L’articolo che segue ha una fisionomia un po’ particolare. Per motivi che vi saranno probabilmente noti e che ho spiegato più volte, ero determinato, con il nuovo anno, a cessare L’eredità degli antenati, ma ho ricevuto da molti di voi l’invito a continuare un percorso che sembra abbia acquisito parecchi consensi e interessamento. Nel mese di gennaio “Ereticamente” ha ospitato la settantaquattresima e settantacinquesima parte, che insieme costituiscono un ampio compendio dell’annata 2021. A febbraio, questa serie di articoli è stata sospesa per concedere doverosamente spazio alla Giornata del Ricordo e al dramma delle foibe e dell’esodo. L’articolo che state per leggere l’avevo concepito come una sorta di numero di addio di questa serie di articoli, anche se ho poi deciso di farlo precedere (Settantaseiesima parte) da un testo inizialmente non concepito come parte di questa serie, che ho dedicato all’esplorazione delle mie personali radici dal lato materno, ma più Eredità degli antenati di così…
Come articolo di congedo, questo doveva essere un bilancio di ciò che questa serie di articoli ha fruttato in questi anni di ricerche, non sarà così perché L’eredità degli antenati continua, ma mi è sembrato ugualmente un testo importante da sottoporvi, e vi anticipo che prossimamente, nella settantottesima parte, sentiremo il parere di Michele Ruzzai.
Io adesso non sto a ripetervi ancora una volta i motivi per i quali questa serie di articoli dalla scorsa estate ha subito un radicale cambiamento, piuttosto, in vista di un suo possibile congedo, salvo accadimenti o scoperte eccezionali, a questo punto mi sembra più importante porre la questione di cosa essa ci abbia apportato in tutti questi anni, di conoscenze riguardo al nostro passato e a noi stessi.
Vi faccio subito presente che essa è “l’erede” di un’altra rubrica/serie di articoli che vi ho presentato su “Ereticamente”, Una Ahnenerbe casalinga. In sostanza si è trattato di una serie di articoli con la stessa impostazione ma con il titolo cambiato (o tradotto, Ahnenerbe in tedesco significa appunto “Eredità degli antenati”, ma ho pensato fosse meglio non rendere troppo evidente il riferimento all’omonima società esistita nel Terzo Reich).
Nella “libera” democrazia nella quale abbiamo la (s)ventura di vivere, “Ereticamente” rappresenta già un coraggiosa voce controcorrente, ma le disgrazie, perché andarsele a cercare di proposito? E sappiamo bene che quando si toccano certi tasti, il livello di tolleranza della “libera” democrazia si rivela straordinariamente basso.
La questione delle origini l’ho impostata fin da principio come una torta a quattro strati: l’origine della nostra specie, quella dei popoli indoeuropei, della civiltà europea, e infine di quello specifico popolo italiano/italico che siamo noi stessi.
A tutti e quattro questi livelli, troviamo una “verità ufficiale” che non è altro che una menzogna, le cui motivazioni sono quelle di sminuire l’immagine che abbiamo di noi stessi, di farci accettare l’immigrazione allogena e la sostituzione etnica. L’Out of Africa che attribuisce a Homo come specie un’origine africana, la “teoria” del nostratico che vede negli Indoeuropei agricoltori di origine mediorientale imparentati con semiti e camiti (in pratica la storiella biblica dei tre figli di Noè), la persistente favola dell’Ex Oriente lux, che immagina la civiltà sorta in Medio Oriente, nella cosiddetta mezzaluna fertile, ed estesa all’Europa per contagio, e infine l’altra favola secondo la quale gli Italiani sarebbero etnicamente del tutto disomogenei, che in pratica, al di là di un lieve collante culturale, non esisterebbero. Sulla falsità e infondatezza di tutte e quattro queste concezioni, mi sono diffuso a lungo, in un’analisi che, tra Una Ahnenerbe casalinga e L’eredità degli antenati ha sorpassato i 170 articoli, e abbiamo visto che i fatti danno a esse solo smentite.
