25 Giugno 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, trentesima parte – Fabio Calabrese

Siamo oramai, passata la data del solstizio, in estate e nella seconda metà dell’anno. Abbiamo visto nella ventinovesima parte una concentrazione di eventi davvero notevole intorno al solstizio estivo ma, come capite, il discorso è tutt’altro che concluso e questo periodo, in coincidenza con la massima altezza del sole sulla volta celeste, sembra davvero un periodo “magico”.

Ricominciamo a parlare dell’Italia. Come abbiamo visto le volte scorse, questo periodo di metà 2020 sembra fitto di nuove scoperte archeologiche riguardanti la nostra Penisola. L’ultima, per ora, è riferita in un articolo del “Resto del Carlino”, il quotidiano bolognese, del 24.6 a firma di Matteo Radogna: Un villaggio villanoviano sotto il cantiere.

A Granarolo, cittadina della provincia bolognese, durante i lavori per la realizzazione del parcheggio di un supermercato, sono emersi i resti di un insediamento, forse di un villaggio dell’Età del Ferro. Gli archeologi, ci si racconta, “stanno raccogliendo importanti reperti sotto lo sguardo incuriosito dei passanti, visto che a fianco dello scavo corrono villette, marciapiedi e negozi”. Il sito, ci racconta l’articolista, ha un’estensione maggiore di quella di un campo di calcio.

Noi, a nostra volta, possiamo ricordare che la poco conosciuta (al grosso pubblico e sui testi storici) cultura villanoviana si pone come fase intermedia fra la cultura terramaricola e quella etrusca, che ne rappresenta la fase più matura e ormai emersa alla luce della storia. In realtà, anche se con una di quelle strane amnesie che sembrano essere create apposta per difendere la strabica visione medioriental-centrica, il grosso pubblico non ne è stato informato, il famigerato “mistero degli Etruschi” è stato da tempo risolto, l’archeologia e i dati della genetica danno un responso assolutamente concorde: la leggenda dell’origine anatolica degli Etruschi, sebbene avallata da Erodoto, può essere tranquillamente respinta nel mondo delle favole ed è semplicemente un corollario della persistente illusione della “luce da oriente” (che, come ho chiarito più volte, non abbiamo inventato noi moderni, ma è frutto di quella persistente malattia dell’animo europeo che è il gusto per l’esotismo).

La civiltà etrusca nasce come evoluzione del sostrato del più antico popolamento della nostra Penisola precedente all’arrivo degli Indoeuropei, e si sviluppa attraverso la fase della cultura delle Terramare e poi di quella di Villanova, è autoctona nel pieno senso della parola, se questo termine ha un significato.

Sempre in questa giornata di mercoledì 24, si può menzionare un breve articolo comparso su una fonte alquanto insolita per queste tematiche, su “Nonsolonautica” a firma di Fabio Iacolare: Finale ligure, riapre il sito archeologico della caverna delle Arene Candide.

Ricordiamo che quello delle Arene Candide a Finale Ligure in provincia di Savona, è uno dei più importanti siti archeologici paleolitici di tutta Europa. In questa grotta sono stati ritrovati i resti di ben 19 sepolture risalenti al Paleolitico superiore, fra cui in particolare quella di un giovane quindicenne noto come “il giovane principe”, dotata di un corredo funebre particolarmente ricco.

E’ una soddisfazione sapere che, sempre Covid19 permettendo, questo sito è stato riaperto al pubblico. Maggiore è la consapevolezza del lungo passato che abbiamo alle spalle, maggiore può essere la speranza per il futuro.

Sembra che finalmente una parte almeno dell’establishment archeologico abbia deciso di dedicare alle culture dell’Europa neolitica un’attenzione maggiore di quella loro riservata nel passato. Sempre il 24 giugno (ma ha qualcosa di speciale questa data?), è apparso su “Ancient Origins” un articolo a firma di Aleksa Vu’kovi dedicato alla cultura dell’ascia da combattimento.

