Roma e il mondo della Tradizione
Esiste da sempre uno stato dell’Essere di assoluta identità col Principio, di verticale e una volta per tutte determinante trascendenza: tale stato ha il suo apice nell’armonia dell’aureo silenzio. A questo stato corrisponde su un piano, per così dire, orizzontale il concetto Sacro di Tradizione Primordiale. Il seme di tale ciclo perenne fu patrimonio di una razza divina, la razza Iperborea. Di essa scrisse brevemente Erodoto nel IV° libro delle Storie, narrando l’arrivo di due fanciulle ed un sacerdote da quelle genti a Delo, ovvero nel luogo dell’Ellade legato al culto nordico ed iperboreo per eccellenza, il culto del Nume di Apollo. Queste le strofe del dorico Pindaro
“Né a piedi, né sopra naviglio tu trovi la via prodigiosa che mena ai ludi iperborei, un dì fra quei popoli giunse a banchetto il duce Perseo, li colse che offrivano al Nume insigni ecatombi di onagri, che assai Febo ha cari i loro festini e le preci e ride mirando dei bruti la balda salacia, né dai loro festini ha bando la Musa, ma sempre carole si aggirano di Vergini e grida di lire, di flauti strepiti e, oro di lauri, cingendo alle chiome, banchettano con animo lieto, né morte, né uggiosa vecchiaia la sacra progenie contamina e senza travagli né guerre passano la vita, schivando la Nemesi” (trad. Romagnoli).
Tale progenie esprime una civiltà centrata sul simbolo polare dello Swastika, il sole intellettuale che non tramonta, sul simbolo del Lupo, forza primordiale del Nord nella sua purezza sacrificale, espressione del passaggio al di là delle forme, prova suprema che gli Asi luminosi dovranno affrontare per il ristabilimento dell’ordine divino, sul simbolo del fuoco trasfigurante, eterno splendore della Tradizione Primordiale, l’Essenza. Successiva manifestazione di tale stato fu il sacro regno di Roma: successiva se si ammette un punto di vista esteriore, perché in senso superiore la Tradizione esclude ogni interruzione di continuità, unica base del concetto di tempo. Egli, Rama, mise nel giusto rapporto gerarchico Autorità Spirituale e Potere Temporale, ponendo gli assi verticali, atti a portare al trascendimento super-individuale della condizione umana. Emanazione della Tradizione nordico – iperborea, Roma, nello svolgersi del ciclo rappresenta il suo decantarsi in senso occidentale, termine ultimo del rivolgimento che, partendo dal Nord, trova in Roma la sua unità, il suo Impero, consacrato ad integrarsi nella Tradizione Perenne. Questa fu la funzione del ciclo sacro di Roma in rapporto alla Tradizione Occidentale, come morte rituale della missione metastorica di Roma per la nascita rituale della Roma metafisica. La nascita dell’urbe riafferma la perennità della Tradizione Primordiale al di là dell’età oscura e dei suoi simboli, il ciclo potendo avere una fine, nel duplice senso della parola, solo là dove aveva avuto inizio. Roma è il centro della Tradizione Occidentale nella sua opera di riassorbimento nel divino del mondo e, infatti, proprio nel Lazio ha posto il suo sito Saurno, il Nume, mitico re dell’età aurea indissolubilmente connesso con Roma, come afferma Virgilio:
“…Rex arva Latinus et urbes
am senior longa placidas in pace regebat.
Hunc Fauno et nympha genitum Laurente Marica
Accipimus; Fauno Picus pater isqueparentem
Te, Saturne, refert, tu sanguinis ultimus auctori” (Eneide, VII, 45 et passim).
Saturno è il re divino che sussume in un principio superiore i termini della diade metafisica (vedi “Introduzione alla Magia” a cura del Gruppo di Ur, l’ospite nel mito del Nume di Giano Bifronte, colui che presiede all’inizio e alla fine, il signore del valico:
“Quem enim esse deum te dicam, Iane biformis?
Nam tibi par nullum Graecia numen habet…
…sacer, ancipiti mirandus imagnine, Ianus”
(Ovidio, Fasti, I 63 et passim e De Giorgo, “La Tradizione Romana”).
Roma afferma trionfalmente i valore della Tradizione Iperborea, nei simboli eterni dei culti primordiali. Nel Nume di Giano, anticamente dio del cielo splendente (la sua forma arcaica Dianus, secondo alcuni studiosi, trae origine dalla radice div=cielo) e nella sua bifacialità, che rappresenta il percorso del Sole Invitto, vediamo una manifestazione romana del simbolo polare e iperboreo dello Swastika. La Lupa è il simbolo della forza guerriera della Romanità e della sua forza trascendente. Il sacro culto del Fuoco, tipico delle genti indoeuropee (cfr. l’Agni vedico) fu massimamente coltivato presso i Romani come Dea Vesta, la Madre Vesta, affine a quella Hestia ellenica che Platone interpretava come l’Essenza (Cratilo, 401c: dialogo in cui sono illustrati alcuni nomi divini).
