Martedì 10 ottobre 2017 si è svolta la lectio magistralis del prof. Marcello De Martino, presentato dalla prof.ssa Rosa Ronzitti, presso l’aula di Glottologia dell’Università di Genova, gremita da un notevole numero di studenti e docenti, interessati al tema della tradizione oracolare nell’ambito della religiosità indoeuropea e specificatamente romana. L’impianto del seminario si è sostanzialmente basato sull’enucleazione particolareggiata di una tradizione perenne di alcuni Sophoi (Sapienti) quale conoscenza sacrale nella civiltà occidentale che si manifestava nell’ambito della lingua oracolare e della poesia. La lingua oracolare, nello specifico, avrebbe avuto le stesse caratteristiche della lingua poetica indoeuropea (allitterazione, ecc.). Odino, il dio-vate, come i druidi, e le sortes della Fortuna Primigenia avevano un particolare ductus frastico dotato di capacità enfatica: la parola del Vate è magica perché suona in modo diverso, tramite la ripetizione ossessiva dei suoni. Vi era una continuità fonosimbolica da cui emergeva un vero e proprio incantamento di natura enigmatica. Nel “Responso di Arezzo” dei Ludi Grandi in Aulo Gellio, Noctes Atticae III, 3, 7-8:
Ex qua duo versus exscripsismus, ut historiam quaereremus oraculi Arretini: nunc illud est, quod “responsum Arreti” ludis magnis dicitur: peribo si non fecero, si faxo vapulabo,
come in Dione Cassio (Historia Romana XLIII, 20.3), in cui si riporta che durante il trionfo di Cesare nel 46 a. C. i soldati urlavano al vittorioso condottiero il ritornello
si male faxis vapulabis, si bene faxis rex eris,
così come in altri e numerosi riferimenti documentali si presenta una medesima struttura linguistica e sintagmatica non casuale. La lingua poetica arcaica e indoeuropea, secondo il prof. De Martino, è la lingua dei Vati, come si evince da un celebre passo di Plutarco:
“Il dio è indovino, inoltre, e l’arte divinatoria prevede il futuro sulla base del presente e del passato: nulla infatti si crea senza una causa, e nulla si predice senza una ragione. Anzi, poiché tutto il presente deriva e dipende dal passato e tutto il futuro è legato al presente secondo un processo che corre da un principio a una fine, colui che possiede la scienza di connettere e porre in relazione le cause tra loro secondo il rapporto naturale, è anche in grado di annunciare il presente e il futuro e il passato (riferimenti similari si ritrovano in Esiodo).
E giustamente Omero ha collocato al primo posto il presente e poi il futuro e il passato, perché dal presente nasce il sillogismo ipotetico, come “se esiste questo, è esistito quest’altro”, e poi “se questo esiste, esisterà quest’altro”. L’arte della logica consiste infatti nella conoscenza del nesso causale, mentre la sensazione offre all’intelletto la percezione dei fatti. Perciò, sebbene l’espressione riesca forse strana, non esiterò ad affermare che questo tipo di argomentazione è il tripode della verità che, stabilendo il legame tra causa ed effetto e aggiungendo la constatazione del reale, porta a termine la dimostrazione. Apollo Pizio per amore della musica si diletta al canto dei cigni e al suono della lira, non c’è da sorprendersi se per amore della dialettica egli predilige quella parte del discorso di cui vede che i filosofi fanno uso più costante e significativo. Eracle, quando non aveva ancora liberato Prometeo e non si era ancora intrattenuto con i dotti della scuola di Chirone e di Atlante, ancora giovane e assolutamente beota, disprezzava la dialettica e rideva di frasi come “se c’è il primo, c’è il secondo”. Decise quindi di impossessarsi del tripode con la violenza e contendere al dio la sua arte; ma pare che con il tempo sia divenuto anche lui esperto nella divinazione e nella dialettica“
(De E apud Delphos, il 90, 387.A.9-D.8).