Noi potremmo perfino tralasciare il fatto che la falsificazione delle nostra storia si è fatta così spudorata da essere perfino grottesca, con l’invenzione, contro ogni evidenza storica e antropologica, di Etruschi, Romani, Inglesi, addirittura Vichinghi neri, quello che interessa all’ideologia democratica imperante, non è certo la verità. Assumendo la forma del catechismo “politicamente corretto”, essa si svela di fatto un’ideologia arbitraria e tirannica non meno di quanto lo fosse il comunismo sovietico.
Premesso tutto ciò, e assodato che l’impostazione che abbiamo visto negli articoli precedenti è sostanzialmente confermata dai fatti man mano venuti alla luce, ora il quesito da porsi, è quali novità L’eredità degli antenati ci ha portati a scoprire in più rispetto a Una Ahnererbe casalinga.
Scopriamo prima di tutto un senso d’inquietudine e frustrazione dei ricercatori che scoprono una sempre maggiore difficoltà a conciliare i fatti che emergono dalla ricerca, con l’impostazione teorica che per motivi ideologici sono costretti a tenere. Una situazione che ricorda molto quella dell’astronomia prima di Galileo, quando gli astronomi erano costretti a inventarsi una serie infinita di epicicli, punti equanti e ogni genere di complicazioni, pur di non contraddire il dogma del geocentrismo.
Una novità che ci ha portato il 2021 è costituita appunto da una serie di apparentemente sconcertanti dichiarazioni nel ricostruire la storia della nostre origini che – attenzione – non vengono da ricercatori marginali o estranei al mondo accademico, ma da quelli che sono veri e propri templi della ricerca scientifica, come il Max Planck Institute di Jena o il newyorkese American Museum of Natural History.
Il 13 febbraio 2021, su “Ancient Origins” un articolo di Alicia McDermott riporta:
“Attualmente non è possibile identificare alcun momento specifico in cui l’ascendenza umana moderna fosse confinata in un luogo di nascita limitato, e che i modelli della prima comparsa di tratti anatomici o comportamentali utilizzati per definire l’Homo sapiens siano coerenti con una serie di storie evolutive.” .
Detto in poche parole, la ricerca paleoantropologica brancola nel buio. Questa, lo sottolineo, non è l’affermazione di qualcuno al di fuori degli ambienti scientifici ufficiali. A fare questa affermazione non è Tom Rowsell né il sottoscritto, questa è la conclusione a cui è giunto uno studio congiunto degli esperti del Francis Crick Institute e del Max Planck Institute di Jena. Come vi ho già detto, mi sembra legittima l’ulteriore conclusione che questo fallimento sia dovuto al fatto che i ricercatori, nonché difensori della vulgata “scientifica” ufficiale si siano intestarditi (e continuano a intestardirsi) per motivi ideologici e non scientifici sul dogma dell’Out of Africa, della presunta origine africana della nostra specie.
La stessa conclusione, la stessa confessione di smarrimento e fallimento la troviamo in un articolo di Lorenzo Fargnoli apparso su “Science Fanpage” che confessa (e si intitola) Abbiamo sbagliato tutto sull’origine dell’uomo.
Il 6 maggio “The Archaeology News Network” presenta un articolo il cui titolo è già tutto un programma: La maggior parte delle teorie sulle origini umane non sono compatibili con i fossili noti. (fonte: American Museum of Natural History).
L’articolo raccoglie a tal proposito la lamentela di Sergio Almécija, ricercatore senior presso la Divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural History.
“Quando si guarda la narrazione delle origini umane, è solo un grosso casino [testuale]”, riferisce Almécija, “Non c’è consenso di sorta […] Le persone lavorano con paradigmi completamente diversi, ed è qualcosa che non si vede accadere in altri campi della scienza”.
Tutto questo non dipenderà dal fatto che, guardando all’Africa come sede ancestrale dell’umanità, i ricercatori hanno girato il binocolo dalla parte sbagliata?
A mio parere, la prova regina, la prova decisiva contro l’Out of Africa viene dalla paleogenetica. Lo studio del DNA degli uomini preistorici ha rivelato le tracce di ripetuti incroci fra gli uomini di Cro Magnon (i nostri antenati più diretti) e gli uomini di Neanderthal e di Denisova, gli uni e gli altri presenti in Eurasia da qualcosa come mezzo milione di anni. Incroci che danno luogo a una discendenza fertile (noi), significano solo una cosa: appartenenza alla stessa specie. Neanderthaliani e denisoviani erano sapiens quanto lo siamo noi, avevano probabilmente rispetto a noi una differenza non di specie, ma (uso una parola che riempie di orrore i buoni democratici) razziale.
