7 Ottobre 2024
Economia

L’etica dell’economia: deus meumque jus – Augusto Vasselli

Premessa

Quanto andrò a dire non vuole essere una relazione di natura accademica, né tanto meno essere una lectio relativa alla categoria filosofica riferita all’etica né tanto meno all’economia. Questa breve relazione vuole essere una testimonianza di chi ha riflettuto su questa tematica e ha tratto delle conclusioni che ovviamente non potranno che essere provvisorie e soprattutto perfettibili.

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Per affrontare, nell’ambito di un convegno e nei limiti del tempo assegnato, una tematica così ampia ritengo sia necessario, seppur sinteticamente, chiarire dapprima la terminologia che utilizziamo. Con il termine etica (dal greco ἦθος, carattere costume comportamento) si intende in senso generale, direi comunemente, il comportamento sociale, o morale che una persona adotta nel suo ambito di appartenenza, muovendo, quindi da un sentire che fa riferimento alle azioni ritenute comunemente buone o cattive, quindi non solo alle azioni legalmente ammesse o a quelle politicamente ritenute più corrette.Con il termine economia (dal greco οἶκος, casa anche nel senso di beni di famiglia, e νόμος, norma o legge) si intende in genere la scienza che studia la produzione dei beni e dei servizi, la distribuzione e l’utilizzazione della ricchezza.Quindi un modo di operare finalizzato a ottenere il massimo vantaggio con il minimo dispendio di energie e di risorse, la ricerca la trasformazione e la distribuzione delle stesse, un proficuo utilizzo dei beni, la ricerca di sistemi di produzione sempre più efficienti e un appropriato utilizzo della moneta. Con il motto “deus meumque jus”  va quindi anch’esso considerato come un simbolo, si sottintende, tra l’altro, quanto esso può suggerire a chi ha intrapreso un cammino volto alla ricerca finalizzata soprattutto alla interiorizzazione della conoscenza, necessaria all’uomo, in quello che può essere considerato il gioco della vita, nel quale spesso si è chiamati a distinguere tra bene e male, utilizzare in modo appropriato il libero arbitrio e ricercare il diritto-dovere di perfezionare noi stessi. Tale motto mi porta a pensare anche Tommaso d’Aquino, il quale sostiene che “la società si fonda sulla giustizia (jus) e sulla verità (sè superiore, scintilla divina quindi deus)” e che, quindi per analogia, in termini economici uno scambio può essere considerato etico allorquando esiste un reale equilibrio tra regole formali e naturali.

Che relazione esiste tra etica e economia? Entrambe le dottrine attengono al comportamento umano, ma ne considerano aspetti diversi. L’etica si occupa dei principi capaci di giustificare perché certi comportamenti, piuttosto che altri, sono giusti, benefici o desiderabili. L’economia compendia la produzione, la domanda, l’offerta, lo scambio, il consumo dei beni e servizi e le interrelazioni tra i diversi attori. Da ciò appare evidente che la dottrina economica non può dire se l’azione di un singolo soggetto è eticamente corretta, come parimenti è vero che il comportamento ispirato a un principi etico non può concretamente essere sempre applicabile. L’economia, nell’accezione generale del termine, viene spesso rappresentata e soprattutto percepita come qualcosa di asettico, una sorta di ipse dixit di pitagorica o aristotelica memoria, che implica in modo quasi ineluttabile un sistema sia esso produttivo, distributivo, organizzativo, commerciale e finanziario non influenzato o derivato, seppur in parte, dal sentire dei singoli. Ma anche l’economia, così ogni altra altro ambito afferente la società umana, quale ad esempio anche il sistema giuridico, riflette gli istinti primari di ogni essere, le regole comportamentali man mano sviluppatesi, sino ad arrivare e compendiare i sistemi giuridici statuali e le convenzioni che regolano i rapporti tra gli stati e le associazioni sovranazionali. Da questa considerazione appare evidente che il sentire interiore di ogni essere contribuisce a creare, anche riguardo l’economia un sistema. Quindi l’etica è per così dire una sorta di agente casuale (nel senso di causa), che contribuisce a disegnare il sistema e a creare anche le condizioni di cambiamento del sistema stesso. Il sentire interiore pertanto porta a condividere più o meno pienamente le scelte economiche o ad avversarle se contrarie all’intimo che è in noi.

