Ho sempre avvertito come le emozioni fossero antecedenti la ragione. Come la ragione portasse in sé qualcosa di malsano e di impotente. Fin da bambino, quando in riva al mare Adriatico, costruivo castelli di sabbia e che, con gli anni, sarebbero diventati altri castelli, fragili anche essi e di carta e di inganni. E venni confortato da letture, ormai adolescente, di Mishima Yukio e di Ezra Pound (‘Il mondo a chi appartiene, a me, a loro,/ o a nessuno?/ Prima venne il visibile, quindi il palpabile/ Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,/ Quello che veramente ami è la tua vera eredità’). Poi conobbi il ‘divino stupore’ di Platone, poeta e filosofo, e ‘la meraviglia’ a premessa del domandare per Aristotele, nonostante che entrambi si adoperassero – e con successo – a costruire organici sistemi al dominio della conoscenza razionale. Sempre la carne e le ossa e il sangue mi furono presenti con tanta intensità che ‘ogni pensiero vola’, come trovai inciso sulla pietra nel Parco dei Mostri a Bomarzo. E questo avvertire mi ha accompagnato fino ad oggi – non portare l’ombrello anche se piove, ad esempio, o aver bisogno d’aria e di freddo sul corpo, insofferente ai luoghi chiusi −, nonostante l’anagrafe si sia resa impietosa o, forse, proprio perché sì la vita scorre nella tensione dei muscoli e nell’appagamento delle ondate ormonali ma anche nella sofferenza nel limite nel decadimento. Chi afferma come la carne sia debole sovrapponendo la morale e il suo carico di menzogne, ignora o finge di non sapere che essa è forte, ben forte assai. ‘Da quando sono state inventate la morale e la polvere da sparo, il principio della selezione naturale è andato sempre più perdendo il suo significato per il singolo’, così riflette il tenente Sturm nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.
Premessa, se si vuole, per recuperare una dicotomia, una frattura e un conflitto (raramente armonia) tra quel linguaggio della mente e quello del corpo su cui, ogni tanto, ritorno in questi miei interventi. Qui mi preme cercare di evidenziare chi è il ‘nemico’, cioè quelle forze che hanno preteso e ottenuto di imporre l’un contro l’altro armati, opponendosi a come e quando e se sia possibile impegnarsi a ridurre ogni forma di tensione, di lacerazione. Nemici, dunque – e non ci appaia il termine in sé troppo duro − perché, nel contrasto, nella sconfitta (apparente?), in quell’instaurarsi di un padrone e il suo schiavo tutte le difese si indeboliscono e più facilmente si cede, si concede ci si piega alle presunte ragioni dell’altro fino a divenirne servili strumenti. (Apparente, forse, se recuperiamo quanto ebbe il filosofo Hegel ad evidenziare di vivida complessità in quel rapporto, frutto di un vincitore e di un vinto, ne La fenomenologia dello Spirito dove i ruoli finiscono per confondersi – chi è in effetti il vero padrone e, altresì, lo schiavo autentico? – il suo necessitarsi – senza l’uno anche il secondo perde di identità − invertire prospettiva e ruolo – il primo finisce nella sudditanza dell’impotenza mentre lo schiavo si erge come ‘homo faber’ − ). Il linguaggio della mente domina-dominato sul linguaggio del corpo…
Pietro pretendeva che, prima di convertirsi al cristianesimo, si dovesse passare tramite il giudaismo con il sottoporsi determinante al rito della circoncisione. Espressione elitaria di chi appartenendo ad una ‘setta’ dispregia, si distingue e richiede atti di adorazione solo per coloro che vi appartengono per nascita. Un progetto assai ambizioso, ma in sé lungo e complesso, in fondo per i pochi e di pochi. Fu Paolo, caduto da cavallo sulla via di Damasco, buon demagogo (se si preferisce con il sano realismo di chi ha beneficiato del diritto e della cittadinanza di Roma, ma di cui si adoperò malamente), a risolvere un simile spinoso percorso ed imporre il suo punto di vista su quello dei vecchi discepoli, in fondo ebrei nell’animo e nel corpo. Esiste la circoncisione in spirito quando si porta in sé il sentire d’essere e giudeo e cristiano, figli della stessa razza. Sentimento universale, offerto dunque a tutti e per tutti. (Quando Nietzsche inveisce e si scaglia contro i circoli tedeschi a sfondo antisemita e fra di essi contro il dottor Foerster divenuto suo cognato, lo fa perché costoro ritenevano di poter distinguere il cristianesimo dall’ebraismo, una sorta di incontaminato fiore pur se germogliato da luogo mefitico e putrescente).
