11 Ottobre 2024
Cultura & Società

L’Impero della mente – Umberto Iacoviello

“Eccovi il piano […] attentamente elaborato per una lingua internazionale, capace di una vasta gamma di attività pratiche e scambio di idee. […] Il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che portare via le terre o le province agli altri popoli, o schiacciarli con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro, sono gli imperi della mente.”

Queste parole non sono state pronunciate durante un discorso alle folle da un despota a capo di un regime autoritario preso dell’euforia e non sono state scritte da George Orwell, queste parole sono state pronunciate dal primo ministro del Regno Unito, Winston Churchill.1 Certo, parlare di imperi della mente potrebbe far pensare a Matrix, Inception o Total Recall, niente di più lontano. L’impero della mente è qualcosa di molto più concreto, mai pienamente realizzato, che agisce su di un piano più sottile, è un continuo lavori in corso ma è qui ed è ovunque: dagli scaffali nei supermercati ai militari sparsi qua e là per il mondo per garantire la democrazia, dalla neolingua del politicamente corretto al ministero della verità che chiama fake news tutto ciò che non è conforme al pensiero unico. L’impero della mente si manifesta con varie sfaccettature e ridurlo ad un mero fatto economico è un’approssimazione; quella economica infatti, è solo una delle vie del disvelamento di questa nuova forma d’impero, esso rappresenta un fenomeno che travolge la vita dell’individuo nella sua totalità. Usando un termine teologico esiste una sorta di consustanzialità tra economia, politica e cultura. L’ordine non è casuale e vedremo il perché. La sempre valida formula goethiana secondo cui “nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo” ci aiuta meglio a comprendere su quale piano agisce questa forma di potere; di certo non più sul piano fisico con l’uso barbaro della violenza epidermica -almeno in Occidente – ma usando un tipo di violenza che penetra in fondo: quella psicologica. Di fatto oggi è molto più semplice condizionare il pensiero delle masse, gli strumenti che i media possiedono per condizionare l’opinione pubblica superano – in efficacia – le propagande messe in scena dai regimi del secolo scorso. Le idee non sono più una libera espressione dell’individuo che per formazione e carattere formula, non i modi di pensare, ma il modo di pensare viene imposto dall’alto e chi non si adatta viene subito marchiato come nemico dell’umanità con etichette variopinte e inopportune.
In Storia del pensiero politico, il politologo Marcel Prélot ci illumina sulla funzione dell’opinione all’interno di un governo “il linguaggio corrente e il senso comune concordano nel rifiutare il nome di <<governo d’opinione>> alle monarchie tradizionali o alle monocrazie popolari. Questi regimi implicano infatti un monismo fondamentale: ammettono un’unica opinione con cui s’identificano, accettano un’unica dottrina dello stato cui tutti hanno il dovere di aderire. Coloro che si rifiutano di farlo sono nemici, criminali che devono essere eliminati coi mezzi più radicali. Viceversa un autentico regime d’opinione implica il riconoscimento d’un pluralismo dottrinale, la coscienza e l’accettazione di più partiti irriducibili gli uni agli altri, realmente tollerati se non addirittura riconosciuti come l’espressione di una benefica diversità. Mentre le monocrazie vedono nell’opinione solo un elemento passivo cui chiedere appoggio” conclude poco dopo “tranne contro coloro che si servono di mezzi illegali, lo stato non dispone di alcun criterio etico per condannare un’opinione”2.
Il pensiero unico a cui siamo sottomessi è di fatto di stampo monocratico, accetta cioè solo l’esistenza di se stesso e vede il dissidente, come un nemico da abbattere. Vi è un fenomeno che potremmo definire effetto gregge delle opinioni. In Psicologia delle Folle l’antropologo Gustave Le Bon descrive come si propagano a macchia d’olio le convinzioni tra le folle “un individuo può essere messo in condizioni tali che, avendo perso la propria personalità cosciente, obbedisca a tutti i suggerimenti di chi appunto tale coscienza gli ha sottratta”, non è difficile immaginare in che modo queste opinioni vengono imposte dall’alto soprattutto tramite la propaganda televisiva, e molto meno tramite il web3. Come si cambia il modo di pensare delle folle? Usando la ripetizione che attraverso il contagio, radica nelle coscienze delle folle dei modi di pensare. Riprendiamo l’opera di Le Bon “Ben si comprende l’efficacia che la ripetizione ha sulle folle vedendo quale potere essa esercita sulle menti più illuminate. Infatti la cosa ripetuta finisce con l’incrostarsi nelle ragioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle nostre azioni. Dopo qualche tempo, dimenticando chi è l’autore dell’asserzione ripetuta, finiamo col crederci.” Bisogna scegliere se essere solo un numero o uomini liberi di cui vi è grande penuria.