Ora, si capisce bene, se Homo sapiens era presente in Eurasia già centinaia di migliaia di anni fa, che senso ha sostenere che sarebbe “uscito dall’Africa” qualche decina di migliaia di anni fa?
Tanto meno si dimostra credibile il tentativo di “scurire” gli Europei dal neolitico in poi fino ad arrivare, come abbiamo visto, a popoli storici. Queste sono mere ridicolaggini dettate dall’estremismo ideologico in un campo dove non ce ne dovrebbe essere.
Ma l’analisi del DNA antico ci ha rivelato anche altro. Infatti, oltre alle impronte molto chiare lasciate da neanderthaliani e denisoviani, troviamo anche tracce più antiche di quello che i ricercatori hanno chiamato DNA super-arcaico. L’ipotesi più ragionevole, è che si tratti di DNA di Homo erectus, pure con il quale i nostri remoti antenati devono essersi accoppiati.
Homo erectus è un personaggio ancora misterioso, sebbene il fatto stesso che si sia accoppiato e abbia avuto una discendenza fertile con i nostri remoti antenati, faccia sospettare che le due specie di Homo non fossero molto distanti, o che non si trattasse per nulla di due specie.
Ancora misterioso, ma, esattamente come è successo per l’uomo di Neanderthal, quanto più lo conosciamo, tanto meno sembra coincidere con l’immagine del bruto semi-scimmiesco come l’abbiamo sin qui considerato.
Nel 2020 nella località di Plakia nell’isola di Creta è stato individuato un sito paleolitico che ha restituito numerose asce e strumenti litici di stile acheuleano datati fra 130.000 e 190.000 anni fa. L’acheuleano è lo stile di lavorazione della pietra tipico di Homo erectus. Creta è un’isola da almeno 5 milioni di anni, e per poterla raggiungere, gli erectus devono aver posseduto qualche forma di navigazione.
Ma la prova più convincente dell’umanità di erectus mi sembra sia quella emersa dal sito di Dmanisi in Georgia. Qui è stato ritrovato il teschio di un uomo molto anziano, del tutto edentulo, che aveva cioè perso tutti i denti in vita. Quest’uomo non avrebbe potuto sopravvivere e arrivare a tarda età senza il costante aiuto dei membri del suo clan, probabilmente i suoi familiari.
Onestamente, considerando il fatto che molti fra noi non vedono l’ora di liberarsi dei genitori anziani scaricandoli in qualche casa di riposo, chi sono i bruti lontani dall’umanità, gli uomini di Dmanisi o noi?
Al contrario, le credenziali di precursori dell’umanità degli australopitechi africani, negli ultimi anni si sono fatte sempre più dubbie. Una ricerca condotta da un team di ricercatori inglesi guidati da sir Solly Zuckermann, il maggiore studioso vivente di anatomia comparata, sullo scheletro della famosa Lucy, ha concluso che si trattava di una scimmia estinta senza alcun rapporto con l’umanità. Contemporaneamente, una ricerca condotta da un team di zoologi sudafricani sull’orecchio interno del teschio di un altro famoso australopiteco, Lightfoot, “Piedino”, ha dimostrato che si trattava di una creatura quadrupede che non camminava eretta.
Se tanto non bastasse, le stesse caratteristiche ritenute precorritrici dell’umanità che hanno consentito di collocare gli australopitechi nel nostro albero genealogico (dentatura “ad arco” invece che “a scatola”, assenza del grande canino tipico di gorilla e scimpanzè) sono state ritrovate anche in antropoidi non africani, il toscano Oreopithecus bambolensis, e il balcanico Graecopithecus Feibergi, “El Greco”, soprattutto quest’ultimo ha provocato le reazioni isteriche dei democratici, nemmeno assieme alle sue ossa fosse stata ritrovata una tessera fossile del PNF o del NSDAP.