I Principi informano la Storia
Roma è l’asse facendo perno sul quale il ciclo si chiude e raggiunge una compiutezza, filtro rispetto a cui la manifestazione universale si definisce e ritrova un senso per Sé. Anche sul piano storico, netta è l’origine nordico – iperborea di Roma: a questo proposito, vogliamo ricordare estesamente uno scritto di Adriano Romualdi sul contributo di Franz Altheim alla storia dei primi stanziamenti indoeuropei in Italia. Lo storico tedesco, dopo aver rilevato la similitudine tra migrazione dorica e discesa dei Latini in Italia, spunti gli uni dagli Illiri, gli altri dai Veneti, entrambi parti dei popoli dei “campi d’urne”, e lo stretto legame dei Latini col rito dell’incinerazione, svolge la sua analisi a partire dalle incisioni rupestri della Val Camonica. Di esse mette in risalto lo spirito nordico, ricollegandole ad analoghe incisioni scandinave. Dalle incisioni rupestri emerge un mondo di figure divine e di immagini di simbolismo solare con animali, quali i cervi, connessi al culto del Sole, la stessa croce camuna è uno Swastika. Insieme alle incisioni esistono, poi, iscrizioni che, anteriori al periodo romano vero e proprio, testimoniano una lingua, il Camuno, affine ad un Latino arcaico. Secondo Franz Altheim i Camuni sarebbero stati un ramo degli Euganei, popolo affine ai Latini ed ai Falisci, stanziati anche questi nel Nord, ma migrati per l’espansione veneta. Questi importanti ritrovamenti forniscono una prova del passaggio di ceppi “Latini” nel Nord Italia. Altrettanto stretti sono i rapporti dei Latini coi Veneti, denominazione etnica strettamente legata ai popoli dei “campi d’urne”, quelli che, con la loro ondata espansiva, determinarono la nascita di Sparta e Roma. Dottrina tradizionale e storia si integrano e l’una assume rispetto all’altra il suo valore di aspetto assolutamente preminente, la storia essendo salda solo nella sua conformità al Principio. L’intreccio di Mito e Storia appare un dato evidente a Roma, e Dumezil ha mostrato la corrispondenza fra alcuni episodi della storia dell’Urbe e forme mitologiche proprie di tradizioni indoeuropee: ricordiamo qui la coppia Orazio Coclite, cioè l’eroe mitico romano con un solo occhio frontale, e Odino, il Nume monocolo, poi l’altra, Muzio Scevola ed Nume Tyr, che ha sacrificato una mano in pegno al lupo cosmico, e, inoltre, il duplice senso attribuibile al nome Omerocio è il cieco, ma anche l’ostaggio. Alla luce di considerazioni derivate da dati tradizionali, tali corrispondenze si inquadrano linearmente, poiché Roma è il termine dello svolgersi ciclico, fine e cardine, premessa, nella sua universalità della non – dualità del Supremo, e asse di collegamento tra Mid-gard – Mediterraneo e Asgard, l’agire dei Romani lungi dall’essere un agire discentrato. Fu sempre un Agire per eccellenza, atto rituale che riproduceva in terra, in base a precise analogie, momenti del mondo tradizionale, simboleggiato nel mito, ed è questo agire che si realizza quale ponte verso stati trascendenti e super – individuali dell’Essere.
Continuità iniziatica della Tradizione Romana
Senza essere inficiato, l’aspetto storico della narrazione liviana viene confermato dall’eternità dei principi che simboleggia. In questo contesto l’affermazione della scarsa attitudine dei Romani verso l’intellettualità pura, se pure ha un senso da un punto di vista empirico, da una punto di vista superiore, in cui ogni espressione verbale si rivela categoricamente come un che di meno rispetto al Logos sublime dell’aureo silenzio, appare superficiale. Tale considerazione sembrerà perfino ovvia quando si consideri quale Tradizione trasfuse i suoi simboli in Roma. Ci riferiamo alla civiltà dei Rasenna, che costituì l’estremo limite ad Est di quella atlantidea. L’affermazione di Platone (Crizia, II 4d) del carattere atlantideo dei Rasenna conferma di più il valore iniziatico di Roma quale erede di tutto il ciclo. Di nuovo e per sempre
“né a piedi né sopra naviglio trovi la via prodigiosa che mena … al cuore occulto di Roma”.
Imperituro è il valore della Romanità e la conoscenza dei simboli occulti della Roma Arcana, tutt’oggi operanti, lungi dall’essere oggetto di facoltà puramente umane, può essere invocata solo da un’intuizione intellettuale esotericamente intesa, secondo la legittimità ad operare nel Sacro. Tale intuizione è il cardine di una Sapienza iniziatica espressione della Tradizione Occidentale, questo assolutamente sia rispetto a ciò che è manifesto, sia rispetto a ciò che manifesto non è. La luce eterna della Roma Imperiale fa di essa un concetto principale, assunto nel novero delle idee pure, cioè di spiriti di luce, esseri intermedi tra gli Dei e gli uomini. Lo studio, la riflessione profonda, al fine di portare la Mens verso questa intuizione sovra-razionale, chiave della missione di Roma, è, per ogni Romano, il compito finale per far coincidere la stessa Mens con l’atto sottile del culto olimpico.
Verso una ripresa del collegamento rituale col genio occulto di Roma
Assolvere a tale compito significa aver la potestà di ricollegarsi alle influenze spirituali di una visione romana, che ogni spirito olimpico e patrizio riconoscerà come propria: più specificatamente alla missione iniziatica di coloro che tentarono nei tempi ultimi dell’Impero la restaurazione del Paganesimo, dall’interno della tradizione classica, bisogna riferirsi e che, essi per primi, furono osteggiati dal Cristianesimo. Riaffermeremo così trionfalmente la Tradizione Romana, quella che trasfusa dal sacerdozio dei Rasenna, visse nei Numi pagani come la Tradizione Occidentale, senza alcun dubbio tutt’ora agente e che conserva intatta la scienza sacra dell’Urbe, nel suo legame profondo con la Tradizione Primordiale.
Che la luce suprema della Tradizione Olimpica
eterna risplenda nel suo fulgore infinito,
salve Dea Roma
Massimo Chiapparini Sacchini
Nota:
Lo scritto ivi pubblicato riproduce gli studi, le ricerche, la prospettiva sulla Tradizione di Roma dell’autore in età giovanile, i quali sono stati magistralmente integrati successivamente con gli insegnamenti aurei di Arturo Reghini.