Quest’ultima si diffuse nella Scandinavia meridionale, ed è considerata una variante della cultura della ceramica a corda, ampiamente diffusa in vaste aree dell’Europa centrale e meridionale. I suoi creatori avrebbero raggiunto la Scandinavia via mare e qui l’isolamento geografico avrebbe col tempo portato a differenze riconoscibili rispetto alla cultura di origine. Entrambe, poi, sarebbero state a loro volta originate dalla cultura Yamna (o Yamnaya) considerata proto-indoeuropea, è dunque di culture indoeuropee che si tratterebbe.

La cultura dell’ascia da combattimento è stata così denominata per il gran numero di teste d’ascia che sono state ritrovate in connessione con essa, molte di esse sono così accuratamente rifinite da far pensare a oggetti cerimoniali piuttosto che ad arnesi di uso quotidiano.

Temporalmente essa copre il tardo neolitico, l’Età del Rame, gli inizi dell’Età del Bronzo. Gli uomini appartenenti a questa cultura pare fossero marinai, pescatori, forse anche pirati.

Sappiamo che essa si espanse fino alle Isole Britanniche, dove vi portò la lavorazione dei metalli e soppiantò quella dei costruttori di megaliti. Noi sappiamo che nel Medioevo la storia britannica è stata variamente condizionata dalle incursioni e dalle conquiste vichinghe, una vicenda iniziata nel 793 con il saccheggio dell’abbazia di Lindisfarne e conclusa con la conquista nel 1066 del trono inglese da parte di Guglielmo di Normandia, da cui, attraverso complesse vicende dinastiche, discendono ancora gli attuali reali britannici. Bene, potrebbe essere stata la ripetizione di una storia già accaduta molto tempo prima.

Io vorrei precisare che per quanto riguarda la numerologia, personalmente le attribuisco la stessa credibilità dell’astrologia, cioè nessuna, tuttavia si può segnalare quella che è una bizzarria, una curiosità, probabilmente solo una coincidenza. Questi tre eventi: l’articolo del “Resto del Carlino” sul ritrovamento del villaggio villanoviano, l’annuncio della riapertura del sito delle Arene Candide, e l’articolo di “Ancient Origins” sulla cultura dell’Ascia da Combattimento, sono tutti e tre datati 24 giugno. Ora pare che se c’è una data, un numero singolarmente ricorrente, “magico” per quanto riguarda gli avvenimenti storici, sia proprio il numero 24.

Prendiamo la prima guerra mondiale ad esempio, l’Italia entrò in questo conflitto il 24 maggio 1915. Il 24 ottobre 1917 il fronte italiano subì lo sfondamento di Caporetto. Il 24 giugno 1918 ci fu la battaglia del Piave, il fallito tentativo austriaco di oltrepassare la linea difensiva rappresentata da questo fiume, battaglia che anche per la vicinanza temporale con il solstizio estivo, è ricordata come Battaglia del Solstizio. Infine, il 24 ottobre 1918, a un anno esatto da Caporetto, lo scontro risolutivo di Vittorio Veneto. Conclusioni? Le lascio a voi. O il dio delle coincidenze ha fatto veramente gli straordinari, o il numero (la data del) 24 ha davvero un significato “speciale”.

Come avete visto, quest’anno abbiamo proprio nel periodo del solstizio estivo una concentrazione di eventi davvero notevole, anzi, per dirla tutta, era molto tempo che non mi accadeva di dover o poter dedicare un intero articolo di Una Ahnenerbe casalinga/l’eredità degli antenati a degli eventi che si sono accavallati in un arco temporale così ristretto, tre o quattro giorni. Potenza del Sol invictus al culmine del suo percorso annuale sulla volta celeste?

Vi devo però confessare un certo rammarico. Immagino saprete che è finalmente uscito presso le edizioni Ritter il mio libro Alla ricerca delle origini, che penso sia una buona sintesi delle ricerche sulla nostra eredità ancestrale che ho svolto in questi anni, e delle quali attraverso gli articoli su “Ereticamente”, vi ho puntualmente messi a parte.

