18 Luglio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, ventitreesima parte – Fabio Calabrese

Di questi tempi sembra che il Friuli Venezia Giulia e Trieste siano diventati un po’ l’epicentro delle ricerche sulla nostra eredità ancestrale. Vi ho dato la volta scorsa la notizia che il nostro Michele Ruzzai è assunto a una dimensione internazionale con la pubblicazione del suo articolo L’uomo eterno e i cicli cosmici sulla rivista spagnola “Mos Maiorum”. Recentissima è poi la notizia dei risultati davvero singolari dell’analisi di un fossile umano ritrovato a Visogliano, una località del ristrettissimo territorio triestino, che parrebbe attribuibile all’uomo di Neanderthal e risalire alla bellezza di 450.000 anni fa, ma rimando il discorso su questo ritrovamento e sulle sue implicazioni a più avanti, a uno dei prossimi articoli di questa rubrica che sarà dedicato completamente a ciò.

Ci sarebbe per la verità anche un altro evento “triestino” più che meritevole di segnalazione, la decisione del consiglio comunale della città giuliana di celebrare il 12 giugno come giornata della liberazione di Trieste dall’occupazione delle truppe comuniste jugoslave che per quaranta giorni seminarono nella nostra città terrore e morte, e appunto il 12 giugno furono scacciate dai neozelandesi. Questa decisione fa singolarmente il paio con quella presa dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di istituire la giornata del 7 novembre, anniversario della cosiddetta “rivoluzione d’ottobre” (d’ottobre secondo il calendario giuliano), in realtà il golpe leninista che portò all’instaurazione della dittatura sovietica, come giornata del ricordo delle vittime del comunismo.

Finalmente qualcuno sta prendendo atto di cosa è stata realmente la mostruosità comunista: oppressione, miseria, terrore e morte per centinaia di milioni di uomini, ma è un discorso che ci porterebbe lontani dalle finalità del presente articolo, e vedremo di riprenderlo più avanti con la dovuta completezza.

La terza notizia (tornando all’eredità degli antenati) riguarda sempre un personaggio dell’ambito triestino…un certo Fabio Calabrese, e si tratta di una notizia che penso diversi fra voi aspettavano da tempo. Diversi fra voi mi hanno richiesto ripetutamente di riunire in un libro i miei articoli apparsi in Una Ahnenerbe casalinga e L’eredità degli antenati, e si tratta di un progetto che io stesso tenevo a portare a compimento, ma ad esso si sono frapposti per lungo tempo ostacoli di vario genere. Ora invece questo libro c’è.

Io in effetti avevo preparato, e da allora sono trascorsi anni, il testo che ho presentato alle edizioni Ritter, Alla ricerca delle origini. Varie cose ne hanno finora ritardato la pubblicazione, non ultimo l’attentato subito da questa casa editrice. È l’altra grande arma della democrazia: quando la menzogna e la censura non bastano, si ricorre alla violenza.

Adesso, nel momento in cui scrivo, in cui sembra avvicinarsi il termine di un iter che è poco definire accidentato, questo libro è stato finalmente pubblicato, ma non è tutto, perché le edizioni Aurora Boreale stanno esaminando un altro mio testo che spero abbia delle vicissitudini meno tormentate prima di uscire in stampa: Ma davvero veniamo dall’Africa?, e altri scritti. In questo secondo testo ho fatto un lavoro di completamento rispetto ad Alla ricerca delle origini. Come vi ho spiegato diverse volte, a mio parere la questione delle origini si può considerare su di una molteplicità di livelli, tanto più ampi quanto più remoti, o più ristretti se vicini a noi. Tralasciando quelli più ampi e lontani dalla nostra esperienza come l’origine dall’universo o quelle della vita, io su “Ereticamente” mi sono concentrato su quattro livelli: l’origine delle specie umana (dove c’è da ribattere alla menzogna africano-centrica), quella dei popoli indoeuropei (che non sono come qualcuno vorrebbe darci a intendere, agricoltori di origine mediorientale affini ai semiti), quella della civiltà europea (che non è tributaria di invenzioni asiatiche praticamente in tutto come vogliono farci credere), quella del popolo italiano (che ha la sua precisa fisionomia nell’ambito delle genti indoeuropee e non è un’accozzaglia priva di legami di sangue unita solo da un lieve collante culturale come oggi vogliono farci credere e farci diventare). In Alla ricerca delle origini mi sono concentrato sui due livelli intermedi, in Ma davvero veniamo dall’Africa?, invece sul primo e sul quarto. Chi volesse avere una panoramica completa di tutta la tematica, dovrebbe leggerli entrambi.