Chi diventa Sapiente deve apprendere l’arte della logica e della predizione del futuro, cioè perseguire la via della tradizione arcaica oracolare. In tale ambito è stata posta una similitudine tra il concetto nordico nell’Hávamál e quello greco del dio indovino di Delfi nell’ambito di una visione sapienziale che ricomprende sia il pitagorismo iniziatico di Filolao, sia lo stretto rapporto simbolico esistente tra le Moire in Esiodo e le Norne della tradizione del Nord, sia l’aristotelismo che deriva dalle dottrine non scritte di Platone (di natura misterica ed orfica), fino a giungere alla dottrina della trasmigrazione dell’anima nel mito di Er. In ambito prettamente romano, nel corso del seminario del prof. De Martino è stato citato un distico composto da due esametri tratto da un libro di Varrone e da questi attribuito a Valerio Sorano:
“Iuppiter omnipotens regum rerumque deumque
progenitor genetrixque deum deus unus et omnes
Giove Onnipotente, di re, realtà e dèi
Progenitore e genitrice, Dio degli dèi, Uno e tutti“
(Sant’Agostino, in De civitate Dei VII, 9.)
Si evince, da quanto riportato, la possibilità dell’utilizzo della lingua latina in maniera espressiva, oracolare e magica, esprimendosi nel distico citato una vera e propria androginia, come nel mondo indù tra Shiva e Shakti, in cui Giove si manifesta quale progenitore asessuato del cosmo, un po’ come nell’inno a Zeus dello stoico Cleante o nelle concezioni solari di un Crisippo o di un Plotino. Brevemente possiamo accennare a come il prof. De Martino abbia trattato il tema nel suo libro L’identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell’affaire Sorano (Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2011) e come il tema dell’androginia archetipica si sia riproposto per il Genius urbis Romae sive mas sive femina (p. 36ss). Il riferimento di Valerio Sorano, appartenente ad un cenacolo iniziatico di natura pitagorica, ha condotto al termine del seminario glottologico ad analizzare la figura divina e duplice della Fortuna Primigenia. Nell’ambito di una conoscenza riservata a colui che è Padre ed è contemporaneamente anche Madre, e a colui che è Padre è anche Figlio, si inserisce l’arcano di colei che era madre di Zeus ed allo stesso tempo figlia di Zeus, cioè, appunto, la Fortuna Primigenia.
Infine, un’altra similitudine posta dal prof. Marcello De Martino è stata quella tra Vesta e la dea dell’Aurora, a cui l’insigne docente dedica due approfonditi capitoli (V-VI) nella sua ultima fatica editoriale, ossia Le divine gemelle celesti. Sacertà del Fuoco centrale e semantica dell’Aurora nella religione indoeuropea (Agorà & Co., Lugano 2017). Nella disamina di Vesta quale “la Bruciante” e della dea dell’Aurora quale “la Brillante” è stato sottolineato come tali appellativi abbiano certamente un valore enigmatico e di natura mantica. Dal nostro punto di vista, emerge la complementarietà tra ciò che si vede – la luce – e ciò che si percepisce – il calore del fuoco –, essendo la visione aurorale intesa non solo in termini temporali, ma essendo anche la prima accensione di un fuoco interno che gradualmente entra e divampa nella dimensione del sentire, e perciò non viene più percepito come altro da sé, ossia da poter essere osservato, ma assume una profonda valenza interiore cioè quale entità ignea che è in sé perché natura di se stessa e del Sapiente che lo rimanifesta. Ritorna la dottrina espressa sia da Filolao che da Eraclito circa il potere igneo presente in un punto ed ugualmente in tutti gli altri punti dello spazio e del tempo, che il prof. De Martino magistralmente riconnette prima alla greca Hestia, ma soprattutto all’aedes non inaugurata e circolare (non casualmente) di Vesta.
Al termine di questo resoconto, possiamo con soddisfazione manifestare il fecondo spirito di collaborazione creatosi tra la prof.ssa Ronzitti, il prof. Marcello De Martino e la Redazione di EreticaMente, affinchè manifestazioni come la suddetta e pubblicazioni di vario genere come quelle realizzate possano ripetersi in futuro per la fruizione libera e consapevole di un sapere occultato della civiltà indoeuropea da parte di studenti e di liberi ricercatori.
Luca Valentini per la Redazione di EreticaMente