Quanto ho cennato in modo generalizzato è così evidente, ad esempio riguardo il consumo di beni che in taluni contesti sono altamente desiderati mentre in altri assolutamente da evitare (ad esempio le bevande alcoliche, alcune tipologie di alimenti), i comportamenti nelle relazioni tra gli esseri umani, per non parlare delle questioni derivate dalle tradizioni sociologiche o addirittura da quelle religiose, soprattutto se, riguardo queste ultime, ci si riferisce a un piano essoterico. La necessità di contemperare il sentire etico e l’economia ha originato una sorta di categoria quale appunto l’etica dell’economia. L’etica dell’economia è quindi la risultante dell’istinto, direi naturale, dei singoli e la possibilità che un sistema economico astrattamente può offrire. Tenere in considerazione l’etica contribuisce a elaborare un sistema economico nel quale si tiene conto dei codici comportamentali istintivi, che possono per di più avere una disciplina giuridica, quindi legalmente cogente. In un contesto globalizzato ove gli spazi e il tempo, rispetto a poche decenni or sono, sono assottigliati se non quasi azzerati, anche l’etica, soprattutto negli ambiti più evoluti soprattutto spiritualmente, contribuisce alla costante evoluzione del sistema economico, senza per questo perdere la caratteristica propria, cioè quella di essere una naturale matrice comportamentale, che influenza, al di là degli aspetti astrattamente utilitaristici, le scelte anche economiche di ogni essere umano.

Dobbiamo pertanto conciliare, come dice Amartya Sen, il grande economista indiano premio Nobel, il cosiddetto pensiero calcolante (dominus nella ‘scienza del governo’ e nella ‘scienza della ricchezza’), e il pensiero pensante (metafisico ed etico, ovvero quello che origina l’umano agire). Ma da persona che ha intrapreso in questi giorni una riflessione relativa a questa tematica mi sembra opportuno evidenziare quali problematiche potrebbero attenuate se non risolte. Sicuramente si potrebbe dare un buon contributo in materia di: povertà e disuguaglianza; dignità della persona umana; uguaglianza dei diritti di carattere personale, a prescindere dalle differenze individuali; solidarietà, cioè il dovere di tutti, anche riguardo l’economia per ricercare il bene comune; ampliamento delle possibilità per tutti; più ampia valorizzazione del lavoro quale fattore produttivo primario; scambio dei beni equo e paritetico.

Spesso la utilità economica, meccanicamente intesa, direi racchiusa in una formula astratta, espressa a volte soprattutto in termini monetari non è un indicatore adeguato, se preso a se stante e non riferito ad altri profili quali la longevità, la salute, un lavoro minimamente soddisfacente, la pace e un contesto sociale più sereno possibile. In altri termini lo sviluppo, non può essere considerato solo riguardo l’aumento del reddito pro capite o il progresso tecnologico, altrettanto importanti e determinanti sono crescenti livelli di scolarità, le libertà civili e politiche. A questo proposito, penso sia opportuno sottolineare che in campo economico la capacità di azione (cui si associa una seppur minima disponibilità di base di beni e servizi) è centrale nel considerare la effettiva libertà delle persone. Mi viene in mente, allargando il nostro orizzonte, quali persone ormai globalizzate, quanto sia necessario che un sistema economico adeguatamente etico deve contribuire anche a debellare la fame, l’analfabetismo e l’assenza di diritti civili e politici. Perché queste sono le cose che non permettono di vivere in un sistema senza che si tenga conto del merito e delle capacità unitamente al bisogno dei singoli. Va ampliato quindi realmente e concretamente, a mio parere, il concetto di libertà individuale soprattutto perché esso non confligge con il contesto sociale di appartenenza, soprattutto se il tutto viene considerato come una scelta e non come permesso più o meno parzialmente concesso. Dobbiamo, seppur senza fanatismi e semplificazioni integraliste, superare una nuova divinità contraddistinta da un acronimo. Mi riferisco al già menzionato PIL che, come oramai a tutti noto, è considerato l’indice, direi dogmatico, con il quale viene misurato e quindi valutato l’andamento economico di un paese e il benessere, in termini di accesso ai beni e servizi.