Vi dico questo nello spirito di rendervi un servizio, non di mettermi in mostra, farmi pubblicità, né tanto meno trarne un guadagno. So bene che se avessi voluto fare carriera nel mondo dell’informazione (o sedicente tale), mi sarei dovuto adeguare alla “verità scientifica” democratica e “politicamente corretta”, sarebbe stato facile unirsi ai tanti professionisti (consapevoli o no) dell’inganno, salvo dover fare i conti con la mia coscienza. Invece…beh, so che non diventerò ricco né famoso, ma posso vivere in pace con me stesso, e a testa alta.

Perlomeno, la comparsa di questi due testi che verranno ad appagare le richieste che molti di voi mi rivolgono da parecchio tempo e che se dipendesse esclusivamente da me sarei ben lieto di soddisfare al più presto, sfortuna vuole che abbia subito un’ulteriore battuta di arresto a causa dell’epidemia di coronavirus, perché per gli editori nel periodo appena trascorso era diventato assai arduo pubblicare qualsiasi cosa quando le librerie erano chiuse ed erano impossibilitati quegli spostamenti che permettono di organizzare convegni e conferenze per presentare e “lanciare” i testi pubblicati. Adesso, se la vicenda covid19 non è ancora del tutto conclusa, perlomeno sembra essere discesa sotto una certa soglia oltre la quale iniziative di questo genere tornano a essere possibili.

Queste iniziative editoriali non sono peraltro la sola cosa a cui l’epidemia di coronavirus ha imposto un blocco o perlomeno un rallentamento.

Come sapete, io in questi anni ho tenuto nell’ambito del Triskell, il festival celtico triestino, una serie di conferenze di cui poi, suddivisi in più articoli, vi ho presentato i testi sulle pagine di “Ereticamente”, in particolare analizzando il fenomeno megalitico (riprova evidente dell’antichità della civiltà europea e della sua priorità rispetto al decantato Medio Oriente con cui ci hanno assordato generazioni di archeologi ufficiali “strabici”), a Stonehenge, nelle Isole Britanniche, nell’Europa continentale, in Italia.

 Per quest’anno, a completamento del discorso sul megalitismo, ho in programma al Triskell una conferenza sul Triveneto preromano, celtico e megalitico. Riuscirò a tenerla o no? In tempi di coronavirus nulla è sicuro. Per adesso vi posso dire che il festival celtico è stato spostato da giugno a settembre sempre a motivo dell’epidemia. In ogni caso ne troverete il testo sulle nostre pagine, come del resto, vi prometto, avverrà anche per quelle degli anni successivi. Concluso il discorso sul mondo dei megaliti, mi dovrò inventare qualcos’altro, ma a me l’inventiva non manca.

Sul fronte delle conferenze, quest’ultima che doveva concludere il ciclo megalitico, non è la sola che il covid19 ha bloccato o perlomeno ritardato.

Approfittando anche dell’agognata quiescenza che finalmente mi lascia a disposizione tutto il tempo necessario per occuparmi di queste cose, era in programma una nuova serie di conferenze qui a Trieste presso la Casa del Combattente, in più avevo accolto l’invito rivoltomi da Joe Fallisi per tenere una conferenza a Ostuni nell’ambito del ciclo “Voceanima”.