Parlavamo pocanzi delle etichette che vengono affibbiate a chi non rientra nei canoni del pensiero unico, proviamo per sommi capi –senza pretese di esaustività- ad analizzarne due, quelle più in voga.
Razzista/xenofobo: la grandi migrazioni di popoli dell’Africa verso l’Europa degli ultimi anni è un tema centrale all’interno dei dibattiti pubblici. Non si può parlare del business dell’immigrazione -accusa fondata viste le inoppugnabili prove documentali a riguardo- o dei pericoli di un’eccessiva immigrazione, senza essere tacciati di razzismo/xenofobia. Queste accuse vengono maggiormente da quella sinistra che affonda le sue radici nel socialismo (?); quindi per evitare ogni tipo di accusa, lasciamo la parola a Carl Marx che nella sua opera monumentale –Il capitale- scrive
“Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione.”4
Non solo una “leva” di accumulazione capitalistica, ma “addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico”, il capitalismo necessita una “sovrappopolazione operaia” per garantire la propria sopravvivenza: l’aumento della popolazione assicura un esercito di schiavi disposti a lavorare per qualsiasi salario, costringendo gli “autoctoni” a lavorare per un salario più basso (sfruttamento). Quarant’anni dopo continuò Max Weber “Il capitalismo per dispiegarsi, richiede la presenza di un eccesso di popolazione da poter ingaggiare, sul mercato del lavoro, a basso prezzo. Ma un “esercito di riserva” eccessivo favorisce bensì, in certe circostanze, la sua espansione quantitativa, però ostacola il suo sviluppo qualitativo, e specialmente il passaggio a forme aziendali che sfruttino l’intensità del lavoro. Salario basso non si identifica affatto con lavoro a buon mercato. Già da un punto di vista meramente quantitativo, il rendimento del lavoro in ogni circostanza diminuisce se il salario è fisiologicamente insufficiente, e questa situazione a lungo andare spesso significa addirittura una “selezione dei meno validi”.”5
Weber si spinge oltre, scrivendo che oltre allo sfruttamento, scade anche la qualità del lavoro.
Anche per l’immigrazione, il problema non è solo economico. L’immigrazione è un tema che divide la gente e tutto ciò che divide è cosa buona per chi si sfrega le mani da dietro le quinte: divide et impera6.
Fascisti/populisti e antifascisti: qualsiasi uomo che al centrosinistra non piace, rischia di diventare anacronisticamente fascista, il termine più in voga negli ultimi anni, probabilmente perché generale e più sbrigativo. E’ fin troppo facile rievocare lo spauracchio del Fascismo, leggi razziali e compagnia varia per screditare un uomo o un gruppo di uomini, che col fascismo non hanno nulla a che fare, la parola viene usata per qualsiasi atto non conforme. Se non sei con me, sei contro di me. E’ curioso notare come gli antifascisti combattono un nemico che non esiste più, mentre trovano normalissimo il dispiegarsi di un capitalismo feroce che sta abbattendo uno ad uno i diritti sociali. Combattono il fascismo utilizzando dei metodi più che fascisti: parlano di democrazia e tolleranza ma vorrebbero silenziare tutti quelli che non la pensano come loro, parlano di antirazzismo ma vorrebbero una nuova razza meticcia, sono “la voce del popolo” ma non parlano mai di lavoro e quando uscì fuori il conflitto di interessi della Boschi (PD) con il caso Etruria, nessun antifascista è sceso in piazza. A giudicare dai loro comportamenti, l’antifascismo di oggi rappresenta il braccio armato del capitalismo. Brigate Rosse docet.
Il pensiero unico, vuole un livellamento dell’opinione pubblica, in cui spesso più per paura di essere ostracizzato che per convinzione, l’individuo finisce per adattarsi al pensiero dominante.