E l’assalto al mondo romano – ormai, va riconosciuto, indebolitosi proprio per aver perso il carattere ferreo e frugale dei suoi costumi – avviene in nome di quel linguaggio della parola contro quello dell’azione. Dare voce alla promessa proiettata ai confini del tempo (non verificabile ma, proprio per questo, più allettante e desiderata) contro il gladio e l’aratro a difesa del presente, combattenti e costruttori. Il limes non è soltanto l’aratro che ne delimita lo spazio e la spada a farsi garante, protegge e dischiude, è l’idea che esso può deve essere il superamento di sé là dove gli occhi e il passo vedono foreste da disboscare fiumi su cui gettare dei ponti di barche pianure da rendere fertili e su cui edificare colonie. E’ una visione magnifica e grandiosa del legionario che conosce il senso dello spazio tramite il marciare con nella sacca un pugno di sale e del pane. Chi conquista ha la consapevolezza di appartenere alla razza di coloro che edificano e di avere in premio il dominio della terra o per quella medesima terra donare il sangue. Di contro, la parola, subdolo inganno, si trasforma e trasforma – la pietas con il senso tragico e virile ed eroico del comune destino all’ombra degli dei diviene, tramite la compassione valore dei deboli per i deboli e il ginocchio si piega e si piega il capo… Sempre il linguaggio e il peccato a incatenare la bellezza libera ardita innocente del corpo.
Il bambino conosce ciò che cade sotto i suoi sensi non l’astrazione della mente. Quell’albero e quella foglia non il bosco in sé, mi sembra sia una riflessione di Tolkien, poi diventando adulto accetta anche quanto gli vene proposto tramite la parola d’altri. Le cose non sono buone o cattive in un ordine formale ed imposto di eticità. Esse o elevano o degradano – il senso dell’errore, non quello di colpa ne è i metro. E poi venne il dottor Freud con la presunzione innata alla sua origine di essere, dopo Copernico con la rivoluzione degli astri e Darwin con l’evoluzione della specie, il dissacratore della pretesa nell’uomo di essere centralità e di una sua superiorità sulle altre forme di vita. Lo si lasci, con i suoi occhialetti e il pizzetto caprigno, alla monomania di risolvere le complessità (?) della sessualità vista soltanto come somma oscena di perversioni e contorsioni (da non confondere con le tecniche del Kama-Sutra, si badi bene). Anche qui il linguaggio della mente, ancora una volta, stana mette a nudo bacchetta umilia il corpo e le sue forme espressive. Perché sul divano dello psicanalista si instaura un dialogo, ingannevole e dispregiatore della libera voce del corpo e delle sue pulsioni, dove ogni suo essere (il paziente) finisce sotto la lente d’ingrandimento della razionalità (il terapeuta). Una laica laida illuministica inquisizione…
Prima di lui, Marx. ‘Buon sangue non mente’, si usa dire, anche se in questo caso il sangue è avaro ed avido e la menzogna grande. Qui ci interessa soprattutto il Marx dell’Ideologia tedesca, opera forse minore se si pensa che egli stesso narra di averla abbandonata all’incuria e alla voracità dei topi (quando venne ritrovata cinquant’anni dopo, in effetti, alcune pagine erano state rose dai topi. Profeta!), dopo aver ricevuto decreto di espulsione dal governo di Parigi. Opera, al contrario, che considero fondamentale – convinzione, la mia, di cui facevo partecipe gli alunni durante le lezioni – geniali ed istrioniche -, che furono il tratto saliente della mia carriera di professore. Perché vi sono, ad esempio, le parole-guida di cui si servirà in seguito come forze e mezzi di produzione o la distinzione tra struttura e sovrastruttura. Soprattutto egli conclude la polemica contro i suoi ex sodali di birreria, quei filosofi della sinistra hegeliana o ‘giovani hegeliani’ come si preferisce definirli da quando Karl Loewith pubblicò (Giappone, 1939) il fondamentale studio Da Hegel a Nietzsche, ‘la frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX’.
Ed è proprio qui che emerge il fondo ebraico e giacobino da cui è posseduto. Un Io assoluto ed esclusivo, di cui la parola imperiosa domina sulle vicende economiche, i conflitti, le classi. Che altro sono le azioni umane se non marionette di una concezione materialistica della storia? Egli si sente pervaso da sacro furore di dire ‘la verità’, non è un dio ma di dio la voce demandata ed unica. E il linguaggio del corpo – il lavoro, i bisogni, la giustizia sociale, la sessualità – altro non sono che gli strumenti del divenire, di questa missione portatrice oltre le acque del mar Rosso il nuovo popolo eletto, il proletariato (in fondo, tra abbondante capigliatura e ruvida barba Marx ha il tratto di un Mosè ottocentesco). Alberto Sordi ne Il marchese del Grillo ‘Io so’ io e voi non siete un cazzo!…
E la ghigliottina, rimedio illuministico alla brutale mannaia del boia incappucciato, rende in modo plastico e deciso quella Dea Ragione che, essa sola, spartisce il bene ed il male. Si dice che, stretta la gola nel cappio del nodo scorsoio, scalciando simile a ballerino impazzito, il condannato all’impiccagione spurghi sostanza interna ed abbia la sua ultima eiaculazione (urlo vendetta inane rivincita del linguaggio della carne).
Sulla parete del cesso, facoltà di Magistero, occupazione 1968, trovo scritto: ‘Un tempo gli uomini vivevano la gioia del corpo, poi vennero Cristo e Marx e Freud e scoprimmo il senso di colpa’. Tramite il premio e il castigo e l’invidia dei bisogni e l’osceno richiamo delle pulsioni, la carne le ossa il sangue finirono per essere preda del brulicare dei vermi…