Soprattutto, avevo concordato con il New Age Center triestino, l’associazione che organizza il Triskell, una ripresa nella loro sede delle conferenze da me tenute in questi anni al boschetto del Ferdinandeo, ambiente en plen air, suggestivo, per carità, ma di certo non particolarmente attrezzato, e per di più esposto a disavventure meteorologiche, e un esempio molto convincente di esse l’ho avuto proprio con l’edizione 2019, riprendendo (stavolta anche con un supporto audiovisivo) la tematica del megalitismo, analizzando Stonehenge, il megalitismo delle Isole Britanniche, dell’Europa continentale, dell’Italia, discorso che poi si sarebbe saldato a quello del Triveneto (i castellieri, ma non solo) che avrei dovuto tenere, sempre nell’ambito del Triskell questo giugno ma, come vi ho detto, traslocato a settembre, sempre coronavirus permettendo.

E’ un’osservazione che ho fatto più volte, ma sulla quale è forse impossibile insistere abbastanza: i grandi complessi megalitici che costellano il nostro continente dalle Isole Britanniche alle pianure russe, più antichi, e spesso di millenni più antichi di tutto ciò che si trova in Medio Oriente, sono la prova più tangibile della falsità della leggenda della luce da oriente, e dell’antichità e della grandezza della civiltà europea, grandezza che sembra si continui a fare di tutto per farci ignorare.

Tutto ciò è rimasto bloccato a causa dell’epidemia. Bene, aspettiamo che quest’ultima passi, e prepariamoci per una ripartenza alla grande.

Poiché sono arrivato fino a questo punto parlando di cose che mi riguardano personalmente, ora sarà forse meglio continuare sulla stessa falsariga “mettendo a posto” una faccenda che continua a bruciarmi.

 A questo mondo nessuno è immune dall’errore, e di certo nemmeno il sottoscritto lo è. L’anno scorso nel postare la quinta parte de L’eredità degli antenati, ne commisi uno davvero marchiano, inserendo, invece che il testo di quest’ultima, di nuovo quello della quarta parte. Distrazione mia, di cui la redazione di “Ereticamente” non ha avuto alcuna responsabilità. L’errore è stato poi corretto inserendo il testo giusto.

Ho tuttavia l’impressione che quella mezza settimana prima che ci accorgessimo dello svarione e provvedessimo a porvi rimedio, abbia tolto visibilità all’articolo, articolo che io ora non vi ripropongo, anche perché ora sulle nostre pagine lo trovate per come doveva essere, tuttavia sarà il caso di accennarvi a un paio di punti importanti che conteneva.

Per prima cosa, vi davo notizia dell’intervista fatta dalla rivista “Pangea” ad Angelo Tonelli in occasione della pubblicazione del suo libro Attraverso oltre dedicato alla sapienza greca. Argomento importantissimo e assai poco conosciuto, quasi sistematicamente ignorato tutte le volte che i cosiddetti specialisti affrontano il discorso delle origini della cultura europea. La sapienza greca di cui la filosofia fino a Platone costituisce un prolungamento, mentre le cose cambiano radicalmente da Aristotele in poi e vediamo l’affermarsi con l’ellenismo (in sostanza la dissoluzione della grecità), di uno spirito che possiamo definire “moderno”.

“I sapienti greci”, ci dice Tonelli, “Non erano uomini di scrivania, come forse amerebbero dipingerli a propria immagine e somiglianza gli esangui ermeneuti contemporanei, bensì individui che intraprendevano una via di continua ricerca di sé stessi e da questa ricerca spirituale venivano trasformati fin nelle più intime midolla”.

Dei Maestri nel senso alto della parola, come lo è oggi lo stesso Tonelli, che “Ereticamente” si onora di avere tra i propri collaboratori.

Un’altra questione importante di cui ho parlato in quest’articolo e sulla quale è il caso a ogni modo di ritornare, perché è essenziale avere le idee chiare al riguardo, nasceva da una provocazione postata su di un gruppo facebook (da parte di qualcuno che, peraltro, molto coraggiosamente come sempre avviene in tutti questi casi, si nascondeva dietro un palese pseudonimo).

Questa persona mirava a distruggere il concetto che abbiamo degli Indoeuropei presentando delle popolazioni turaniche (ossia turche) rappresentate dal disegno (perché di foto non ne abbiamo, trattandosi di popoli antichi) di un cavaliere biondo: Cimmeri, Sciti, Alani, Sarmati e diverse altre, laddove gli Indoeuropei o cosiddetti tali sarebbero stati tarchiati e bruni, e al riguardo elencava Ittiti, Greci, Persiani, Indiani, Italiani e altri. A rappresentarli, l’immagine di un indù dalla pelle scura.

