’Asia orientale di cui abbiamo parlato più volte, e al suo probabile influsso sulle civiltà dell’estremo oriente.

Una piccola nota a margine: il cranio di Salkhit, molto incompleto, è precisamente quello che in un primo momento era stato battezzato provvisoriamente come Mongolanthropus, invece la successiva analisi ha dimostrato che si tratta di Homo, e sapiens a tutti gli effetti, esattamente come vi avevo predetto a suo tempo.

Questo ci rimanda a un discorso molto importante: la tendenza dei ricercatori a battezzare, sulla base dei loro ritrovamenti, quanti più generi e specie umane od ominidi possibile, che regolarmente non reggono a un esame più attento: essi dovrebbero nelle loro intenzioni, costituire i pioli di una scala che porta gradatamente dalla scimmia all’uomo, secondo il dogma evoluzionista, eppure adesso vediamo chiaramente che questa scala non esiste, che non troviamo mai uomini-scimmia, ma solo scimmie con nessuna tendenza verso l’umanità (è questo il caso ad esempio degli australopitechi africani) o uomini compiutamente umani, Homo quanto lo siamo noi. È chiaro che tutto il discorso sulle nostre origini come specie andrebbe ripensato.

 

NOTA: Nell’illustrazione, ricostruzione del tempio vichingo i cui resti sono stati recentemente ritrovati in Norvegia.

 

 

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