Secondo una logica puramente astratta, e coma sopra cennato ispirata al pensiero calcolante, il PIL consente di misurare e confrontare i paesi presi in considerazione, dal punto di vista della crescita e lo sviluppo economico. Ma il PIL non apprezza, in quanto non attribuisce un valore in senso monetario, la qualità della vita in termini di serenità e di benessere. Sicuramente sarà utile individuare ulteriori indicatori sociali e ambientali, come, ad esempio, poco più di un decennio fa,l’Ocse ha fatto promuovendo un progetto globale mediante il quale misurare il progresso di un contesto sociale. Ma ovviamente non posso, né tanto meno voglio, dare indicazioni che di fatto ricordano un programma politico, oppure una sorta di manifesto che potrebbe avere per di più una deriva, per così dire populista o demagogica. Porto solo alla vostra attenzione tematiche, da tempo sul tappeto, cercando di riferirmi semplicemente al buon senso, fonte forse poco paludata dal punto di vista accademico o poco radical chic, ma che, talvolta, in modo semplice ma diretto può darci indicazioni realistiche e possibili. Basti pensare che il sistema sociale va verso una criticità crescente ove la serenità (per non usare il termine gioia) non viene certo favorita dall’esistenza di un mercato seppur ampio e variegato, né tanto meno da apparati burocratici industriali sempre più articolati, in quanto gli stessi da soli non sembrano apportare soddisfacimento ai singoli nel loro ambito sociale di appartenenza. L’etica deve aiutarci quindi a ricondurre i grandi progressi scientifici al servizio di tutti per rendere gli stessi utili al bene e al progresso dell’umanità. Quando detto progresso non è animato da ragioni etiche, può addirittura essere pernicioso.

La scienza non può considerarsi neutrale dal punto di vista etico, perché condiziona la percezione del mondo e il nostro posizionamento individuale. Una visione del mondo esclusivamente scientista e esclusivamente economica, che non tiene conto dei valori etici, causa lo sfruttamento sistematico della natura. Pertanto le teorie economiche vanno analizzate, anche attraverso il filtro dell’etica, al fine di capire tutti gli obiettivi, gli interessi delle parti, ove talvolta ideologie ben mascherate portano a favorire l’élite di turno dominante. Per cercare un desiderato equilibrio tra economia ed etica appare necessario anche uno studio e una ricerca riferita alle varie branche del sapere riguardanti l’economia stessa, la storia, la filosofia e la psicologia, senza trascurate lo studio delle religioni. Ciò appare ancor più necessario in un mondo iper tecnologico che sembra nascondere le sue origini e i suoi fondamenti. L’etica deve riguardare anche la produzione accademica. Di fatto il sistema si basa su una sorta di darwinismo ove viene incoronato il migliore, che, al di là delle capacità, non disdegna anche la manipolazione dei rapporti con gli altri esseri umani, originando una gestione del poter verticale e diretta. L’insegnamento a tutti i livelli deve formare persone autenticamente libere, che sappiano valutare in modo oggettivo anche le tematiche economiche sia riguardo la produzione sia riguardo i consumi, per consentire una consapevole valutazione da quanto offerto da un mercato improntato al consumismo, a sua volte motore della iperproduzione di beni superflui, spesso considerati come beni primari, anche grazie a una sorta di ipnosi derivata dalla pubblicità. L’etica devi quindi aiutarci a utilizzare le risorse che l’economia ci offre per ricercare un mondo ove ci sia realmente maggiore pace e benessere.