Forse per non essere tacciati anche noi di fascismo dovremmo citare Oscar Wilde, che con l’intelligenza che lo contraddistingueva scrisse più di un secolo fa nel suo romanzo più famoso che “La morale moderna consiste nell’accettare i luoghi comuni della propria epoca; ma per un uomo colto ciò significa commettere un atto della più volgare immoralità”.
Della stessa opinione è un altro gigante del XIX secolo, Friedrich Nietzsche, che nella sua seconda considerazione inattuale, scrive che gli uomini attivi –coloro che vogliono scrivere la storia- devono imparare da essa “il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell’educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare, per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora non siano quelle col ritornello ‹‹Il signor Taldeitali e il suo tempo››, ma quelle sul cui frontespizio si dovrebbe leggere: ‹‹Un lottatore contro il suo tempo››.”7
Di pensatori inattuali si potrebbero citare altri nomi importanti: da Jünger che ottimisticamente auspica una trasformazione del gregge in branco grazie all’esortazione di uomini liberi che il pensatore tedesco paragona a lupi che si celano nel gregge, al già sopracitato George Orwell che in una visione più pessimistica scrive che i prolet finché non avranno coscienza della propria forza, non si ribelleranno. Tutti uomini di un certo spessore che gli intellettualoidi odierni, soldati del politicamente corretto taccerebbero di populismo per il solo fatto di pensare diversamente.
Ma tornando a Churchill e al suo piano di dominio attraverso la lingua, ci sembra opportuno riportare un esempio preso dalla nostra storia, precisamente da Vincenzo Cuoco che nel 1801 nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 ammoniva già i rischi di una cieca apertura alle lingue e alle culture straniere per l’identità culturale dei napoletani: “La nazione napoletana sviluppò una frivola mania per le mode degli esteri. Questo produceva un male al nostro commercio ed alle nostre manifatture: in Napoli un sartore non sapeva cucire un abito, se il disegno non fosse venuto da Londra o da Parigi. Dall’imitazione delle vesti si passò a quella del costume e delle maniere, idi all’imitazione delle lingue: si apprendeva il francese e l’inglese, mentre era più vergognoso il non sapere l’italiano. L’imitazione delle lingue portò seco finalmente quella delle opinioni.”
Non riteniamo esagerate le conclusioni dello storico antiborbonico, alla luce del primato commerciale-culturale angloamericano che negli ultimi settant’anni ha esercitato la sua egemonia sull’Europa (e non solo), basti pensare al basic english entrato prepotentemente nelle nostre scuole o al Black Friday, che è entrato nelle nostre usanze, a prescindere dal Giorno del ringraziamento, una festa che –almeno per il momento- non ci appartiene.
C’è un altro aspetto dell’Impero per cui vale la pena spendere due parole: il Grande Fratello. Ormai tutti sanno che siamo costantemente spiati, molti però, non immaginano come e soprattutto a che pro; viviamo in un mondo sempre più altamente tecnologico (o come direbbero gli inglesi hi-tech) e come potrebbe essere pericoloso ad esempio, l’aspirapolvere-robot che ci gironzola dentro casa risucchiando la polvere? Colin Angle –amministratore delegato dell’azienda iRobot che produce queste macchine- in un’intervista ha lasciato intendere che questi robot sono in grado di tracciare una mappa minuziosa della casa e i dati trasmessi ai software dell’azienda potrebbero essere venduti ad altre aziende come Amazon o Google con l’obiettivo di proporre offerte su misura per la nostra casa, come prodotti per bambini se l’aspirapolvere-robot rivela una cameretta. Dopo queste dichiarazioni, si è alzato un polverone e Colin Angle ha dovuto smentire che ciò sia realmente avvenuto, a suo avviso è solo una possibilità. Stessa cosa è accaduta per una società americana che sviluppa prodotti di elettronica di consumo, che ha dovuto pagare una multa di oltre due milioni di dollari per aver installato un software nelle smart tv che riconosceva i programmi guardati e trasmetteva dati all’azienda produttrice che arrivavano perfino a controllare se uno spettatore avesse visitato un sito web dopo aver visto una pubblicità in tv. Sono questi i rischi che si corrono quando si è circondati da apparecchi smart. Essere