A questo punto, al punto in cui siamo arrivati, riprendere in mano le fila del nostro discorso non appare facile. Questa serie di articoli, questa rubrica, se volete, ha da tempo subito un profondo rivolgimento. Come ricorderete, è tutto partito dalla scorsa estate, dall’arroganza e dal disprezzo dei nostri confronti dimostrati dagli Inglesi in occasione di quello che sarebbe dovuto essere semplicemente un evento sportivo, come la finale dei campionati europei di calcio. Forse gli Inglesi hanno bisogno che qualcuno gli insegni la loro stessa lingua, a cominciare dall’espressione fair play. A ogni modo, io sono dell’opinione che, per dirla con un modo di dire popolare, “non possiamo farci passare la mosca sotto il naso”.
Noi sappiamo che, purtroppo, in questa nostra Italia il sentimento di appartenenza nazionale e la solidarietà nazionale sono alquanto carenti, sono i frutti della (dis)educazione democratica che da noi ha disgraziatamente attecchito più che altrove, ma, per quanto mi riguarda, non nutro il minimo dubbio: chi insulta l’Italia, insulta me, e spero che la maggior parte di voi la pensi allo stesso modo.
Questo ha comportato un problema non da poco per quanto riguarda questa serie di articoli: fino ad allora, mi sono servito di fonti britanniche come “Ancient Origins” e parlato con ampiezza di monumenti britannici come Stonehenge, ma non si possono rivolgere attestazioni di stima a chi ci disprezza. Mi sono ripromesso di non toccare più simili argomenti, nemmeno, ve l’ho già detto e lo ripeto, se da sotto il circolo megalitico di Stonehenge dovessero emergere Thule, Atlantide e il Santo Graal.
Mi sono trovato di fronte a un bivio: L’eredità degli antenati doveva cessare o subire una radicale ristrutturazione, un ridimensionamento. Ho scelto questa seconda via, anche per non deludere le aspettative di molti di voi.
Poiché, la cosa non è un mistero, preparo i miei articoli per “Ereticamente” con un discreto anticipo rispetto ai tempi di pubblicazione, per non buttare via tutto il lavoro già fatto, il periodo di fine estate Dello scorso anno è stato occupato da una serie di articoli già programmati, dopo aver espunto da ciascuno di essi qualsiasi riferimento alle Isole Britanniche, eccezion fatta per la denuncia del comportamento ingiurioso e offensivo degli Inglesi stessi che mi ha indotto a tale decisione L’ultima Eredità degli Antenati “regolare”, la settantesima, è stata pubblicata su “Ereticamente” il 27 settembre 2021.
Ad essa hanno fatto seguito una settantunesima parte dedicata a recensioni librarie, una settantaduesima in cui vi ho riferito delle conferenze da me tenute al festival celtico triestino Triskell, una settantatreesima e una settantaquattresima in cui ho tratto un po’ il bilancio di fine anno, e una settantacinquesima nella quale ho commentato alcune osservazioni mossemi dai lettori.
La settantaseiesima è stata una cosa ancora più particolare, infatti qui vi ho parlato dell’eredità dei miei antenati, senza però mai perdere d’occhio il quadro generale. La settantasettesima voleva essere una sorta di riassunto di ciò che questi anni di ricerca insieme sulla nostra eredità ancestrale hanno fatto emergere, prevedevo infatti che fosse l’ultima della serie. Una cosa del genere, però, è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto di fronte alla prospettiva di deludere le vostre aspettative. Intanto, per buona misura, ho pensato di aggiungere ancora un altro articolo, la settantottesima parte, in cui vi ho riferito i commenti in proposito dell’amico Michele Ruzzai.
Mi aspettavo quindi, riprendendo in mano le solite fonti che ho trascurato per circa sei mesi (tutta la seconda metà del 2021), di dover districare un arretrato considerevole, invece niente, consultando sia “Ancient Origins”, sia “The Archaelogy News Network” sia “The Archaelogy Magazine”, non ne è uscito fuori nulla di rilevante nell’arco di un semestre, a meno che non vogliamo interessarci, di mummie peruviane, tombe cinesi, leggende polinesiane, tentativi di individuare l’arca di Noè, ma è proprio la nostra eredità ancestrale europea che sembra caduta nel dimenticatoio.
Saranno gli effetti del “Cancel culture”, ma ho avuto la bizzarra sensazione di essermene venuto via appena in tempo.
E adesso? Adesso cercheremo di riprendere il filo del discorso con un articolo “regolare”, anche se la rinuncia alle fonti britanniche complicherà le cose, perlomeno nel senso di avere a disposizione una minore quantità di materiale, ed essere costretto a diradare le uscite di questi articoli.