Sempre riflettendo su tale tematica, traendo anche ispirazione dalle riflessioni e dal beneficio offertoci da una metodologia iniziatica e tradizionale, l’etica deve guidarci nel ricercare anche riguardo la scienza economica, oltre al rispetto dell’ambiente, basilare per il futuro dell’uomo, il rispetto del lavoro e degli attori del sistema economico. L’etica presuppone, pertanto, che tutti i soggetti che occupano posizioni di potere e di responsabilità gestionale ricerchino gli aspetti umanistici, e non quelli meramente mercantili, mediante l’utilizzo del potere per il dominio e lo sfruttamento fine a se stesso, anche in linea con i fondamenti delle principali tradizioni sapienziali. L’etica non è quindi una sorta di categoria immateriale, astratta, riservata ad accademici che si trastullano con sofismi e sillogismi. L’etica è un corpus che influenzerà sicuramente i futuri accadimenti, quindi anche quelli che riguarderanno l’economia. Viviamo in un ambito economico nel quale ovviamente produciamo e consumiamo i prodotti agricoli come pure i prodotti manifatturieri industriali, ma il nucleo del sistema produttivo non è più quello relativo alla produzione di beni materiali, ma la produzione di beni immateriali, quali le comunicazioni, i servizi, i valori sociali e sinanco l’estetica.

L’etica dovrà guidarci nello sviluppo sempre più automatizzato che ha contraddistinto il secolo scorso, come pure riguardo l’ingegneria genetica che sta caratterizzando l’attuale secolo. I calcolatori saranno a breve in grado di svolgere tutte le mansioni ripetitive e anche taluni compiti variabili. I robot sono ormai una realtà che a volte può interagire con l’uomo. In un piccolo oggetto possiamo tenere con noi tutta la produzione culturale, le musiche i film, fermo restando che il problema resta poi quello di trasferire i dati dentro noi stessi Gli esperti prevedono che nel 2020 il PIL mondiale pro capite si approssimerà a circa 15.000 dollari, rispetto ai circa 11.000 attuali. L’ambito occidentale ridurrà di circa il 20 per cento le proprie capacità reddituali e quindi di accesso ai consumi. Come non pensare allora all’etica allorchè la pubblicità la stessa ci invita a consumare di più. In un quadro ove si dovrebbe sempre più razionalizzare l’utilizzo delle risorse e quindi dei consumi. Certamente nel futuro prossimo il cd. “primo mondo” , in termini economici e politici, manterrà la primazia riguardo le idee e la produzione, ma dovrà confrontarsi sempre più con gli altri paesi, sia perché gli stessi non lo permetteranno sia perché il primo mondo vedrà sempre più ridurre la volontà di farlo per molteplici ragioni.

Il cd. “terzo mondo” continuerà a offrire mano d’opera e materie prime a costi sempre molto contenuti. In particolare l’Africa rimarrà il continente più povero. L’Europa, soprattutto quella comunitaria, riuscirà ancora a rimanere il più vasto mercato e offrirà ai cittadini ancora uno standard di vita qualitativamente migliore. La Cina raggiungerà gli Stati Uniti in termini di PIL, riferito ovviamente a oltre un miliardo e mezzo di abitanti e non a quattrocento milioni se riferiti agli States. La Cina stessa accumulerà la maggior quantità di riserve valutarie, le maggiori banche del mondo saranno di diritto cinese. Sempre in Cina si conteranno 15 megalopoli con più di 25 milioni di abitanti. In Cina avremo la cd. reverse innovation e il maggior numero di acquirenti di automobili. Lo sviluppo tumultuoso che ha riguardato i cd, BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), interesserà fortemente i CIVETS (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sudafrica), ove ovviamente aumenteranno i consumi accompagnati da un fortissimo inquinamento. Come non pensare allora all’etica dell’economia.