spiati ovunque, più che con la sicurezza ha a che fare con il commercio. Nelle strade, nei supermercati, nelle grandi stazioni non è difficile trovare gli schermi Quividi, che hanno all’interno una telecamera che permette di registrare età, sesso e l’attenzione che i passanti mostrano osservando una pubblicità, consentendo a chi si occupa di marketing di migliorare le pubblicità. Molte preoccupazioni suscitano anche gli smartphone, è di dominio pubblico il fatto che il Messico abbia istallato di nascosto un software chiamato Pegasus (prodotto israeliano) per controllare persone “pericolose” per lo status quo, come attivisti e giornalisti. Non è difficile immaginare quante informazioni si possono estrapolare da uno cellulare di nuova generazione, dagli spostamenti registrati col gps, all’attivazione (all’insaputa dell’utente) del microfono o peggio ancora della videocamera, ai messaggi, ai siti internet visitati.8
Possiamo affermare di vivere nell’era in cui non esiste più il privato, non solo perché da una parte c’è chi spinge per l’assottigliamento della linea che separa pubblico e privato, ma anche e forse soprattutto perché siamo noi stessi a cedere le nostre informazioni, accettando –senza leggere- i termini che compaiono quando installiamo una nuova applicazione o postando giornalmente autoscatti che mostrano i luoghi e le persone che frequentiamo con tanto di GPS. Ogni passo in avanti della tecnologia è un passo indietro per la libertà.
Siamo partiti da Churchill per arrivare ad un’aspirapolvere che ci monitorizza la casa, c’è un filo conduttore che unisce tutto questo, lo statista inglese aveva intuito che la lingua –l’inglese- doveva essere alla base per i futuri consumatori globali, completamente sradicati e ridotti a homo consumes, fruitori di prodotti commerciali (preferibilmente anglo-americani). Il mondo che si presenta oggi, sembra essere il prodotto di ciò che auspicava Churchill nel suo discorso-manifesto, ci troviamo all’interno dell’Impero ma il solo fatto di parlarne, l’esserne consapevoli, dimostra che all’interno di esso ci sono ancora dei lupi, quegli esseri che non hanno dimenticato cos’è la libertà e sebbene risulta difficile immaginare una rivolta di massa contro questo impero, i lupi sentono ancora la necessità di ululare per ribellarsi all’impero, rischiando di attirarsi tutte le etichette che l’impero affigge ai suoi dissidenti. Siamo coscienti però, che le etichette si attaccano solo alla superficie e una minoranza sempre più rumorosa sta alzando la voce utilizzando gli stessi strumenti che l’impero adopera. Da ogni dominio nasce una resistenza.
Lo slogan di ogni ribelle deve essere Hic et nunc!

Note
1Discorso-manifesto dell’unione anglo-americana tenuto ad Harvard il 6 settembre 1943.
2Storia del pensiero politico, Marcel Prélot (Mondadori, 1975)
3Realtà e “post-verità”, Umberto Iacoviello (Ereticamente 26/07/2017).
4Il capitale, libro primo, settima sezione. (Editori Riuniti,1980) pg.692
5L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Max Weber (RCS).
6Il problema dell’immigrazione è molto più vasto ed andrebbe analizzato oltre che da un punto di vista economico anche demografico e culturale. I demografi affermano chiaramente che il volto dell’Europa sta cambiando rapidamente, un esempio per tutti, in Gran Bretagna entro il 2065 meno della metà della popolazione avrà origini britanniche, mentre nella più vicina Germania il 36% dei bambini sotto i cinque anni, sono figli di immigrati. Ma l’eccellenza è in Italia, dal 2002 al 2017 gli immigrati in Italia sono aumentati del 207% . La sostituzione etnica degli europei non è una paranoia dei populisti, ma la strada che abbiamo intrapreso. Per quanto riguarda l’identità, un caso emblematico è sicuramente il quartiere Molenbeek nel centro di Bruxelles. Le Monde nel novembre 2015 ha scritto “l’elenco delle persone che sono transitate per Molenbeek prima di essere coinvolte in attività terroristiche è impressionante”, nel cuore dell’Europa vi è una concentrazione di 100.000 immigrati (africani e arabi) che manifesta esibendo cartelli con scritte a dir poco preoccupanti come “No democrazia, noi vogliamo solo l’islam”.
7Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Friedrich Nietzsche (Adelphi 1973).
8Focus, ottobre 2017 (n.300).

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