Il Triskell, il festival celtico triestino che solitamente si svolge nella terza decade di giugno e col quale negli ultimi anni ho collaborato come conferenziere, sarebbe stato proprio l’occasione giusta per presentare il libro a un pubblico più vasto. Purtroppo, a causa dell’epidemia di coronavirus, il festival è stato rimandato al mese di settembre, e sempre sperando che per allora non si ripresenti la famosa “seconda ondata” di covid19 che qualcuno ventila.

Non importa, siamo qua e terremo la posizione comunque vadano le cose, nello spirito di una battaglia che non è soltanto culturale.

Il 26 giugno troviamo su facebook la segnalazione, verrebbe da dire l’ennesima, di un sito in lingua inglese, “Push Commey – Real African Education” (probabilmente afroamericano) che riattacca con la favola dell’origine subsahariana degli Etruschi. Per l’ennesima volta, saremmo tentati di sorridere di una simile stramberia, ma non dobbiamo dimenticare che simili deliri fanno parte di una strategia di falsificazione della nostra storia, volta a umiliare, svilire, distruggere tutto ciò che è europeo, caucasico, “bianco”, che oggi queste farneticazioni sono diventate materia di insegnamento nella scuola americana e stanno prendendo piede anche da noi. Il concetto di base è sempre quello che – orwellianamente – non è vero quello che è vero ma quello che si riesce a far credere alla gente, gente in cui l’ignoranza della storia è stata deliberatamente coltivata

Sempre il 26 giugno, abbiamo un nuovo articolo interessante dal nostro punto di vista apparso su “Ancient Origins” (il cui autore si firma Dhwty), ma la cosa migliore per darvi un’idea del suo contenuto, è forse quella di suggerirvi di dare un’occhiata alla figura al centro nell’illustrazione che correda questo numero. La figura che vedete è la ricostruzione del volto di un uomo mesolitico, vissuto 8000 anni fa, i cui resti sono stati ritrovati a Motala in Svezia in quella che è stata chiamata la tomba dei teschi sommersi (dove sono stati ritrovati i resti di altre dieci persone). La ricostruzione è opera di un artista forense. Oscar Nilsson, specializzato in questo tipo di ricostruzioni. Guardatelo, guardatelo bene: vi ravvisate qualcosa di subsahariano o di meno che caucasico?

Il 27 giugno su Greenme.it un articolo di Roberta De Carolis ci informa che è stato Scoperto l’insediamento vichingo che riscriverà la storia dell’Islanda, è il più antico mai ritrovato.

Avete presente Elon Musk, questo imprenditore che recentemente ha riaperto la corsa allo spazio? Beh, anche nell’archeologia sembra che stia avvenendo qualcosa del genere: l’iniziativa privata che si fa avanti per colmare i vuoti di quella pubblica ottenendo dei risultati inaspettati. Parliamo in questo caso di un ricercatore islandese, Bjarni Einarsson a capo di un’agenzia di ricerca privata, che in Islanda nel fiordo di Stod avrebbe portato alla luce l’insediamento vichingo più ricco di reperti mai trovato, risalente all’874 d. C., che include monete romane e mediorientali, lingotti d’argento, eccetera, che testimoniano quanto già fosse estesa all’epoca la rete di relazioni che i Vichinghi avevano intessuto con le civiltà mediterranee.

Ma la vera sorpresa doveva ancora venire, perché al disotto di questo insediamento sono stati ritrovati i resti di un altro più antico che pare risalire all’800, cioè ben prima di quando si è fin allora ritenuto fosse iniziata la colonizzazione vichinga dell’isola, e non deve essersi trattato certo di un accampamento provvisorio.

Gli edifici”, riferisce l’articolista, “appaiono costituiti da grandi sale di legno, lunghe fino a 75 metri, coperte di erba e paglia e utilizzate come abitazioni comuni durante l’era vichinga. Erano divisi in stanze e potevano essere condivisi da diverse famiglie. Gli studiosi ritengono che si costruissero fuochi in focolari di pietra al centro e che gli animali fossero sistemati lì in modo che fossero protetti dal freddo”.