Ma non è solo l’Out of Africa a essere divenuta insostenibile. Pensateci un attimo. Noi troviamo sempre e solo o uomini compiutamente umani (compreso erectus), oppure scimmie (compresi gli australopitechi) senza alcuna tendenza verso l’umanità, non troviamo mai uomini-scimmia, creature di transizione fra la scimmia e l’uomo, anelli mancanti. E’ il concetto stesso di evoluzione, almeno nella sua forma classica di graduale passaggio verso forme man mano meno scimmiesche e più umane, che va ripensato.
A questo riguardo sarà bene essere chiari. Alcuni mi hanno chiesto:
“Non sei evoluzionista, allora sei creazionista?”
E’ un classico esempio di quello che io chiamo pensare a blocchi, che riduce la questione delle origini a un aut aut fra la moderna favola di evoluzione/progresso e la vecchia favola biblica, ma per noi che siamo adulti e non crediamo nelle favole, possibile che non esistano altre opzioni?
Comincio con il notare che quello che oggi si chiama evoluzionismo non è perlopiù corrispondente al pensiero del grande naturalista Charles Darwin, vi aggiunge un concetto di sviluppo ascendente, di fusione con il concetto sociologico di progresso derivato da tutt’altri ambiti e un giudizio morale che Darwin avrebbe certamente rifiutato (e in effetti rifiutò l’uno e l’altro nel corso della sua vita), e in compenso lo mutila di alcuni aspetti essenziali: “il motore” delle trasformazioni degli esseri viventi è la selezione naturale, la lotta incessante che oppone l’uno all’altro. In questa ottica, il suo pensiero ricorda molto una concezione assai antica, precedente al cristianesimo, quella di Eraclito. L’evoluzionismo è così come lo conosciamo oggi è dunque una versione addomesticata, buonista, “politicamente corretta”, adattata a fare da supporto all’ideologia progressista.
Che le specie viventi mutino nel tempo, è una banalità, della quale chiunque si può rendere conto pensando al fatto che ad esempio non vediamo in giro dinosauri viventi.
Il creazionismo, che riduce la storia della Terra a poche migliaia di anni per aderire al testo biblico, è in conflitto non solo con la biologia e la paleontologia ma anche con la geologia, vuole sostituire la scienza con una favola per bambini a cui una persona intelligente e colta dovrebbe vergognarsi di voler credere.
Tuttavia, che il mutare delle specie nel tempo vada interpretato come “sviluppo ascendente” rimane tutto da dimostrare. Julius Evola ha osservato che esso può non significare affatto uno sviluppo ascendente, al contrario, può significare la caduta nel piano materiale di entità man mano superiori, essere, in prospettiva cosmica, un sintomo di decadenza. Il barone siciliano ci ha offerto in sostanza un’alternativa valida tra lo sciocchezzaio progressista e la favola biblica.
Il guaio, però, è che ci sono in giro molti cosiddetti evoliani che hanno colto l’anelito antiprogressista del Maestro, ma non ne hanno capito il ragionamento “troppo difficile”, di conseguenza non è rimasto loro che ricascare nel creazionismo abramitico.
Questo, probabilmente, non è il solo motivo per cui molti sedicenti tradizionalisti nel corso degli anni sono passati da evoliani a cattolici, gioca il fatto di potersi appoggiare a un’autorità, un’istituzione consolidata e ramificata come la Chiesa cattolica (ma – mi viene da osservare – se non sei una pecora, non hai alcun bisogno di un pastore), ma indubbiamente ha il suo peso.
A sentire quanto raccontano molti di costoro, Julius Evola sarebbe stato una specie di “ponte” che avrebbe consentito loro di tornare nelle braccia di Santa Madre Chiesa, e hanno ritenuto di aver “approfondito” il pensiero del Maestro, quando l’hanno solo frainteso o tradito. E’ difficile dire se ciò sarebbe stato per il barone siciliano maggiore motivo di irritazione o di sarcasmo, ma certamente di disprezzo.
NOTA: Nell’illustrazione, come di solito viene rappresentata l’evoluzione umana, come graduale passaggio dalla scimmia all’uomo, un’idea che oggi scopriamo essere falsa.
2 Comments