Forse si potrebbe fare un’eccezione nel caso di un autore eccezionale e di meriti indiscutibili nella ricostruzione delle nostre reali origini come Tom Rowsell, ma non oltre.
Ricominciamo allora dalla conclusione di questo 2021 che proprio alle ultime battute ci ha rivelato alcune cose piuttosto sorprendenti. La notizia stavolta arriva da RAI News del 23 dicembre 2021. Voi sapete, e vi ho raccontato più volte che i famosi elmi cornuti che la fantasia popolare, alimentata da una serie di interpretazioni mediatiche del tutto scorrette, attribuisce ai vichinghi, sono una pura invenzione che non corrisponde alla realtà, e in effetti gli elmi vichinghi le corna non ce le avevano, questo non significa tuttavia che elmi cornuti non siano mai stati usati in Scandinavia. Se ne conosce almeno un esemplare, l’elmo Viks rinvenuto nel 1942, munito di corna e becco, ma non risale all’età vichinga, tracce di materiale organico rinvenuto al suo interno hanno permesso di datarlo all’Età del Bronzo, 1500 anni prima dell’età vichinga. Bene, recentemente ricercatori danesi del Moesgaard Museum e dell’Università di Aarhus, studiando l’elmo Viks, hanno notato la somiglianza con analoghi reperti sardi di età nuragica. Questo li ha spinti a ipotizzare un collegamento, possibili scambi commerciali fra le due culture dell’Età del Bronzo così distanti come quelle scandinava e nuragica, collegamento, ipotizzano, che deve essere avvenuto via mare.
Noi sappiamo che i Sardi presentano la condizione particolare di una cultura isolana non marinara, ma questo non si è verificato che a partire dal medioevo, quando le incursioni saracene hanno costretto la popolazione sarda a rifugiarsi all’interno dell’isola, e abbiamo tutti i motivi di supporre che nell’antichità e nella preistoria le cose stessero in maniera ben differente.
Sempre in questo periodo, abbiamo una notizia su “ArcheoMedia.net”. E’ stato effettuato un nuovo studio su Takabuti, una mummia egizia conservata al Museo dell’Ulster di Belfast, comprensivo di analisi del DNA. Takabuti era una giovane donna, figlia di un sacerdote di Amon, vissuta 2.600 anni fa all’epoca della XXV dinastia e morta precocemente attorno ai vent’anni uccisa da una pugnalata. La mummia si è conservata in condizioni ottimali al punto che il suo cuore è intatto.
La ragazza aveva i capelli biondi e ricci, e presentava un DNA di tipo europeo.
Non è qualcosa che ci sorprende, ma una conferma di qualcosa che sapevamo già: le élite egizie erano nettamente più europidi, “bianche” della popolazione complessiva e degli Egiziani di oggi. A mio parere, è in ciò che trova una risposta il mistero della civiltà egizia, una civiltà che “nasce adulta” partendo subito con grandi realizzazioni come le piramidi di Giza, ma poi non innova nulla per tremila anni, anzi sembra andare incontro a una progressiva perdita di capacità e competenze (le piramidi, ad esempio, sono temporalmente confinate alle prime dinastie dell’Antico Regno, dopo di esse, gli Egizi non sembrano più capaci di erigerne), una perdita di creatività che si può mettere direttamente in relazione con l’affievolirsi del sangue europeo.
Sono concetti già noti ma che vale la pena di ripetere, soprattutto oggi che in obbedienza ai dogmi del “politicamente corretto” democratico ma in spregio ai fatti, si tende ad enfatizzare certi aspetti della storia egizia, ad esempio la questione dei “faraoni neri”. Cosa c’è di vero? Semplicemente il fatto che per una sessantina d’anni l’Egitto è stato governato da una dinastia di origine nubiana. Sessant’anni sono un po’ pochi per pretendere in base a essa di riscrivere una storia lunga tre millenni, ma poi erano davvero neri questi nubiani? Probabilmente non più degli Etiopi.
La Nubia corrisponde oggi alla parte settentrionale del Sudan, e noi sappiamo che oggi il Sud Sudan nero ha ottenuto al termine di un’estenuante guerra civile la separazione dal nord, proprio per le grandi differenze etniche e antropologiche che lo separano dalla regione settentrionale. Se la Nubia è bianca ancora oggi, immaginate come dovesse essere nell’età egizia. Quella dei faraoni neri è ciò che possiamo tecnicamente definire una frottola. Ma sappiamo che oggi le menzogne del “politicamente corretto” democratico tendo a imporre una deformazione della storia a base di frottole che inventano Etruschi, Romani, Inglesi medioevali, addirittura Vichinghi neri, immaginate se gli Egizi potevano sfuggire.