Mercoledì 1 luglio “Ancient Origins” dedica un articolo a firma di Dhwty a Iperborea, intitolato (tradotto in italiano) Iperborea: terra mitica che ha affascinato gli scrittori del mondo antico. Di Iperborea, nota l’autore, hanno parlato tra gli altri i greci Erodoto e Pindaro e il romano Plinio il Vecchio. Letteralmente, Iperborea significa “Al di sopra del vento del nord”. Terra mitica immaginaria? Dhwty non ne è troppo convinto. Diversi resoconti greci non fanno pensare a una terra immaginaria, riferiscono di viaggiatori che avrebbero raggiunto Iperborea o addirittura provenienti dalla stessa.

L’autore osserva che poiché secondo la mitologia greca il dio Borea, personificazione del vento del nord abitava in Tracia, Iperborea potrebbe indicare semplicemente una terra a nord della Tracia, corrispondente alla Dacia e alla Pannonia, alla riva settentrionale del Danubio. E’ un’ipotesi che non incontriamo per la prima volta. Terra immaginaria o antica Dacia? C’è anche una terza possibilità: che si sia trattato di una terra reale collocata all’estremo nord in un’epoca molto antica, in cui il clima delle regioni artiche era molto diverso da quello di oggi.

Naturalmente, non credo di aver bisogno di confessarvi che anche senza una pronuncia definitiva a tal proposito (quando ci si riferisce a epoche così remote, mantenere una certa quota di dubbio è sempre consigliabile), per quanto mi riguarda, sento una maggiore inclinazione per quest’ultima ipotesi, alla luce del fatto che, come abbiamo visto diverse volte, ci sono prove abbondanti che le regioni artiche oggi sepolte sotto una lastra glaciale e praticamente inabitabili, avessero alcune decine di migliaia di anni fa un clima molto diverso da quello attuale, e ben più propizio all’insediamento umano, e anche sulla scorta degli autori tradizionali, Tilak ed Evola in primo luogo a questo riguardo.

Vorrei poi ricordare che, per quanti fossero interessati ad approfondire la tematica iperborea, il testo più completo (oltre che scritto in uno stile che lo rende una lettura assolutamente piacevole), è con ogni probabilità il libro Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta del nostro Gianfranco Drioli (Edizioni Ritter).

Il 1 luglio sembra essere stata per “Ancient Origins” la giornata delle terre misteriose, infatti, dopo Iperborea, la pubblicazione si occupa di Hi Brasil con un articolo di Brian Hill.

Questa è una storia davvero strana, si tratterebbe di un’isola varie volte avvistata e poi persa di vista, che si troverebbe nell’oceano Atlantico a ovest dell’Irlanda, ripetutamente riportata sulle carte nautiche tra il 1325 e il 1800, poi svanita senza lasciare traccia. Alla fine, i Portoghesi diedero il nome di Brasil (Brasile) alla punta più orientale da loro colonizzata dell’America del sud, che poi divenne il più vasto stato sudamericano, ma il mistero dell’isola scomparsa rimane.

Una cosa alquanto bizzarra: il 4 luglio è, come sappiamo, come credo che ormai sappiano anche i sassi, il giorno dell’indipendenza degli Stati Uniti, ci sarebbe stato da aspettarsi che quelli di “Ancient Origins” si prendessero per questo giorno una giornata di riposo, invece proprio allora è comparso un florilegio di articoli davvero notevole di cui sarà bene parlare, anche perché tra le altre cose si riparla di Atlantide, una tematica certamente vicina a quella di Iperborea, ma per il momento, per non rendere questo articolo chilometrico o comprimere il discorso oltre misura, sarà bene rimandare l’esame di ciò alla trentunesima parte.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra teste di ascia della cultura dell’ascia da combattimento, al centro, ricostruzione dell’uomo di Motala. A sinistra il libro di Gianfranco Drioli Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta, che è forse il testo più completo oggi disponibile sulla tematica iperborea.

 

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