La lettura del libro che sto per presentarvi ha rappresentato per noi una fonte di ristoro spirituale ed intellettuale. Pur non condividendo del tutto le posizioni espresse dall’autore, le pagine del volume sono un condensato, non di erudizione fine a se stessa, ma un’esposizione “in evidenza” del percorso di ricerca di un indiscusso protagonista della cultura della seconda metà del secolo scorso. Ci riferiamo ad Elémire Zolla che attraversò originalmente, con ineguagliata competenza, la critica sociale, la storia delle idee e della mistica d’Occidente e d’Oriente, così come le culture indigene d’Asia. La cosa, con chiarezza, la si evince dal volume che stiamo per presentare, Archetipi, Aure, Verità segrete, Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, da poco nelle librerie per Marsilio grazie alla cura di Grazia Marchianò (euro 24,00).
La struttura del libro è articolata in quattro parti, come si comprende dal titolo, inclusiva dei tre testi pubblicati da Zolla tra il 1988 e il 1996, seguiti dall’ampia introduzione all’antologia Il dio dell’ebbrezza, preparata nel 1998 per Einaudi. Quest’ultimo saggio, come riconosce esplicitamente la curatrice, rappresenta la chiave di volta per entrare nel mondo ideale dell’autore, in quanto “La vocazione all’eccesso dionisiaco nelle cangianti modulazioni del sentire umano è il tema ricorrente del viaggio zolliano attraverso gli archetipi” (p. 14). L’esegesi della potenza dionisiaca accompagna il lettore nella presentazione/decodificazione dell’esperienza metafisica, nell’incontro con le aure emananti dai luoghi del sacro, nella ri-velazioni di verità per lo più tacitate. L’assunto che muove le tesi di Zolla è di matrice eraclitea. Il filosofo greco ha sostenuto che “la natura ama nascondersi”. Pertanto, al fine di superare la soglia limitante dell’esperienza ed incontrare il vero “esposto in evidenza”, è necessario far “discendere la mente nel cuore”. In questo caso il versante esoterico del reale si manifesterà ridisegnando la coscienza (non solo percettiva) del “soggetto”. Scriviamo il termine virgolettandolo perché, chi sia pervenuto allo stadio della conoscenza metafisica non conosce più le distinzioni e le opposizioni dicotomiche, tanto meno quella di soggetto e oggetto, di interno ed esterno, di conoscente e di conosciuto.
A questo termine ultimo del suo percorso realizzativo e formativo, l’autore è giunto per gradi, con difficoltà, dopo un’esistenza (l’ “essere fuori” dal vero) di ricerca. Questi scritti mostrano, come ricorda la Marchianò, il conseguimento di una consapevolezza ermetica di cui i volumi del periodo immediatamente precedente erano privi. Quindi, il testo che presentiamo è senz’ altro centrale per aver contezza delle più rilevanti posizioni teoriche di Zolla che, tra i pensatori controcorrente, mantenne un ruolo singolare, non riconoscendosi in scuole, correnti, gruppi di riferimento, facendo conto solo delle esperienze che andava vivendo. In esse colse la connessione di mente e natura “l’intreccio per cui la percezione automatica di un dentro diviso da un fuori dipende da una struttura mentale programmata a rispecchiare l’esterno oggettivandolo” (p. 15). Il sottotitolo, Ciò che conosciamo ignorandolo, allude alla possibilità di affrancarci da tale prospettiva comprendendo che la mente può rispecchiare se stessa. Lungo tale percorso Zolla si fa condurre dalla doppia identità del concetto di vita, esplicitata da Kerényi nella monografia dedicata a Dioniso, alla luce della quale Zoé, la vita eterna dell’essere, è archetipo attivo nella coscienza dell’energia originaria, eternamente ritornante nei finiti bìoi.
Quando si recupera tale accesso al reale, quando ci si risveglia, si esperimenta il distacco dal tumulto psichico e l’unica distinzione possibile che permane nell’orizzonte conoscitivo è quella di asservito e di liberato. La definizione di esoterico cui perviene il pensatore, recupera il significato originario della parola (“più interno”, “addentro”) “…pensiero che ignori ogni barriera dell’interesse personale e sociale” (p. 603). A proposito del “samadhi”, apice dell’ascesi yogica, Zolla sostiene che in esso “la psiche unificata può affermare “sono”, ma non più “sono questo”…quando io sono si può lecitamente completare in “io sono l’essere” (p.36). Solo allora la nostra esistenza ci apparirà con i tratti di un albero rovesciato, con le radici rivolte al cielo e la chioma sottoterra. La vocazione comparativa dell’autore emerge con evidente trasparenza nel cap. 14 della parte III. In essa egli analizza la facoltà immaginale conducendo il lettore negli statuti del Vedanta, nelle segrete cose del pensiero persiano e del taoismo. Qui la funzione formale degli archetipi è vista agire anche a livello delle creature inanimate che si modellano a loro immagine, posizione che richiama le tesi goethiane e di “filosofia della natura”. Tale posizione è magistralmente chiarita da Zolla “Le forme immaginali di materia sottile acquistano una vita propria, sono l’anima del mondo e il suo linguaggio è luce” (p. 21). La mente festiva coglie la luce del reale, quella feriale resta “fissata” al pesante, al tellurico inteso in senso regressivo. A questo punto l’autore rileva che anche la scienza moderna e quantitativa conferma la distinzione delle due tipologie di mente: la feriale, connotata dalla produzione di onde beta, la festiva da onde alfa, capaci di indurre la visione sciamanica e metafisica. Nella commistione di scienza sacra e profana, si manifesta quello che ci pare essere un limite, almeno dal punto di vista del pensiero di Tradizione, della visione di Zolla: il porre allo stesso livello, piani assolutamente diversi dell’essere.
Ciò è paradossale in uno studioso che aveva perfettamente compreso come l’esoterico sia teso a scoprire “…l’energia essenziale pura…che regge l’uomo e per analogia il mondo” (p. 494), e che “…l’esoterico è ben celato, ma sta ben in vista dove nessuno se lo aspetta” (p. 23). Ora, l’accostamento tra l’approccio profano e quello sacro, ci pare una forzatura del sincretismo comparativista che Zolla ha tratto da Niccolò Cusano, atto a far cogliere, al di là delle opposizioni, la complicazione e l’esplicazione dell’Uno. Dicevamo che la chiave di volta del libro va ricercata nella IV parte, dedicata alla ricostruzione storica del cammino della figura di Dioniso-Shiva in Occidente e in Oriente. Pienamente apprezzabile l’esegesi del dionisismo in poeti, letterati e filosofi europei moderni, così come il capitolo relativo alla cultura psichedelica. Da tempo abbiamo fatta nostra la lettura della mistica dionisiaca di Colli, che Zolla sembra rifiutare “Dioniso è anche…a dispetto di ciò che Colli ritenne, il fallo e non invitava alla castità” (p. 513). Vero, ma l’eros per Colli dava luogo ad un distacco conoscitivo capace di interrompere l’orgiasmo.
Per altro, la cosa sembra essere stata compresa da Zolla quando scrive, presentando un’alternativa di civiltà alla potenza tecnico-prometeica dispiegata “Prometeo sottomette la natura…Orfeo non mira a soggiogare la natura ma a conciliarsi con essa…toccherà promuovere il momento orfico…dell’eros diffuso ma non orgiastico” (p. 30). Tesi che pienamente condividiamo.
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