Innanzi tutto, noi sappiamo che il subcontinente indiano non è uniforme da questo punto di vista, e che gli Aryas provenienti dalle steppe si sono sovrapposti a una popolazione, i Dravidi di pelle scura, per cui era molto facile fare una scelta tendenziosa, così come viceversa delle popolazioni che egli indica come turaniche conosciamo assai poco, quasi solo il nome, per cui è facile attribuire loro i caratteri antropologici e linguistici che si vogliono.

Noi Italiani, poi abbiamo spesso un complesso di inferiorità rispetto alle popolazioni nordiche, e tendiamo a percepirci più “piccoli e bruni” di quanto effettivamente non siamo. Io vi posso assicurare ad esempio che mio suocero, siciliano, nativo di Misterbianco (Ct) era di pelle molto chiara, capigliatura rossiccia e di altezza superiore a 1,80.

La persona in questione, poi, evitava di citare fra le popolazioni indoeuropee Germanici, Celti e Slavi, cosa che avrebbe immediatamente distrutto il suo paragone.

Ma soprattutto, tutta l’argomentazione gioca su di un equivoco. “Indoeuropei” è un termine linguistico e non etnico-antropologico. Lingua ed etnia non sono la stessa cosa. Pensate a un afroamericano che parla inglese, considerando lingua ed etnia come coincidenti, dovremmo considerarlo un germanico!

Una questione che suonerebbe grottesca se non fosse spaventosamente drammatica proprio oggi nel momento in cui negli Stati Uniti le tensioni razziali stanno esplodendo con un’intensità che non si era più vista da mezzo secolo, e tutto ciò cos’altro è se non la chiara e lampante dimostrazione del fallimento della società multietnica e multirazziale?

E non tralasciamo il fatto che questi disordini sono stati innescati dall’uccisione di un afroamericano da parte di un poliziotto bianco, come i media di regime ci hanno ripetuto a sazia, ma sappiamo bene che se la vittima fosse stata un bianco, la cosa non sarebbe andata oltre un trafiletto di cronaca locale e nessuno avrebbe mosso un dito, perché possiamo ben capire cos’è questo “antirazzismo” oggi oggetto di una propaganda martellante: razzismo anti-bianco.

Il fatto è che siamo costretti a usare il termine “indoeuropei” al posto di uno più appropriato, ma diventato tabù a partire dal 1945.

È questa, lo si può evidenziare una volta di più, una delle stimmate tipiche della democrazia: la proibizione a esprimere liberamente le proprie idee e, al limite, a pensare.

Rispetto a ciò, noi non possiamo altro che ribadire la nostra determinazione a difendere la nostra identità storica, culturale, ma soprattutto etnica.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra Alla ricerca delle origini, al centro, Attraverso oltre di Angelo Tonelli, a destra, cavalieri sarmati dalla colonna traiana: la loro attribuzione al gruppo etnico turanico è perlomeno estremamente dubbia.

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2 Comments

  • Michele Ruzzai 22 Giugno 2020

    Bravo Fabio, complimenti vivissimi e ancora grazie per le ripetute ed immeritate citazioni. In merito al tuo ultimo e significativo passaggio sul nome “Indoeuropei” – che nemmeno io amo particolarmente – proporrei di utilizzare il più possibile un altro, che senza cadere sotto gli strali della “democraticissima” censura (come il termine al quale ti riferisci e che ovviamente conosciamo tutti), presenta il doppio vantaggio di conservarne comunque la radice primaria ed anche di mantenere il riferimento al nostro continente, alla nostra Patria comune. Un termine che, peraltro, sui vari vocabolari non viene demonizzato, ma al più viene definito come “desueto”. Si tratta di “ARIOEUROPEI”.
    Un caro saluto
    Michele

  • Fabio Calabrese 22 Giugno 2020

    Grazie a te, Michele, troppo gentile!

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