Riguardo al lavoro nel prossimo futuro i lavori manuali e quelliimpiegatizi esecutivi, saranno svolti dalle macchine, oppure, come si suol dire, delocalizzati nei paesi emergenti o svolti da immigrati provenienti dai paesi poveri.. I soggetti che offrono un lavoro creativo, in quanto non ancora fungibili, avranno le migliori retribuzioni. Potranno svolgere i loro compiti in modo libero, senza orario, in luoghi diversi mediante un’attività ove lo studio, il gioco e il lavoro quasi si confondono. Coloro che svolgeranno lavori di routine avranno garanzie minori; essi lavoreranno circa 60 mila ore nel corso della loro esistenza,rispetto alle 660.000 ore che mediamente vengono vissute e che rappresentano 11 volte la vita lavorativa. I soggetti che non partecipano alla produzione avranno diritto all’accesso ai beni e ai servizi, ovviamente in modo limitato e contenuto. La globalizzazione delle comunicazioni, attraverso internet, ci offre qualcosa che ricorda l’ubiquità. La rete internet sta trasformando il mondo in una agorà unica, che ci consente di metterci in contatto ovunque, con chiunque, in qualsiasi punto del pianeta senza muoverci. Qualcuno ha coniato neologismi al riguardo i mediante i quali indicare tutto ciò; potremo dire che tele-apprenderemo, che tele-lavoreremo, che ci tele-divertiremo che e addirittura ci tele-ameremo.

Con la chirurgia plastica, i nostri corpi potranno essere modificati. Grazie alla medicina molte malattie saranno sempre meno mortali, la farmacologia potrà modificare i nostri sentimenti. Stiamo passando da un sistema economico nel quale il soggetti che apportano lavoro non vedranno più la loro vita in larga parte dedicata al prevalentemente dal lavoro stesso, ma prevalentemente dedita al tempo libero. L’antropizzazione della terra è anch’essa una tematica che deve essere affrontata sicuramente su un piano etico. Certamente le consuetudini, le credenze religiose, le tradizioni sociali e soprattutto il progresso sia esso tecnologi-scientifico, in particolare riguardo la medicina, fattore comunque positivo, hanno portato a una crescita esponenziale della popolazione. Potrei ancora elencare tematiche anche più complesse, ma parlando di etica debbo attenermi alla stessa anche al fine di non tediarvi ulteriormente e avviarmi alla conclusione.

Come si può pensare, mi riferisco in particolare ai paesi occidentali, a una società complessa,in cui i più credono di poter sopravvivere senza una metafisica, ignorando il nous regolante (il deus indicato nel motto del Rito Scozzese) che la tradizione ci indica seppur in maniera discreta, anche senza etica. L’etica non è esterna alle attività umane, fra cui l’economia: applicarla alla sola contingenza significa mistificare l’essenza stessa dell’uomo e ritenerlo virtuoso al di fuori della relazione con se stesso, con la collettività e con la storia. Il welfare non può essere scisso dal well-ness e l’a-priori dell’individuo va de-sublimato da pretese soggettivistiche a favore di una riconnessione a una sfera relazionale ispirata al sacro universale. L’etica non è una sorta di deus ex machina che interviene successivamente, per attenuare o addirittura cercare di eliminare errori dovuti ai meccanismi economici, oppure per limitare conseguenze negative eventualmente generate dal mercato, dovuti alla irresponsabilità dei vari attori, fino ad arrivare alla insostenibilità ambientale e sociale correlata ai processi economici. Le valutazioni derivate dall’etica non sono eliminabili perché insite alle valutazioni economiche. L’economia ha bisogno dell’etica, e l’etica ha bisogno dell’economia, proprio perché le due discipline indagano l’umano agire e si interrogano sulle modalità necessarie a conseguire il bene individuale e collettivo. Da queste considerazioni appare la umanità e la razionalità comune sia all’etica che all’economia, considerando nella giusta misura la pretesa “avalutatività” della economia stesso, considerando nel contempo modelli antropologici più evoluti, rispetto al meccanicistico homo economicus di John Stuart Mill, capaci di contribuire alla ricerca seppur approssimata dell’armonia tra gli esseri viventi e il contesto al quale appartengono. Concludo davvero, col dire che non mi sembra così azzardato sostenere che l’anima sta al corpo come l’etica sta all’economia.

Augusto Vasselli

Presidente onorario del Nuovo Corriere Nazionale
(https://www.nuovocorrierenazionale.com/)

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