Intanto, abbiamo visto mostre sull’antico Egitto contestate dagli antirazzisti, perché mostrano Tutankhamon, Nefertiti, Cleopatra (che era greca) “troppo bianchi”, e questo antirazzismo svela il suo vero volto di razzismo anti-bianco.
Sembra che dobbiamo proprio tornare a parlare di elmi. Il 29 dicembre 2021 il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ha annunciato il ritrovamento sul bordo interno di un elmo etrusco proveniente dalla Necropoli dell’Osteria di Vulci rinvenuto nel 1928 e risalente a 2.400 anni fa, di una “strana” iscrizione, (da destra a sinistra in alfabeto etrusco) HARN STE. Si suppone che essa sia stata incisa dal proprietario dell’elmo, che pare essere stato prodotto nella zona di Perugia, probabilmente per distinguerlo da altri simili appartenenti a commilitoni, e questo fa supporre che già allora simili oggetti fossero realizzati in una sorta di produzione in serie, il che fa apparire questa antica gente italica in una luce francamente più “moderna”.
Prima di concludere, diamo un’occhiata alla top ten delle scoperte archeologiche del 2021, così come ce la presenta “Il fatto storico”.
Della maggior parte di esse vi ho già parlato, quindi esimetemi dal tornarci sopra, ma ci sono ovviamente un paio di “buchi”, ad esempio il ritrovamento da parte di un team di archeologi russi dell’Accademia delle Scienze della Russia (si può parlare di Russia di questi tempi senza attirarsi i fulmini addosso?) nella necropoli scitica di Devitsa V, di una placca d’argento raffigurante una divinità femminile alata circondata da grifoni. Dovrebbe trattarsi di una raffigurazione della dea scitica Argimpasa, considerata dea della fertilità e regina degli animali, una sorta di versione scita di Artemide.
Altra scoperta importante: il ritrovamento in una villa pompeiana di una stanza perfettamente intatta (Sappiamo che la città distrutta dal Vesuvio è ancora oggi scavata solo in parte e può riservare agli archeologi non poche nuove sorprese, e questo rende ancora più impellente la necessità di proteggere questo importantissimo sito archeologico da fenomeni di degrado che si sono manifestati anche recentemente).
Si tratta per la verità di un cubicolo di modeste dimensioni, che si pensa fosse una stanza riservata agli schiavi. Con un paziente lavoro compiuto riempiendo con calchi di gesso le cavità rimaste nella roccia vulcanica, gli archeologi sono riusciti a ricostruire alcuni oggetti: tre letti e un timone di carro, inoltre sono stati ritrovati un vaso da notte, alcune anfore e una cassa di legno contenente oggetti in metallo e in tessuto.
Una scoperta della quale invece vi ho abbondantemente parlato, è quella del teschio dell’ uomo di Harbin, Dragon Man, la cu i datazione oscilla tra i 146.000 e i 309.000 anni or sono. Ve ne parlo ancora una volta perché anche “Il fatto storico” conferma l’ipotesi che io avevo avanzato sin dal primo momento, che non si tratti di “una nuova specie umana” ma di un denisoviano. Io non voglio qui vantare il mio intuito, ma diciamo che non ho l’esigenza sentita da tanti paleoantropologi professionisti di battezzare quante più specie possibile, anche a costo di rendere il nostro albero genealogico del tutto incomprensibile.
Arriviamo qualcosa di molto più vicino a noi, e non si tratta di una scoperta, ma dato che “Il fatto storico” lo cita nella top ten, e si tratta di un fatto di considerevole importanza, non vedo motivo per non menzionalo.
Nel 2021, l’UNESCO ha ampliato la lista dei siti patrimonio dell’umanità, aggiungendo tra l’altro diversi siti italiani, fra cui i portici di Bologna, e i cicli di affreschi del XIV secolo di Padova, fra i quali spicca la cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto. Con questo, l’Italia, con 58 siti riconosciuti patrimonio dell’umanità, risulta di nuovo essere in questo la prima nazione al mondo.
E’ un concetto che vi ho ribadito più volte: l’Italia ha un patrimonio storico, artistico e culturale immenso, ma sciaguratamente sembra che siano gli stranieri a interessarsene molto più di noi,
Sto stendendo questo articolo nei primi giorni di gennaio, anche se voi probabilmente lo leggerete molto più tardi. Adesso è difficile fare previsioni sull’anno nuovo, e non è facile nemmeno dire quale seguito avrà L’eredità degli antenati. Ciò di cui vi posso dare assicurazione è invece il mio impegno nel diffondere la conoscenza della nostra eredità ancestrale.
NOTA: Nell’illustrazione, la cappella degli Scrovegni di Padova, affrescata da Giotto, che nel 2021 l’UNESCO ha riconosciuto come patrimonio dell’umanità.